Lucy – Lockdown blues (6 – Fine)

Lucy – Lockdown blues (6 – Fine)

Non potevo più negarlo ai ragazzi. E soprattutto  non potevo negarlo a me stessa.

Avevo scoperto il piacere sublime di farsi sfondare il culo, di succhiare uno o più cazzi e di berne avidamente lo sperma.

Ormai giravo abitualmente per casa en femme, ricuperando i miei panni maschili solo le poche volte che mi toccava di uscire all’esterno della casa. E, tranne qualche rara pausa per lo studio, passavo le mie giornate dispensando seghe e pompini ai miei coinquilini, mentre le serate erano quasi tutte all’insegna di ripetuti sfondamenti del mio povero culo ad opera di uno, due o tutti e tre i ragazzi.

Qualche volta mi capitava anche di passare la notte con uno o con l’altro, addormentandosi nel mio letto dopo una scopata memorabile, e gli davo la sveglia al mattino con un dolce pompino con l’ingoio.

Avevo prima accettato quella mia personalità nascosta, e poi l’avevo lasciata completamente libera di vivere, di esprimersi e di dare sfogo alle proprie passioni, con sommo godimento suo e dei miei compagni di corso. Con qualche giorno di esperienza avevo anche affinato le mie capacità, oltre che in materia sessuale, anche in tema di trucco: seppure i lineamenti non fossero comunque dolci come quelli di una ragazza, la magia della cosmesi mi trasformava in una donna forse bruttina, ma pienamente femminile.

Proprio una di quelle sere, mentre Gianni mi aveva appena riempito il culo di sperma e stavo succhiando alternativamente i cazzi degli altri due, la televisione dimenticata accesa diede la notizia che ormai tutta Italia attendeva da tempo.

Di lì a pochi giorni avremmo potuto spostarci liberamente da una regione all’altra, come si vociferava da qualche tempo vista la discesa continua del numero dei malati.

Ovviamente il resto della serata passò al telefono con le rispettive mamme, che ci tempestarono di chiamate per sapere quando saremmo rientrati a casa e per annunciarci che ci avrebbero “preparato qualcosa” che nel linguaggio della mamma media italiana significa un pranzo da otto portate.

Finalmente arrivò la vigilia del grande giorno. Quel giorno uscii di casa, ovviamente in abiti maschili, per “fare delle commissioni” visto che ormai anche le restrizioni per la spesa si erano notevolmente allentate.

Riuscii a portare in casa le borse contenenti i miei acquisti senza farmi notare dagli altri, volevo che il loro contenuto fosse una sorpresa per gli altri, e mantenni appositamente i panni maschili per tutto il resto della giornata affinchè i tre lo interpretassero come un tacito segnale di “non predisposizione al sesso”, mentre in realtà volevo che quella in arrivo fosse una serata da ricordare.

Dopo cena, poi, dissi agli altri che me ne andavo in camera lasciandoli indubbiamente un po’ delusi.

Delusione che lasciò il posto all’eccitazione quando, poco più tardi, li invitai a gran voce a raggiungermi.

Ero là, sul letto.

Ma non ero più il ragazzo bene o male mascherato da femmina indossando i panni della sorella di Marco e con un po’ di trucco. Sulle lenzuola era mollemente adagiata una strana femmina con indosso un body di pizzo nero aperto al cavallo, un paio di autoreggenti nere e ai piedi scarpe col tacco rosse. Il viso era truccato vistosamente e incorniciato da una cascata di riccioli biondi. Una femmina da letto in tutto e per tutto, se non fosse stato per quel cazzo duro che spuntava tra le mie gambe, ma che forse mi rendeva ancor più perversamente eccitante.

