Paola e Giulia

Paola e Giulia

Alla fine, li avevano scoperti.
Era stata Paola a capire il gioco, un giorno in cui, nella sua incontenibile curiosità di femmina, si era messa a curiosare nel portatile di Andrea. Era stato un gesto sicuramente censurabile ma… dopotutto, era stato lui l’imprudente. Non aveva pensato a proteggere in alcun modo i files che poi lei aveva trovato.
In quei files c’era tutto: le sue foto, accuratamente censurate per nasconderne il viso, ma che lasciavano in vista il suo corpo; le stesse immagini con sovrapposti commenti osceni di chissà chi, che le aveva viste chissà dove; altre in cui veniva accostata a membri di ogni foggia e dimensione che ne traevano piacere e poi lo riversavano su di lei; chat oscene, fotomontaggi e tanto, tanto altro.
La rivelazione era stata scioccante.
Ma c’era anche dell’altro.
C’era un’altra donna. Il suo nome era Giulia, o almeno così la chiamavano. Era l’oggetto di lunghe conversazioni con quello che sembrava essere a un tempo il marito della donna e un intimo amico di Andrea, ma di cui lei non aveva mai sentito parlare. Andrea si era lasciato andare a fantasticherie pazzesche su quella donna, in un gioco che i due alimentavano a vicenda e che sembrava andare avanti da tempo.
Paola andò a sbirciare in più occasioni il contenuto di quel segreto antro, e un giorno si salvò quei files sul suo computer personale. In questo modo avrebbe potuto esaminare meglio ciò che aveva trovato. Dopo lunghi pomeriggi di lettura, e seppur turbata da quelle rivelazioni, Paola riuscì tuttavia a tenere per sé l’ondata di magma che montava dentro di lei e a non confrontarsi di petto con Andrea. Era necessario saperne di più. Scorrendo tra le innumerevoli email scambiate tra Andrea e il suo compagno di fantasie, e facendo sfoggio di una qualità investigativa insospettabile, riuscì infine a trovare un indizio. Un contatto. Un indirizzo email di Giulia, dimenticato in mezzo ai fiumi di parole che i due porci si erano scambiati. E lo utilizzò.

Al primo impatto, l’atteggiamento della donna sconosciuta fu, come comprensibile, di diffidenza. Non capiva chi fosse quella donna che la contattava da Torino e non credeva a una parola di ciò che le stava rivelando. Credette addirittura che Paola fosse un’amante di suo marito e dubitò di lui. Ma, col tempo, Paola, caparbia come sempre, riuscì man mano ad accattivarsi la sua fiducia e a dissipare quelle preoccupazioni. Le due donne divennero, pian piano, settimana dopo settimana, mese dopo mese, alleate e confidenti.
Ciò che i loro compagni avevano fatto alle loro spalle le aveva sì scioccate, ma non indignate come sarebbe stato lecito aspettarsi. Anzi, via, via che si aprivano l’una all’altra, iniziarono a raccontarsi vicendevolmente quanto esse stesse si riconoscessero in quelle torbide scoperte.

Riuscirono anche a incontrarsi una volta, a metà strada. Fu una giornata piacevole nella quale le due avevano trovato una complicità e una comprensione reciproca che le aveva rese più sicure di sé, più forti. E dopo la prima, si videro ancora molte volte. Infine, totalmente all’oscuro dei loro uomini, divennero grandi amiche: chi l’avrebbe mai detto? Quelle perversioni avevano sortito un effetto positivo.
Man mano che si frequentavano, quelle fantasie su cui si scambiavano impressioni e commenti vicendevoli iniziarono pian piano a maturare dentro di loro. Non subito lo ammisero, ma ne erano profondamente eccitate. E le loro eccitazioni presero ad alimentarsi a vicenda, esattamente come era accaduto ai loro compagni.
Ma tra loro scattò qualcosa di differente. Qualcosa che si posizionava su un livello completamente diverso, oltre la mera fantasia che legava i due uomini. Qualcosa che andava inevitabilmente sfogato. E c’era solo un modo per farlo. Un giorno d’autunno, al termine di una bella e spensierata giornata insieme, Giulia e Paola fecero l’amore.

