Inculato da un mio dipendente – parte 1

Inculato da un mio dipendente – parte 1

Sono Simone, ho 32 anni e vivo a Milano. Pur essendo giovane per il mercato del lavoro, la mia carriera professionale è decollata in fretta, alla mia età sono uno dei manager della mia azienda, una grande multinazionale nel settore food.
Io sono il responsabile di uno dei nostri prodotti, il mio team è storicamente composto da 3 persone e, dopo infinite richieste da parte mia, mi permettono finalmente di assumerne una quarta.
Tra i tanti candidati si presenta Stefano, 27 anni, di Roma. Il colloquio va bene e, mentre parla, sono catturato sempre più dalla sua estetica: alto 185, moro, occhi azzurri tendenti al ghiaccio, fisico asciutto (non palestrato) e definito. Ma sono soprattutto i suoi modi di fare a colpirmi: accento romano ma per niente burino, modi di fare maschili e decisi, mi trasmette tanta sicurezza. Decido di assumere lui, il colloquio è andato bene anche per le risorse umane e io ho la coscienza pulita: non è stato assunto per le sensazioni che mi ha trasmesso.

Dal suo ingresso in azienda noto un nuovo aspetto del suo carattere: è permaloso e abbastanza scontroso, litiga spsso con i colleghi, anche per motivi futili. L’unico con cui va veramente d’accordo sono io, si fida di me e parliamo tanto anche al di fuori del lavoro: è fidanzato da 10 anni con una ragazza, ha avuto una vita agiata perché proviene da una famiglia ricca, ma ha vissuto diverse problematiche (lutti importanti in famiglia, un brutto incidente in moto e una carriera calcistica che sembrava promettere bene da adolescente, per poi far svanire tutto a causa del suo scarso impegno negli allenamenti). Quando mi racconta la sua vita sono sempre più affascinato, sia per la profondità dei suoi discorsi che per l’aspetto estetico. Ogni volta che parla penso: “ma quanto è bello?”, oppure “ma quanto è virile?” o ancora “mi piace cosa dice e come lo dice”. Ovviamente non è amore, ma è un qualcosa che va oltre l’attrazione, sento un forte legame chimico nei suoi confronti, come se provassi una profonda sensazione di benessere quando lo guardo o quando mi parla.

Decido di giocarmi le mie carte durante il torneo aziendale di beach volley. Tendo a non mettermi tanto in mostra nell’ambiente lavorativo ma ho un fisico che ha sempre avuto un buon riscontro con gli uomini: sono biondino, occhi dolci, piccolino (appena 1,72) ma con un bel fisichino asciutto e con un culetto tondo e sodo. Decido di indossare maglietta e pantaloncini aderenti, tendenti agli shorts, con la speranza di poter attirare l’attenzione di Stefano. Mi piego davanti a lui, cambio spesso la maglietta, abbasso leggermente i pantaloncini per mostrare pezzi del mio sedere, ma nulla: non mi fila di pezza e, anzi, è anche parecchio distaccato nei miei confronti. Sono profondamente deluso, nella mia testa sarebbe stata la svolta e invece mi ha completamente ignorato. Ma d’altra parte, cosa mi aspettavo? È etero, magari non sa neanche che sono gay perché non mi sono mai aperto più di tanto con lui sul mio privato, mi sono solo illuso come un bambino.
Va detto che lui mi ha ignorato, ma io invece per tutta la serata non ho fatto altro che sbavare ad ogni suo movimento, molto più del solito. Quando alzava la maglietta per asciugarsi il sudore restavo letteralmente con la bocca aperta, ammirato dal suo fisico che avrei tanto voluto toccare, per poi arrivare al momento chiave: la doccia. Non appena si spoglia mi lascia senza parole, ha un cazzo veramente importante, che non avrei mai ipotizzato, considerando il suo fisico magro e non palestrato. Ha un cazzo lungo, largo, esteticamente molto bello, lo guardo per tutto il tempo, forse più del dovuto, ma non riesco proprio a staccare lo sguardo da quel cazzo che avrei tanto voluto maneggiare. Deve essersene accorto perché, subito dopo la doccia, si riveste in fretta e va via visibilmente scocciato.