Avevo acquistato tutto in un paio di negozietti della zona, cercando di ignorare i prevedibili sorrisi delle commesse; mi vergognavo come un ladro, ma al contempo ero eccitatissima vedendomi già addosso quei pizzi e quel nylon che avevo tra le mani. Per le scarpe ammetto che mi trovai veramente in difficoltà a reggermi sui tacchi, ma in fondo, almeno per quella sera, non avrei dovuto fare grandi camminate, per cui il pericolo di cadute rovinose o, comunque, di muovermi come un goffo tirannosauro, era scongiurato, mentre l’accessorio avrebbe comunque potuto garantire quel fascino in più.

I tre rimasero a bocca aperta vedendo l’avvenuto completamento della mia metamorfosi da bruco a farfalla; se durante quel periodo di convivenza forzata avevo rappresentato un piacevole diversivo erotico, ma comunque un ripiego, ora davanti a loro c’era un vero oggetto del desiderio, una ragazza che avrebbero seguito per la strada cercando di agganciarla, una a cui avrebbero dedicato volentieri le loro seghe notturne nel letto di casa.

Una, soprattutto, a cui ora non vedevano l’ora di mettere le mani addosso e che si sarebbero scopata in ogni modo possibile fino allo sfinimento.

“Vi piaccio?” dissi civettuola, e le loro risposte mi diedero un brivido. Sentirmi dire “Sei bellissima” da quei tre ragazzi mi riempi infatti di orgoglio, ma soprattutto fu il sentirli riferirsi a me al femminile. Già da giorni ero abituata a sentirmi chiamare Lucy, a sentirmi apostrofare al femminile, ma stavolta lo sentivo, da quei tre, mentre mi guardavano con gli occhi pieni di ammirazione e di voglia.

Allungai la mano verso il più vicino dei tre, che era il padrone di casa, e strinsi le dita sul suo membro che era già decisamente turgido, a quanto sentivo attraverso la stoffa leggera.

“Volevo festeggiare degnamente con voi la fine della reclusione… e il ritorno alla normalità…” dissi ai tre; poi, intuendo che le mie parole potevano essere mal interpretate come una “fine dei giochi” aggiunsi: “…a questa NUOVA normalità”, abbassando i pantaloni della tuta di Marco e liberando così il suo cazzo in piena erezione.

Mi misi in ginocchio sul letto e cominciai a succhiare golosamente quel membro virile, mentre le mani degli altri due ragazzi avevano già iniziato ad accarezzarmi, a palparmi tutta.

Mi sentivo BENE. Mi sentivo FEMMINA. Mi sentivo DESIDERATA e forse… amata da quei tre?
Come mi consideravano e come dovevo considerarmi io stessa? La loro “fidanzatina speciale”? Una bambola per svuotare i coglioni? Una sacerdotessa del sesso o una regina che sfrutta sessualmente i suoi servitori?

Non ero nulla di questo, forse, o forse ero tutte queste cose insieme.

Ero una femmina cazzuta alle prese con tre ragazzi aitanti, che nel frattempo si erano spogliati e mi offrivano i loro sessi rigidi affinchè li facessi godere con la mia bocca e, a breve, col mio culo, vergine fino a poco tempo prima e ora divenuto accogliente come una figa femminile.

Ben presto furono tre i cazzi a cercare la mia bocca, litigandosi l’accesso o strusciandosi sul mio viso dove lasciavano colature di bava e precum. Il quarto cazzo, il mio, pulsava ed era duro come non mai, ma cercavo di non sfiorarlo assolutamente per evitare di venire prima del tempo.

Ad un certo punto smisi di succhiare quei tre adorabili cazzi, e mi sollevai sul letto.

“Questa deve essere una notte da manicomio…” dissi, guardandoli in viso.

Poi, scendendo dal letto, chiesi loro di sedervicisi uno accanto all’altro.

Inginocchiata davanti a Paolo, che era in centro, iniziai a succhiare il suo grosso arnese, masturbando nel frattempo i due che si trovavano alla sua destra e alla sua sinistra. Poi, smettendo per un attimo di succhiare Paolo, mi piegavo a sinistra e a destra per succhiare gli altri due, e poi ricominciavo quella girandola di pompini, col sottofondo costante dei sospiri di godimento dei miei tre amanti, che apprezzavano quanto stavo facendo loro.