In breve diventarono amanti appassionate e ogni incontro divenne un’occasione per sessioni di sesso appassionato e liberatorio. Giulia, biondissima, più snella, tonica, era una cerbiatta, una ninfa del sesso che nascondeva un’energia erotica insospettata e che era perfettamente in grado di far girare la testa a più di un uomo. In effetti, aveva fatto girare la testa di Andrea, e per ottime ragioni. Paola, mora, più alta, burrosa, rotonda, era il prototipo di quella che, nelle compagnie da bar o sul posto di lavoro, veniva chiamata “cavalla”. Una MILF da manuale, anche se i percorsi della vita avevano voluto che fosse stata la più giovane Giulia a sperimentare la gioia immensa della maternità.
La bionda un po’ più remissiva; la mora più sfrontata. Era quindi abbastanza scontato chi delle due splendide gattine avrebbe assunto una posizione dominante nei loro incontri carnali. La bionda Giulia, quindi, finì col ritrovarsi spesso voluttuosamente a quattro zampe, con Paola che, facendo uso di uno strap-on di generosissime dimensioni recuperato chissà dove, era usa a penetrarla energicamente e a lungo.

Quella volta si trovavano a Torino.
Paola aveva affittato un locale al piano nobile di un palazzo in centro, che utilizzava per la sua professione. Quel locale e il divanetto che si trovava al suo interno erano quindi facilmente diventati un rifugio di sesso per lei e la sua bionda amante.
Si stavano lasciando andare come loro solito. Stupendamente nude, una sull’altra; Paola stesa sul divanetto, Giulia sopra di lei nella classica posizione sessantanove. La mora, che adorava stuzzicare il buchetto posteriore dei suoi uomini, si scoprì amante entusiasta anche di quello delle donne: infilava e sfilava ritmicamente il medio nello sfintere, mentre con le sue labbra mangiava avidamente la fica della magnifica bionda.
Lei, da par suo, affondava il viso nel ciuffo nero della sua amante e, con la sua linguetta curiosa, assaporava la sua fica morbida e accogliente. Gemevano e godevano come due autentiche cagnette in calore; i loro ripetuti orgasmi erano diventati una colonna sonora abituale all’interno di quel silenzioso stabile signorile del centro, ma anche se sapevano di essere esposte alla morbosa curiosità e alla libidine dei loro vicini, esse non facevano alcunché per trattenersi.
A volte, Paola non poteva fare a meno di urlare a pieni polmoni; in quei casi, Giulia, in un rigurgito di pudore, le tappava amorevolmente la bocca con la mano. Fece la stessa cosa quella volta, ribaltandosi in un attimo dalla sua posizione a sessantanove. E l’attimo seguente, si trovò incastrata a forbice con lei, strusciando con forza quei due sessi fradici e imploranti piacere.
Quella volta, avevano avuto tutto il tempo del mondo. Paola, con malizia, aveva annullato tutti i suoi appuntamenti giornalieri senza informarne Andrea e aveva potuto quindi scopare per lunghe ore con Giulia nel loro giaciglio segreto.
Era pomeriggio inoltrato quando le sue, ancora nude e ansimanti, si stesero esauste dopo aver dato e ricevuto numerosi orgasmi. Lo studio era munito di servizi confortevoli che comprendevano una piccola doccia. La utilizzarono, ovviamente insieme, per lavare via il sesso dai loro corpi. Strettamente avvinghiate nella doccia, limonando profondamente, si palparono senza sosta. Paola amava afferrare il culo pieno e formoso di Giulia e lei sembrava impazzire per le bianche, gonfie tettone della compagna. Si diedero ancora un orgasmo ciascuna, poi si rivestirono e decisero di uscire a fare quattro passi in centro, approfittando del periodo natalizio che invitava a far compere.
Mentre passeggiavano per Via Po, iniziarono a parlare dei loro compagni, come facevano spesso. Ovviamente se ne erano scambiate le foto. Fino a poco tempo prima, ciascuna conosceva il compagno dell’altra soltanto per il suo attributo, visto penzolare sopra le loro immagini in un gioco perversamente eccitante. E non mancavano mai i commenti maliziosi tra le due donne. A Giulia piaceva un sacco quel cazzo venoso e lungo. A volte, quando si masturbava in solitudine, poteva quasi sentirlo mentre si faceva strada nel suo sesso, spalancandolo e profanandolo, per poi saziarlo di piacere. Paola, a sua volta, aveva molto apprezzato il membro robusto e solido del marito di Giulia. Inoltre, era rimasta impressionata ed eccitata dalla quantità equina di sperma che quel porco aveva eiettato su una sua foto fornitagli da Andrea. Avrebbe tanto voluto assaggiare quel latte…

