Lucy – Un nuovo inizio – Bad Day

Lucy – Un nuovo inizio – Bad Day

Due giorni dopo festeggiai con Lele i nostri primi tre mesi insieme, e fu un successo su tutta la linea: l’outfit regalatomi dai cinesi fece un figurone col mio amico, e mi donai a lui per un’intero pomeriggio durante il quale sembrava non essere mai appagato nonostante i numerosi orgasmi di cui ricevetti il frutto nella mia bocca e nelle mie budella.
E, soprattutto, i miei timori legati al rapporto col cinese superdotato si rivelarono infondati; temevo infatti che Lele potesse accorgersi di un qualche “allargamento” del mio buchino e che, sempre per lo stesso motivo, non “sentissi” più il suo cazzo dentro di me come prima, ma grazie all’elasticità dei tessuti muscolari, lui non si accorse di nulla ed io mi gustai tutte le sensazioni di due, tre, quattro inculate selvagge di fila che mi lasciarono col buchino davvero devastato. Forse la prima penetrazione risultò leggermente più facile del solito, ma non sapevo dire se fosse stato davvero così o solamente una mia impressione.
E così mi concessi il lusso di incontrare nuovamente i due orientali. Per altre tre o quattro volte andai in negozio da loro all’ora di chiusura inventando una scusa con i miei, e mi offrii a loro facendoli godere della mia bocca e del mio culo e, ovviamente, godendo ogni volta anche io di quei due stupendi cazzi. Lo zio mi regalò anche dei nuovi capi di intimo, che accettai anche se dava un po’ l’idea della “marchetta”; in fondo se ero lì era perché volevo davvero essere sfondata dal suo meraviglioso cazzo, se poi potevo farlo sfoggiando delle nuove calze o una nuova catsuit, in fondo era ancora meglio.
Il dolore della prima penetrazione, poi, era solo più un ricordo; ormai il mio buchetto aveva preso le misure a quell’arnese e ora, anche quando me lo infilava completamente nel culo senza troppi riguardi, non sentivo più dolore ma solamente piacere.
Anche Lele gradì i nuovi capi, e non si fece troppe domande; come tutti i ragazzi innamorati, che vedono solo quello che vogliono vedere, mi credette quando gli dissi che avevo fatto delle spese pazze per i nostri incontri.
Poi, un giorno, arrivò la brutta sorpresa. O meglio, più di una. Ma andiamo con ordine.
Quel giorno io e Lele dovevamo vederci, avremmo avuto la casa libera e pregustavo già un pomeriggio di sesso sfrenato. Lui stesso due o tre volte, negli intervalli e nei cambi d’ora, mi aveva fatto sentire la sua erezione attraverso la sottile stoffa dei pantaloni sulle mie natiche, passandomi “innocentemente” alle spalle.
Poi, quando mancava un’oretta all’incontro, una telefonata. Un imprevisto, e l’incontro salta.
Ormai calatomi nei panni di Lucy (sia emotivamente che fisicamente, visto che sotto i pantaloni indossavo già perizoma ed autoreggenti) reagii da ragazza delusa mandandogli mentalmente più di un accidente e pensando a come evitare che il pomeriggio piccante diventasse un pomeriggio noioso davanti ai videogiochi.
La risposta fu semplice: misi l’armamentario per la trasformazione nello zainetto e mi diressi verso il negozio dove sapevo che avrei trovato due splendide nerchie pronte per il mio culo, ingolosito e poi lasciato a becco asciutto da Lele,
Arrivato al negozio mi accorsi subito che il ragazzo alla cassa non era quello che conoscevo, perciò lo salutai distrattamente e iniziai a girare per il negozio alla sua ricerca. Non trovando né lui né lo zio (le altre volte almeno uno dei due era sempre presente) inventai una scusa e chiesi informazioni alla cassa riguardo ad un accessorio elettronico non presente negli scaffali, che lo “zio” mi aveva assicurato che sarebbe arrivato di lì a qualche giorno. Il ragazzo alla cassa mi disse che non ne aveva idea e quando gli chiesi di poter parlare con lo “zio” mi rispose che purtroppo era tornato in Cina (e con lui, pensai, anche il ragazzo).
“Una giornata davvero di merda!” pensai tra me, ma non sapevo che il peggio doveva ancora venire.
Uscii dal negozio e il rumore di un cinquantino mi fece sobbalzare.
