Ti allaccio il collare di cuoio

Ti allaccio il collare di cuoio

Ti allaccio il collare di cuoio. È nero, liscio, con un piccolo anello d’argento dove se volessi potrei agganciarci un guinzaglio.

Indossi un corpetto nero che ti stringe in vita e ti tiene alte le tette. Hai delle autoreggenti nere, un perizoma sottile e le scarpe con i tacchi a spillo, che non ti piacciono ma che in questo momento sono perfette.

Ti avvicino al tavolo, ti allaccio polsiere e cavigliere, mentre tu resti immobile. In mia balia. Ti faccio inginocchiare, con la gamba del tavolo appoggiata alla schiena, lo spigolo sul tuo culo. Ti lego insieme i polsi, e i polsi alle caviglie.

Io sono in piedi davanti a te, ancora perfettamente vestito.

Ti guardo, tu mi guardi. Ti mordi le labbra, perché non lo avresti mai pensato ma questa cosa ti piace un sacco.

Mi slaccio lentamente il bottone dei jeans, abbasso la cerniera. Tiro fuori il cazzo dai boxer, e pare che tu non sia l’unica ad essere già pronta.

Te lo avvicino alle labbra, e tu lo vorresti. Cerchi di sporgerti, ma sei legata al tavolo e non ci arrivi. Mancano ancora un paio di centimetri, allora sporgi la lingua per cercare almeno di toccarlo. Ci riesci, ma appena.

«Stringi le labbra» ti dico.

E tu lo fai.

Mi avvicino, premo la cappella contro le labbra serrate. Cerchi di fare un po’ di resistenza, ma è solo scena. Perché in realtà lo vuoi in bocca, e quando le labbra cedono entra tutto, finché le tue labbra toccano le palle.

Io rimango fermo, e ti ordino di succhiarlo. Intanto ti prendo per i capelli dietro la nuca, e accompagno il movimento.

Dopo qualche minuto esco, la saliva ti cola dalle labbra e cola dal mio cazzo. Ti sciolgo, ora non sei più legata. Ti faccio alzare, ma poi ti lego di nuovo i polsi, dietro la schiena. Ti piego a novanta sul tavolo, senti il freddo contro i capezzoli e la pancia.

Sei già mostruosamente bagnata, sei bagnata fino a metà coscia. Scosto il perizoma sulla destra. Entro dentro di te senza la minima difficoltà. Arrivo fino in fondo, piano; poi esco del tutto. Lo ripeto per 5 o 6 volte. Poi esco.

Quando mi preghi di rientrare ti schiaffeggio con forza sulla natica sinistra.

Poi entro di nuovo dentro di te, più veloce stavolta.

Un’altra decina di colpi, poi esco. Ancora uno schiaffo, più forte, sulla natica sinistra.

Comincia a comparire l’ombra rossa della mia mano.

Ripeto più volte, finché non ti rendi conto che hai solo una decina di colpi per venire, non di più. Allora ti concentri, sperando che bastino.

Ma non bastano mai.

Quando sono stanco ti prendo per i capelli e ti faccio alzare. Ti slego le mani, te le lego di nuovo sulla pancia. Ti tolgo il perizoma.

Io mi siedo sul divano, tu ti siedi sul cazzo, girata di schiena.

«Puoi masturbarti il clitoride, se vuoi, ma devi andare su è giù, Piano.».

E tu esegui.

All’inizio non ti tocchi, cerchi il ritmo. Quando lo trovi non resisti, e allora cominci a toccarti il clitoride, prima piano, poi con più forza. Quando hai due orgasmi contemporanei te lo stai quasi staccando con le dita.

A quel punto di faccio alzare, io mi sdraio sul divano e tu ti metti seduta per terra.

Mentre ti leggo un racconto come questo tu mi masturbi, piano, con le mani ancora legate tra loro.

Quando il racconto finisce mi alzo, prendo un piattino di metallo e lo appoggio sul tavolo. Resto in piedi, con le gambe leggermente divaricate. Tu sei lì tra le mie gambe e mi lecchi le palle, mentre io mi masturbo.

Quando vengo sul piattino ti faccio smettere. Prendo il piattino in mano e mi siedo di nuovo sul divano. Te lo porgo, e ti faccio leccare lo sperma. E tu lo lecchi, mentre ci guardiamo sorridenti negli occhi.

Vederti leccare mi eccita di nuovo. A questo punto che facciamo? Ricominciamo?

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