Mentre uscivano dall’ennesimo negozio di scarpe, giù verso Piazza Vittorio, si guardavano attorno maliziose. Pur senza fare nulla di particolare, attiravano senza alcun dubbio gli sguardi. La loro carica erotica, discreta e non esibita, filtrata da un abbigliamento sobrio – un soprabito pesante, un maglione, un jeans, uno stivaletto basso dal tacco moderato – ma che lasciava immaginare, ai più fantasiosi, la femmina sottostante, permeava l’ambiente ad ogni passo. E i maschietti le notavano eccome, le seguivano con lo sguardo e poi le commentavano sottovoce, ridacchiando e dandosi di gomito, spartendosi equamente le preferenze tra la mora e la bionda. Qualcuno, con lo smartphone, rubava istantanee sfocate e mosse dei loro visi, così come dei loro culi magnificamente inguainati in quei pantaloni spessi ma attillati.

Qualcuno le guardò più insistentemente.
Fu Giulia a notarli per prima: quattro uomini, due bianchi e due di colore. I bianchi sulla quarantina, alti, fisico asciutto, rasati. Evidentemente fratelli perché si somigliavano molto. I neri sembravano più giovani, uno a sua volta molto alto, anzi, più degli altri, e snello, con un fisico nervoso e scattante, l’altro parecchio più basso, rotondo e massiccio.
I loro sguardi sembravano voler penetrare i vestiti delle due donne. Giulia fu attraversata, lungo la spina dorsale, da un brivido che non seppe attribuire a paura o a eccitazione. Incapace di sostenere le loro occhiate, fece un cenno a Paola. La mora, più spavalda, sfidò immediatamente quegli sguardi indagatori, fissando negli occhi i quattro uomini uno a uno. Intimamente Paola era una donna insicura, e come tutti gli individui insicuri reagiva in un solo modo: attaccando.
I due più giovani distolsero a loro volta lo sguardo, ma gli altri due lo mantennero sul bersaglio: nei loro occhi c’era una luce sinistra.
«Andiamo, su», disse Giulia, leggermente spaventata. Si avvicinava l’ora di cena e la grande piazza, la più grande a portici d’Europa, tendeva a svuotarsi mentre le luminarie natalizie iniziavano a riempire l’ambiente di luce e colore a intermittenza. Le due allungarono il passo, ma i quattro le seguivano diligentemente a una distanza di una ventina di passi.
«La mia auto è qui, in una strada laterale», disse Paola, con un tono d’urgenza nella voce. «Andiamo.»
Tagliarono per una traversa, una strada stretta e malamente illuminata. Si guardarono attorno e alle spalle: li avevano seminati. Giulia sembrava sollevata. Anche l’amica aveva avuto paura, anche se non l’avrebbe ammesso. Giunsero alla bianca auto della donna, salirono a bordo e Paola inserì la chiave nel quadro.
Inopinatamente, le portiere posteriori si aprirono di scatto e due dei ragazzi (i due quarantenni) salirono a bordo.
«Adesso facciamo un giro», disse il più grande di loro. L’altro, Paola lo vide nel retrovisore, aveva una mano in tasca. Nessuno poteva sapere cosa vi tenesse: una pistola? Un coltello? Le due donne si scambiarono uno sguardo spaventato. In che guaio si erano cacciate? Poi decisero che, probabilmente, sarebbe stato meglio assecondarli. L’uomo che aveva parlato frugò nelle borse delle due donne e sottrasse i telefoni cellulari, poi fece cenno a Paola di mettere in moto. L’autò si immise nella congestionata circolazione natalizia, seguendo le indicazioni che venivano impartite. Su un’altra auto, un’utilitaria che sembrava aver visto giorni migliori, i due ragazzi di colore seguivano il quartetto a breve distanza.

Il viaggio durò a lungo. Almeno un’ora durante la quale le due auto abbandonarono Torino in direzione Moncalieri, seguendo Corso Unità d’Italia, per poi dirigersi alla volta dell’astigiano. Giunsero a Cisterna d’Asti, una piccola e riparata località di mille anime nota per la produzione vinicola. Le due auto attraversarono il piazzale della chiesa, su cui si affacciava la casa di un produttore dove, tempo prima, insieme ad Andrea, si era rifornita di ottimo Ruchè. Uscirono dall’abitato principale e entrarono nel cortile di un casolare isolato, appena fuori del borgo. Scesero prima i quattro uomini, poi, esitanti, le donne. Con un cenno, l’unico che fino a quel momento aveva parlato fece capire loro che dovevano entrare.