Mi voltai, e vidi davanti a me l’ultima persona che avrei voluto incontrare.
Gianni infatti era lì davanti a me, sul suo motorino, e mi canzonava.
“Toh, l’altro ricchione… sei venuto a comprarti una borsetta nuova?”
Non sapeva quanto fosse vicino alla realtà, ma per mantenere il mio ruolo lo insultai e feci per andarmene voltandogli le spalle.
E fu il mio più grave errore. Infatti Gianni, cercando di trattenermi, mi afferrò per lo zainetto. La cerniera cedette e lo zainetto si aprì rivelando ai suoi occhi il contenuto dello stesso.
Inutilmente cercai di respingere il bullo, che prontamente aveva raccolto la parrucca e una scarpa cadute sul marciapiedi davanti a lui, mentre dallo zainetto aperto, girandomi, facevo cadere anche la catsuit nera che avevo portato per l’incontro con i miei amanti.
Ovviamente prese ad interrogarmi e a sfottermi per quel materiale che portavo con me, che spiegava più di mille parole quali fossero i miei giochi segreti e cosa mi legasse a Lele. Per fortuna non poteva sapere dei rapporti avuti con i negozianti orientali, ma quello che immaginava era già più che sufficiente per sputtanarmi a vita.
Dall’umiliazione e alla presa in giro al ricatto il passo fu breve, per un individuo senza morale come Gianni.
Mi disse di raggiungerlo alcuni isolati più in là, dove i suoi affittavano un box auto che utilizzavano come magazzino ma che con gli anni era diventato la “base” di Gianni e dei suoi amici; inutile dire che su quest’ultimo punto immaginai subito di ritrovarmi alla mercè dei tre come la volta scorsa, ma con sorpresa scoprii che, se l’incazzatura non accennava a sminuire, dall’altra parte non c’era paura o ribrezzo, ma quasi una punta di eccitazione ad immaginarmi in quella situazione, quella in fondo che avevo sognato e che aveva dato alla luce la mia identità segreta di Lucy.
Arrivato al box, infatti, vidi ad attendermi solamente Gianni, e se come Luca ne fui sollevato, dall’altra l’anima lussuriosa di Lucy si rivelò quasi delusa.
Entrai in quel locale angusto e vidi subito che un vecchio divano, probabilmente di solito usato da Gianni e dai suoi amici quando si ritrovavano, era stato aperto in modo da poterlo utilizzare come divano letto, nel caso le intenzioni del bullo non fossero state ancora chiare; gli buttai sopra il mio zaino, che riversò sul materasso quasi tutto il suo contenuto, e mi rivolsi verso Gianni, che mi fissava sogghignando cattivo.
“Allora questa è la suite imperiale?” gli chiesi, aggiungendo poi “Vuoi uscire da solo o ti devo cacciare fuori a calci in culo?”
Sorrise, ma intanto uscì dal box. Sapeva che, finocchio o meno, uno contro uno non aveva speranze e l’avrei cacciato fuori sul serio a calci.
Mi spogliai, quasi sicuro che lui, da fuori, mi stesse spiando attraverso le piccole feritoie nel portone; con consumata lentezza indossai la catsuit e la parrucca, oltre alle scarpe col tacco. Stavo per chiamarlo quando mi cadde l’occhio sulla piccola pochette dei trucchi, ricuperati un po’ da mamma e un po’ dai cinesi.
Con l’aiuto dello specchietto retrovisore di una bicicletta mi truccai alla bell’e meglio, un po’ per vanità femminile che veniva a galla anche in una situazione sordida come quella, e un po’ perché un’idea folle mi stava frullando in testa.
Mi sdraiai sul materasso, pensando di non essere certamente la prima ragazza che vi sarebbe stata scopata (ma sicuramente la prima con un cazzo tra le gambe!) e cercai di assumere una posa ed un’espressione provocanti, e chiamai Gianni, che subito aprì la porta del box.
La faccia che fece vedendomi, nonostante cercasse di nasconderlo, mi confermò che i miei sforzi erano arrivati, almeno per ora, a buon fine. Forse pensava di vedere la grottesca caricatura di un uomo ridicolo in panni femminili, e invece quella che vedeva davanti a lui era una bella femmina viziosa e sensuale ancorchè cazzuta.
“Allora? Sei contento?” gli dissi per provocarlo.