Sentendoli prossimi all’orgasmo, presi a succhiarli ancora più appassionatamente fino a che Gianni, per primo, con un urlo strozzato mi riversò il suo sperma in gola.

Feci appena in tempo a passare all’uccello di Marco, per ricevere anche i suoi schizzi, ma non arrivai in tempo al terzo uccello, quello di Paolo. I suoi getti biancastri mi colpirono sul viso, riducendomi ad una maschera di sperma e trucco disciolto, Presi comunque in bocca il cazzo di Paolo succhiandone i residui di seme, mentre Marco mi strusciava il suo uccello ormai non più eretto sul volto spalmandovi dovunque la sborra dell’amico.

“Guardate come mi avete conciata!” dissi, fintamente arrabbiata, guardandomi allo specchio mentre i tre, seduti sul mio letto, riprendevano fiato.

“Vado a rifarmi il trucco… non scappate, eh?” dissi, portando con me in bagno la pochette dei trucchi. Mi lavai il viso e iniziai a truccarmi da capo, mentre dalla camera mi arrivava l’eco delle battute e delle risate dei miei amici. Sentivo le loro voci ma non capivo le parole, sebbene non ci volesse molta fantasia riguardo all’argomento della conversazione, cioè quella ragazza col trucco vistoso che ora mi sorrideva dallo specchio.

Presi dalla pochette il flaconcino del lubrificante spremendone un pochino sulle mie dita; spalmai il gel sul flaconcino stesso e, piano piano, me lo infilai nel culo. Se la prima volta, alcuni giorni fa, avevo incontrato qualche resistenza alla penetrazione anche con l’ausilio del lubrificante, stavolta grazie al ripetuto allenamento a cui il mio buchetto era stato sottoposto negli ultimi giorni, sentii scivolare in me quell’oggetto di forma fallica alla prima spinta.

“Ehi… spero che la festa non sia già finita così!” dissi ai tre, semisdraiati sul mio letto, mentre rientravo in camera dondolando sui tacchi.

Subito si alzarono e si avvicinarono a me, iniziando a toccarmi cosce e natiche, mentre io allungavo le mani a cercare i loro bastoni di carne, che sotto le mie carezze riprendevano magicamente l’erezione.

Presi Marco per la mano, e lo portai con me al mio letto. Sdraiandomi sulle lenzuola lo attirai a me, e sollevando le gambe gliele posi sulle spalle.

“Inculami” gli dissi in un soffio, e poi presi le sue labbra in un bacio appassionato, che fu accompagnato da un “oooh!” degli altri due.

Marco mi scopava inculandomi a fondo e strappandomi gemiti di godimento che spesso venivano soffocati da altri baci bollenti. Ora, dopo la prima eiaculazione, ero certa che ci avrebbe messo più tempo a venire, e mi godevo il vai e vieni del suo cazzo nel mio intestino.

Dopo lunghi minuti di colpi ritmati nel mio culo, però, alla fine lo sentii urlare il mio nome e schizzare il suo sperma in me. Quando si ritrasse, mentalmente sperai che il prossimo a scoparmi fosse Gianni. Avendo un cazzo più piccolo di quello di Paolo, dopo il passaggio di quel “gigante” non mi sarei più goduta appieno la sua inculata, ma non potevo certo chiederlo esplicitamente per non creare malumori tra i miei piccoli “maschi alfa”.

Mi andò bene, e dopo un attimo era Gianni ad affondare con spinte violente il suo cazzo nel mio culo sfondato e lubrificato dallo sperma dell’amico.