L’interno dell’ambiente era rustico, ampio e ben tenuto, con pavimento in cotto, soffitto voltato con mattoni a vista e un grosso camino già acceso nella parete di fondo. Sembrava un luogo rassicurante, non fosse stato per un dettaglio stridente: davanti al camino, al centro esatto della sala, c’era un grosso letto matrimoniale.
Giulia e Paola si guardarono, con gli occhi sbarrati. Gli uomini sorrisero malignamente. Uno di essi chiuse a chiave la porta.
«Credo abbiate capito perché siete qui», disse il solito dei quattro. «E credo possiate immaginare che non ve ne andrete tanto presto.»
Ma Paola protestò. E contrattaccò. «Non so cosa volete da noi, ma ho preso la targa della vostra auto. Vi denuncerò tutti, a meno che non ci lasciate andare subito.»
Ma l’altro non si fece intimidire. «Cara signora, lei non farà niente di tutto questo.» Si avvicinò a Giulia e le accarezzò il viso. «Non dovete temere per la vostra incolumità.»
«Voglio parlare con mio marito», fece lei per tutta risposta. «Sarà preoccupato.»
«La cosa non ci riguarda», replicò l’uomo. «L’unica cosa che ci interessa in questo momento siete voi due.»

A un cenno, gli altri tre uomini si avvicinarono alle donne. Il fratello di quello che aveva parlato e il nero alto si avvicinarono a Giulia, mentre il nero robusto e grassoccio andò da Paola. Quello che aveva l’aria di essere il capo si accomodò invece su una poltrona a lato del camino e seguì la scena con un irritante sorriso dipinto in volto.
«Non vorrete pensare di…» disse la mora, ma il nero non le diede modo di finire la frase. La prese per i capelli, senza farle male ma con decisione, e la obbligò a baciarlo. Lei sentì le labbra sulle sue, e immediatamente dopo, la lingua frugare oscenamente dentro la sua bocca.
La bionda vide la scena, ma non ebbe tempo di spaventarsi; un istante dopo si sentì sfilare di dosso il cappotto, e l’istante ancora successivo aveva già quattro mani che frugavano il suo corpo. Il bianco indugiò sul suo sedere mentre il nero le baciò il collo, posando immediatamente una mano sul suo seno. Giulia era paralizzata e non osò opporre resistenza, ma dopo pochi momenti il concetto stesso di resistenza sembro diventare più evanescente nella sua mente.

Paola lottò di più. Allontanò quella montagna nera da sé e accennò a far partire uno schiaffo. L’uomo la prese per il braccio, intercettando il colpo, e le sorrise con superiorità. Poi la girò con facilità su se stessa e, all’orecchio, le sussurrò di non provare a rifarlo. Lo disse con fermezza e anche Paola capì che avrebbe dovuto capitolare. Come già era successo per Giulia, l’uomo le sfilò il cappotto, buttandolo lontano. I grossi seni di Paola risaltavano sotto il maglione grigio che indossava e il nero li afferrò immediatamente da dietro, strizzandoli con forza.
Il quarto continuava a osservare la scena mentre i tre compari iniziavano a godersi quelle due magnifiche femmine, la cui resistenza appariva pateticamente di facciata: Giulia, infatti, consentì immediatamente, senza alcuna ritrosia, ai due avidi maschi di toglierle la maglia e di sfilarle i pantaloni, lasciandola in intimo. Paola rimase vestita, ma il suo linguaggio del corpo, e i capezzoli turgidi che iniziavano a comparire sotto quel maglione, dicevano inequivocabilmente quanto le stesse iniziando a piacere quella situazione.
Poi il reggiseno cadde e fu un attimo: Giulia senza sapere come e perché si ritrovò inginocchiata sul tappeto a lato del grande letto, con indosso solo le mutandine. I due uomini la sovrastavano; iniziarono a slacciarsi i pantaloni, con lentezza cerimoniale. Lei li guardava alternativamente. Era superficialmente impaurita, ma intimamente stava elaborando l’eccitazione di quella situazione. Avrebbe voluto che il suo uomo la guardasse.