“Beh… avevo ragione a dire che eri anche tu un ricchione… comunque sembri proprio una femmina” fu la sua risposta, e tenendo conto del livello del mio interlocutore lo ritenni un complimento di quelli già esagerati.
“Già… allora cosa dobbiamo fare? Hai visto? Ti sei rifatto gli occhi? Posso andare?” gli dissi sprezzante, facendo come per alzarmi e andarmene, ben sapendo che non sarebbe finito tutto lì.
Gianni cercò di ricuperare il controllo della situazione spingendomi nuovamente sul materasso e slacciandosi i pantaloni. Il pene che ne estrasse non era pienamente eretto, ma comunque dava già segni di reazione a ciò che vedeva davanti a sé.
Seduta sul letto, lo presi delicatamente in mano sentendolo fremere al mio tocco, e subito Gianni si avvicinò al mio viso, alla mia bocca.
Baciai quel membro che mi veniva offerto, e con un paio di leccate lo sentii raggiungere la piena erezione, non senza un briciolo di autocompiacimento; io dovrei essere la vittima, quella da umiliare e deridere, ma in realtà sono quella che fa ergere questo membro che ora accolgo tra le mie labbra, che lo porta alla sua piena potenza virile.
Succhio quel membro che non è sicuramente fresco di doccia, ma non sono di certo nella posizione per sottilizzare, e i sospiri di Gianni, che ora accompagna i movimenti della mia testa con le sue mani sui capelli corvini della parrucca, mi confermano che tutto pare procedere nella direzione giusta.
Qual era il mio piano? Sicuramente lui aveva l’intenzione di umiliarmi e, magari, di sputtanarmi in giro. Ma se io gli avessi dimostrato che una Lucy accondiscendente forse sarebbe stata più interessante di un Luca umiliato e svergognato davanti al mondo, chissà… forse la situazione sarebbe potuta volgere a mio favore. Certo, sarei dovuta diventare la concubina di Gianni, che non era di certo il mio ragazzo ideale, ma se questo era il prezzo da pagare per il suo silenzio, era un prezzo che, come Lucy, ritenevo più che accettabile.
Tanto più che il semplice fatto di succhiare il suo membro mi aveva fatto completamente dimenticare il modo in cui eravamo arrivati in quell’alcova improvvisata, e ora sentivo crescere il desiderio di ricevere quel nerbo virile nel mio culo, che aveva desiderato quello di Lele prima e quello del cinese poi, ma senza ricevere alcuna soddisfazione.
Questi pensieri furono interrotti da Gianni che all’improvviso mi spinse il suo cazzo fino in gola quasi a soffocarmi, grugnendo: “Toh… toh… frocio di merda… rotto in culo” prima di riempirmi la bocca col suo liquido salato che ingoiai fino all’ultima goccia.
Poi, ripresa dai conati di vomito, impugnai il membro che ancora gocciolava bava e sperma, e presi a ripulirlo devotamente con la lingua, fissando Gianni negli occhi.
Era chiaro che il suo era un modo di esorcizzare ciò che sarebbe stato palese a chiunque: io sono un frocio, un travestito, è vero.
Ma “Tu stai godendo come non mai grazie alla mia bocca, e quindi forse sei un po’ frocio anche tu…” gli dissi, mentre il suo sesso non accennava a perdere l’erezione grazie al mio lavoro di bocca.
Gianni andò su tutte le furie. “Stai a vedere come ti rompo il culo, brutto ricchione” mi urlò, e io maliziosamente lasciai andare il suo uccello e mi posi a quattro zampe sul materasso, invitandolo a passare all’azione.
“Dai allora… fammi vedere… fammi vedere come scopi il ricchione” lo stuzzicai.
In un attimo mi fu addosso, e, dopo aver appuntato la cappella al mio buchino, spinse a fondo forzandomi lo sfintere e sprofondandomi con tutti i suoi centimetri nel culo. Vero che il mio culo era ormai abituato alle dimensioni ben superiori di Lele e del cinese, ma l’assenza di una qualsiasi preparazione o lubrificazione mi fece piangere dal dolore.
Iniziò senza alcun riguardo a pompare nel mio intestino che, a fatica, cercava di adattarsi a quella penetrazione violenta; da parte mia, cercando per quanto mi fosse possibile di ignorare il dolore, iniziai a partecipare attivamente alla scopata, divaricandomi le natiche con le mani e andando incontro con il mio basso ventre a quel cazzo che, ormai, usciva completamente dal mio buco per poi riaffondare fino ai testicoli.