Lo guardavo negli occhi mentre mi scopava, chiedendomi se anche lui avrebbe voluto, o almeno accettato un bacio. Pensai ad un discorso che avevo sentito tempo prima, secondo cui “le puttane non baciano”, perché il bacio è, in fondo, qualcosa di più intimo anche di farsi sfondare il culo, è ciò che trasforma lo scopatore in un amante.

Fu lui a togliermi d’impaccio, infilandomi la lingua in bocca proprio mentre, intensificando i colpi, mi faceva un vero e proprio clistere di sperma.

Paolo non vedeva l’ora di godere del mio culo, ma dopo due scopate in quella posizione le gambe iniziavano a farmi male.

Lo feci perciò sdraiare sul pavimento, per poi sedermi su quel meraviglioso obelisco di carne che svettava dal suo basso ventre.

In quella posizione me lo sentivo arrivare fino allo stomaco, ed alzandomi e abbassandomi a ritmo mi sentivo riempire le budella per poi lasciarmi una sensazione di svuotamento quando mi sollevavo nuovamente.

Stretto un patto con i primi due, anche lui non poteva sfuggirmi: mi impalai su quel suo splendido cazzo fino alle palle e poi provai, non senza difficoltà, a piegarmi in avanti, fino ad essere sdraiata su di lui.

Mentre Paolo, con colpi di reni da sotto, continuava a pistonarmi l’ano, presi la sua bocca in un bacio bagnato chiudendo definitivamente il cerchio. Là fuori saremmo stati sempre Luca e i suoi compagni di corso. Qui, in queste stanze, lockdown o meno, sarei stata Lucy, la loro donna, la loro amante. Già, perché avevo ormai capito che Lucy non aveva dato a questi tre giovani uomini solamente il culo, ma anche un po’ di cuore. A modo mio li amavo, ed ero disposta a tutto con loro. Anche Paolo intanto stava raggiungendo il suo limite, e con dei colpi di reni fortissimi che mi fecero sobbalzare unì la sua sborra a quella che i suoi amici avevano già versato nei miei intestini.

Il suo sesso uscì dal mio culo ormai devastato; allungai la mano per toccarlo e sotto le dita mi sembrò di avere un cratere molliccio da cui colava sperma. Da vera porca raccolsi un po’ di quel fluido e lo portai alla bocca, leccandomi le dita, ripetendo in fondo quel gesto che aveva dato il via alla mia trasformazione.

Ci addormentammo così, io sul petto di Paolo, ma nella notte fui svegliata da un membro duro, quello di Gianni, che tentava nuovamente di penetrarmi analmente.

Inutile dire che la giostra riprese a girare, e per un’altra ora e mezza succhiai cazzi, ingoiai sperma e il mio povero culo fu sfondato senza alcun ritegno.

Quando tutti fummo venuti ancora una volta, baciai i miei tre amanti, i quali non sembravano preoccuparsi più di tanto del sapore dello sperma che ormai avevo permanentemente in bocca, e chiesi un po’ di tregua.

Marco chiese agli altri due: “Ragazzi non so come la pensate… per me sarebbe carino se Lucy d’ora in poi fosse nostra ospite. Se siete d’accordo direi di tassarci un po’ per uno per ridurle l’affitto”

Capivo che più che per galanteria lo suggeriva per invogliarmi a rimanere per tutto il tempo dell’università, ma accettai lo sconto, suggerendo a mia volta “Beh, quello che risparmio dall’affitto lo posso investire in un guardaroba nuovo… mi avete sfasciato le calze e la parrucca puzza di sperma!” e tutti scoppiarono a ridere.

Gianni aggiunse: “Ok, vada per lo sconto… ma ovviamente tutto quello che succede in questa casa non deve uscire da queste quattro mura”

Con la faccia imbronciata dissi: “…è un peccato però…”

I tre mi guardarono sorpresi, dopotutto io ero, dei quattro, la persona che avrebbe avuto più difficoltà se la cosa fosse diventata di dominio pubblico.

“…all’Università ci sono tanti altri ragazzi carini da conoscere!”

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