Tra me e me ho subito pensato: “Cosa ho fatto? Probabilmente ho esagerato e ho rovinato un bel rapporto che stava nascendo”. E poi: “oddio, io sono il suo capo, non mi sarò spinto oltre? Magari avrà percepito i miei sguardi come una molestia?” Sono preso da mille dubbi e domande, non chiudo occhio tutta la notte, la mattina dopo ho quasi il terrore di andare in ufficio. Lo incrocio in corridoio e mi lancia subito uno sguardo severo, carico di odio, mi saluta con freddezza. I miei dubbi erano fondati, la sera prima ho esagerato. Vorrei parlargli ma non saprei proprio da dove iniziare, così decido di adottare la tattica dell’indifferenza: niente più sguardi intensi rivolti verso di lui, contatti personali limitati alle interazioni lavorative e in effetti la strategia ripaga, perché pian piano inizia a non guardarmi più con cattiveria. Per tre settimane non gli ho quasi rivolto la parola, ma che fatica, mi mancavano tanto le chiacchierate con lui e il suo sguardo carico di odio era come una pugnalata dritta al cuore. Tuttavia, sono riuscito nel mio intento, adesso le nostre interazioni sono tornate finalmente normali, ma non forti e complici come avveniva fino alla sera del beach volley.

Passano 2 mesi e mi arriva una comunicazione che mi manda subito in tilt: io, Stefano e altre 8 persone della mia azienda siamo stati selezionati per andare 2 giorni a Londra, nel nostro headquarter, per presentare un progetto importante. Vado subito nel pallone più totale, un’occasione del genere poteva farmi fare qualche passo falso e magari questa volta si sarebbe arrabbiato tanto. E se mi avesse addirittura presentato un reclamo nei miei confronti? Non potevo permetterlo, questa volta sarei dovuto stare molto attento.
Partiamo e, con mia grande sorpresa, Stefano è super amichevole nei miei confronti. Parliamo, scherziamo e il suo carattere permaloso lo porta ad allontanare istintivamente gli altri colleghi, dedicando tante attenzioni solo a me. Nel pomeriggio abbiamo due ore libere, passeggiamo tutti insieme, ma Stefano rallenta il passo, come se volesse distaccarsi dal resto del gruppo. Restiamo soli io e lui, mi chiede di aiutarlo a comprare un regalo per la sua fidanzata, io sono visibilmente scocciato ma accetto. Entriamo in un negozio di intimo femminile e mi chiede un parere su un paio di indumenti che ha visto in vetrina, alla fine scegliamo un perizoma in pizzo nero, molto semplice ma particolare.

E qui avviene una conversazione che mi lascia a dir poco perplesso:
Io: “Ste prima di andare in cassa devi scegliere la taglia”.
Stefano: “eh non la so la taglia”.
Io: “ma come non la sai? State insieme da 10 anni e non sai la taglia della tua ragazza?”.
Stefano: “eh no”.
Io: “beh in bocca al lupo, la vedo dura fare un reso a Londra se dovesse andare male”.
Stefano: “tu che taglia hai?”.
Io: “io? Perchè la mia?”.
Stefano: “ad occhio e croce da dietro mi sembrate molto simili”.
Io: “ah che fortuna” (e penso: ma allora la sera del beach volley mi ha guardato, non era distratto).
Stefano: “magari stasera in camera lo provi e se non va bene torniamo a cambiarlo”.
Io: “ma tu sei fuori come un balcone, non ci penso proprio”.
Stefano: “dai per favore, questo regalo è davvero importante per me, non te lo chiederei se non fosse così” (si avvicina e mi fa questa richiesta a pochi centimetri da me, lo guardo dal basso con la solita attrazione di sempre, questo avvicinamento l’ha risvegliata).

Gli dico che ci avrei pensato e compriamo l’intimo. Passiamo il resto del pomeriggio e la cena con i nostri colleghi, c’è un bel clima di divertimento generale, ma io sono silenzioso e pensieroso, non riuscivo proprio a capire la conversazione del pomeriggio e il motivo di quella strana richiesta. Mi sembrava una bella svolta, ma non volevo illudermi, soprattutto dopo l’episodio del beach volley e tutto ciò che era successo nelle settimane successive.
Finisce la cena e vado in camera mia, passeggio nervosamente lungo la camera, non so se scrivergli o se mettermi a letto e dimenticare tutto. Passano pochi minuti e i miei dubbi vengono spazzati via da una bussata vigorosa alla porta, è Stefano, lo lascio entrare.
Stefano: “guarda cosa ho portato?” (mi mostra il sacchetto della nota azienda di intimo).
Io: “no no, senti, io credevo che scherzassi, mi vergogno troppo a fare una cosa del genere”.
Stefano: “daiiii, è davvero importante per me, l’hai detto bene tu, non posso permettermi di tornare a Londra per restituire l’intimo, fammi questo favore, ti prego” (si avvicina ancora a pochi centimetri da me, questa volta ancora di più rispetto a quanto aveva fatto in negozio, è così vicino che potrebbe baciarmi da un momento all’altro, quanto vorrei che lo facesse).