“Tieni, brutto frocio… ti ho rotto il culo, eh?” mi insultava continuando a scoparmi; il fatto di essere appena venuto, poi, gli garantiva una maggior resistenza e prevedevo che quel supplizio sarebbe durato a lungo. Per fortuna, però, il dolore era cessato, e se non potevo dire che fossi contenta della durata di quell’inculata, ora almeno intendevo godermela come meritava.
“Sì… sfondami… sfondami…” mormorai, un po’ per lusingarlo e un po’ per autentico desiderio di ricevere colpi di cazzo sempre più violenti, sempre più profondi all’interno del mio culo.
“Ti piace farti rompere il culo, eh? L’ho sempre detto che eri ricchione e che te la facevi con l’amico tuo… ma adesso te lo apro per bene, altro che quel frocetto…”
Mi venne da sorridere, pensando che Lele, il “frocetto”, era in realtà molto più dotato di Gianni, ma se in un altro momento non avrei perso l’occasione per dargli una cocente delusione, oggi non potevo permettermelo.
“Certo che mi piace… e a te? A te piace il mio culo?” gli dissi maliziosa.
Sbuffando, Gianni rispose: “Hai un culo aperto come una zoccola… Mi stai facendo godere…” poi intensificò i colpi e, dopo una lunga cavalcata scandita dai miei gemiti e da alcuni suoi insulti sempre più sconnessi, urlò e mi riempì il culo col suo sperma caldo, mentre anche io me ne venivo schizzando sul materasso sotto di me.
Restò così, steso sopra di me, a riprendere fiato, e pensai che fosse il momento di provare a sondare il terreno.
“Sì… direi che ti è piaciuto il mio culo… ma allora se ti è piaciuto il culo del ricchione…” e lasciai la frase in sospeso per fargli capire che almeno un pochino la figura del “frocio” l’avrebbe fatta anche lui, se fosse andato a raccontare tutto in giro. Certo, io ero quello messo peggio. Avevo avuto il ruolo passivo e per di più ero vestito da donna, ma comunque alla fine della fiera anche lui aveva goduto con un altro uomo.
Pur non essendo un fulmine di guerra, Gianni capì il mio messaggio, e rispose, mentre il suo sesso ormai moscio si sfilava da me: “Beh… è come quello di una donna… è come farlo con una donna, una mezza donna…”
Scivolai via da sotto di lui, e guardandolo gli dissi calma ma ferma: “E quindi ti è piaciuto”
Dopo una lunga pausa, rispose semplicemente “…sì”.
Ora Luca l’avrebbe riempito di botte fino all’indomani. Ma per sua fortuna ora lì con lui c’era Lucy, che doveva salvare la situazione.
Per cui, cercando di essere il più dolce possibile, gli dissi: “Non temere, anche a me è piaciuto. Non mi è piaciuto come è successo, col ricatto e tutto… ma la cosa in sé mi è piaciuta”
Lui taceva, così lanciai il colpo decisivo.
“Se mi dai retta, quello che è successo qui rimane qui… quello che è successo e quello che dovesse succedere…”
Il messaggio era chiaro. E immagino quanto Gianni fosse combattuto. Mi aveva portato qui per umiliarmi e invece il gioco ha preso una piega inaspettata. Forse anche piacevole, ma senza dubbio lontana anni luce da quanto aveva previsto.
Disse solo: “Ok…” e aggiunse: “Vestiti, ora” uscendo di nuovo dal box.
Ritornando nei miei panni maschili, pensavo che forse la giornata, nata male e continuata peggio, alla fine mi aveva dato la possibilità di giocare le mie carte e trasformarla in una giornata positiva: ci avevo guadagnato una scopata piacevole e un possibile nuovo “compagno di giochi”.
Uscii dal box, e salutai Gianni con un laconico “a domani” senza però il tono sprezzante di due rivali che devono incontrarsi per fare i conti, ma quasi come un appuntamento al quale sarà piacevole recarsi.
Allontanandomi, sentii distintamente, dietro di me, il rombo di due cinquantini elaborati e mi voltai: i due amici di Gianni, quelli del magazzino della palestra, erano andati a cercarlo in quella che era la loro “base” e tirai un sospiro di sollievo al pensiero che, se fossero arrivati un attimo prima, ci avrebbero sorpresi sul fatto…

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