È un titolo banale, lo so, ma probabilmente è anche una storia banale.
Non ho mai scritto un racconto e non credo che sarei in grado di farlo, non ho fantasia, quindi vi racconterò semplicemente quanto è successo, e le cose che capitano nella vita, spesso, sono banali. Probabilmente sarà scritto male, forse alcuni punti saranno incomprensibili, ma non mi interessa sinceramente, in questo momento, alla tastiera, mi rendo conto che lo sto scrivendo per me, per via del bisogno di raccontare tutto a qualcuno, perché non posso farlo nel mondo reale.
Mi chiamo Valeria, è tutto questo capitolo della mia vista è cominciato quando avevo circa trenta anni, non ricordo bene se poco prima o poco dopo ma non è rilevante. Ero (e sono) sposata, senza figli, una vita passata a studiare fino alla laurea, poi a trovare un lavoro stabile, metter su famiglia, sposarmi. Come dicevo prima, banale. Però, devo essere sincera, non mi mancava niente. Amo mio marito, tenete sempre a mente questo, avevo un lavoro importante è ben retribuito, una bella casa fuori città con diversi ettari di terreno attorno, molti interessi e passioni che potevi coltivare, non mi mancava nulla, eppure, da molto, sentivo un vuoto, una necessità, in bisogno di affermazione a livello molto concreto, fisico, semplice. Non capivo cosa fosse o a cosa fosse dovuto. Eppure era sempre lì, un fantasma che non mi abbandonava, un’angoscia latente, strisciante, che emergeva un po’ di più in momenti casuali, ed era come quando si fa un sogno e improvvisamente ci si accorge che ci stiamo svegliando. Ma non mi svegliavo mai, non sapevo come fare, non sapevo neppure da cosa mi sarei dovuta svegliare. E in realtà non lo ancora adesso dopo molti anni.
Ho portato avanti tutto questo per un bel po, soffocando la sensazione sotto una vita felice, seppellendo il dolore informe con piccole gioie momentanee ma mai affermando me stessa, ma urlando al mondo eccomi, sono io e voglio questo.
L’epilogo di questa sgangherata, prima narrazione arriva quando, dopo aver sistemato senza nessun reale motivo una piccola stalla presente sul terreno intorno alla casa, decisi, praticamente solo per dare un senso all’ aver perso tempo e risorse per ristrutturarla, di prendere un cavallo. So cavalcare, facevo equitazione da piccola, so occuparmi di un cavallo, posso permettermelo, quindi perché non farlo?perchè non ha un senso, ve lo dico io il perché, perché era solo un altro tentativo di riempire il buco dentro con qualcosa legato ad un ricordo d’infanzia. Ma comunque comincio a girare per allevamenti a cercare un cavallo adatto. Ne giro un po’, fino ad um giorno di ottobre in cui mio marito non può accompagnarmi così va di da sola. Qua anche i miei ricordi si fanno un po’ confusi in realtà, con tutta la sincerità del mondo vi dico che è come se vedessi dei fotogrammi più che un ricordo reale, ma per potercelo raccontare devo cercare di ricostruire. Arrivata all’ allevamento non trovo nessuno, così mi dirigo verso al stalla cercando il proprietario. Una volta entrata vedo una stalliere, un ragazzo poco più giovane di me, con una tuta la lavoro. Non ricordo come fosse, non ricordo cosa ci siamo detti (se ci siamo detti qualcosa prima), ricordo solo che improvvisamente avevo capito come soffocare il mio dolore. Mi sono avvicinata togliendomi il maglioncino e l’ho baciato. Ricordo solo la sensazione pungente della barba un po’ lunga. Ricordo poi di essere in ginocchio con il suo cazzo in bocca, di come succhiavo avidamente quel pene, di come lui mi toccava le tette. Non mi bastava, volevo essere più troia, più femmina. Ricordo di avergli detto a bassa voce di insultarmi, poi di essermi alzata, girata, e di essermi fatta scopare a pecora nella stalla mentre lui li chiamava troia, vacca, cagna, puttana. Mi accorgo ora di non essermi descritta…non importa, ditemi voi come mi immaginate nei commenti o scrivendomi.
Non so perché, ma ricordo che mi ha eccitato particolarmente quando mi ha chiamata vaccona di merda. Vaccona di merda. Mi eccita anche scriverlo adesso, dopo tanto tempo. C’è una volgarità in quella frase, un disprezzo, che in qualche modo che non so spiegare mi fa sentire femmina, mi fa sentire sexy. È strano, è sicuramente masochista, ma è stata un’epifania, avevo finalmente capito cosa avrebbe riempito il mio vuoto. Mi è venuto dentro poco dopo, immediatamente dopo il mio orgasmo al sentire i suoi insulti. Non ho detto una parola, mi sono rivestita e me ne sono andata. A casa ho fatto la doccia, mi sono ripulita, mi sono masturbata due volte. La sera, tornato a casa mio marito dal lavoro, avrei voluto raccontargli tutto, avrei voluto farmi scompare da lui in quel modo, avrei voluto dirgli che quella notte non ero sua moglie ma la sua vaccona di merda. Non lo feci, non in quel momento almeno. Facemmo l’amore, fu stupito dal mio impegno, ma niente di più. Lo amavo, lo amo ancora, è l’unica persona che avrei voluto accanto è quella notte, passata senza dormire, presi la decisone che sarei diventata la sua vaccona di merda. Non che avrei voluto, ma che sarei stata. Era finito il tempo delle richieste, ora dovevo affermare me stessa e finalmente sapevo come.
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