Con mille perplessità accetto, a condizione che mi dia il suo cellulare, voglio evitare foto o scherzi spiacevoli. Vado in bagno, mi spoglio e ringrazio me stesso per aver deciso di depilarmi completamente prima di partire, è una buona abitudine che ho ormai preso da diversi anni. Indosso il perizoma, cavoli se mi sta bene, non ho mai visto la sua ragazza di persona, ma secondo me se lo sogna il mio culetto. Tentenno un po’, sarò rimasto 10 minuti abbondanti in bagno, ma alla fine prendo un po’ di coraggio e torno in camera:

Io: “come sto?”
Stefano: “ahaha ma nun te fai schifo?”
Io: “cosa?”
Stefano: “te lo dico in italiano, non-ti-fai-schifo?”
Io: “ma mi hai chiesto tu di indossarlo”.
Stefano: “perchè, se te dicevo de buttarte dar terazzo, te che facevi? Te lanciavi?”
Io: “vabbè questa pagliacciata finisce qua”.
Stefano: “no, non finisce qua”. (Mi fa indietreggiare di due passi e finisco con le spalle al muro, con le sue mani poggiate sulla parete per impedirmi di spostarmi).
Io: “togli subito quelle mani e fammi passare”.
Stefano: “fai il tono autoritario adesso? ma ‘ndo vai? Manager di qua, manager di là e guarda come ti sei ridotto, a guardare cazzi in doccia e con il perizoma da donna ficcato nel culo”.
Io: “Stefano, smettila”.
Stefano: “cambia tono, tu non mi comandi, anzi, tu non puoi comandare proprio nessuno” (con la sinistra mi palpa il culetto e con la destra mi da due schiaffi in viso, uno di dritto e uno di rovescio).

Resto impietrito. Mai nessuno si era mai comportato in questo modo nei miei confronti e non avrei mai neanche lontanamente immaginato che la serata avrebbe preso questa piega. Questa mia assenza di reazione ci lascia in un silenzio lungo qualche secondo, ma che percepisco come un’eternità, finché non mi spinge sul letto a 4 zampe:
Stefano: “adesso ti faccio vedere l’unica cosa che puoi fare, manager”.
Mi sposta il perizoma, si inumidisce il cazzo già duro con un bel po’ di saliva e me lo butta tutto dentro. Così, di colpo, senza prepararmi o senza preoccuparsi del mio benessere. Lancio un urlo fortissimo, che però non lo ferma, mi dà una sculacciata (come ad intimarmi di non muovermi) e inizia ad incularmi con forza. Sento il suo cazzo grosso che mi apre in due, il dolore è lancinante, ho bisogno di un approccio più soft, gli chiedo di fermarsi ma non risponde, continua a darmi colpi di cazzo sempre più forti, tenendomi per i fianchi. Ormai sento le sue palle che sbattono sul mio culo e inizia a piacermi avere il suo cazzo dentro di me, mi sta inculando magistralmente, come nessuno aveva mai fatto in tutta la mia vita. Ad ogni colpo sento il mio culo che si apre, facendomi male, non si sta minimamente preoccupando del mio benessere e del mio godimento, sento solo lui ansimare, come se volesse farmi male con il suo cazzone.
Ad un certo punto mi dà dei colpi più forti dei precedenti, al ritmo di “ricchione, frocio, rottoinculo” e viene dentro di me, completamente. Resta fermo qualche secondo, si rimette mutande e jeans, e va via frettolosamente dalla stanza, senza salutarmi e aggiungere altro.

Sono steso sul letto e, senza volerlo e senza potermi fermare, scoppio a piangere a dirotto. Sono stato inculato da Stefano, erano mesi che lo desideravo e in fondo mi è anche piaciuto, quel ragazzo sa come si scopa. Ma è stato tutto tanto diverso da come lo avevo immaginato, è stato veloce e decisamente umiliante, mi sento di essere stato sminuito come persona e come professionista. Piango per diverse ore, mi addormento solo alle 5 del mattino, senza avere la minima idea di come comportarmi nei giorni successivi.

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