I due cazzi sgusciarono fuori simultaneamente. Quello del bianco era una mazza ben più che rispettabile, perfettamente dritta, nodosa, completamente scappellata, di una buona ventina di centimetri. Quello del nero era allucinante. Un serpente di carne, nero, lucido, grosso, leggermente ricurvo sulla sinistra, che poteva misurare venticinque centimetri. Alla vista di quei due enormi falli, a Giulia si annebbiò la vista. Per qualche momento sembrò incapace di capire cosa fare. Così furono i due porci a prendere l’iniziativa. Si avvicinarono e il bianco iniziò a picchiettare la cappella sulla guancia destra di Giulia, per poi iniziare a strofinarla su tutto il suo volto. Il nero invece prese una ciocca di capelli biondi, l’attorcigliò attorno al suo membro enorme e iniziò a segarsi. Ogni resistenza residua si sciolse in quella pozione magica chiamata eros, e Giulia iniziò a muoversi meccanicamente: aprì leggermente la bocca e tirò fuori la sua delicata linguetta. Rispondendo a questo invito tacito, il bianco appoggiò la cappella alla sua lingua e, dopo averla picchettata su di essa alcune volte, lasciò completamente il controllo alla donna. Lei iniziò lentamente a leccare sotto la punta, sul filetto, per poi afferrare quel grosso cazzo alla base e slinguarlo per la sua lunghezza, seguendo il percorso delle vene tese sulla sua superficie. L’altra mano andò al serpente nero, lo prese e iniziò a smanettarlo, sostituendosi alla mano del suo proprietario.
La visione era spettacolare: Giulia, quasi completamente nuda, inginocchiata, segava quei due enormi cazzi e li slinguava a turno. Non aveva però ancora iniziato a ciucciarli per bene.
A pochi passi, Paola guardava, ipnotizzata. Era attratta soprattutto da quel gigantesco cazzo nero, ma tutta la scena era da estasi. Giulia era bellissima nuda e circondata da nerchie dure. La mora era ancora completamente vestita, ma ora il suo porco le aveva sollevato maglione e reggiseno scoprendo quelle sue grandi e invitanti tettone da quarantenne, che però facevano invidia a molte donne più giovani. Anche lui guardava Giulia, posizionato alle spalle di Paola e afferrando e soppesando quelle mammelle nude e gonfie.
Giulia prese coraggio e iniziò a ciucciare per davvero quei pali di carne, iniziando da quello – relativamente – più piccolo. Succhiava forte, con gusto, sbavando su quel succoso cazzo mentre l’uomo l’accompagnava delicatamente con una mano dietro la nuca. Ci diede dentro per alcuni minuti, portando l’uomo a un godimento intenso e prolungato. «Mmm… sei proprio una bella fica pompinara», disse lui.
Poi fu il turno dell’altro. Giulia provò ad affrontarlo con decisione ma quasi si strozzò. Dovette rallentare e approcciarlo con più prudenza. Infine trovò il ritmo e l’affondo giusti, iniziando a stantuffare con appetito quel cazzo di dimensioni asinine. La scena era surreale nella sua bellezza. L’uomo mugolò come se stesse già per sborrare. Ma non era certo così: si stava solo riscaldando.
«Questa bella biondina è affamata», commentò il capo, che si stava massaggiando lentamente il pacco da sopra i pantaloni. «La vacca mora non lo è?»
A quel commento, il nero di Paola le prese una mano e se l’appoggiò sul cazzo. Paola sentì il contatto con la sua pelle: l’aveva tirato fuori senza che lei se ne accorgesse. La donna si voltò e guardò l’attributo. Il membro rispecchiava le proporzioni del suo proprietario: era tozzo, non molto lungo ma piuttosto largo, anch’esso leggermente incurvato, con una cappella relativamente piccola e grosse palle piene. L’aspetto era meno armonico rispetto agli altri, ma era duro come l’acciaio. L’uomo invitò la mora a muovere la mano ritmicamente e lei non si fece pregare più di tanto: dopo qualche istante stava masturbando il suo nero che, per ringraziarla, riprese a ciucciare e strizzare quei suoi grossi meloni, il più bel frutto che gli potesse capitare di suggere.
L’uomo, preso il mento di Paola con due dita, le voltò delicatamente il capo per obbligarla a guardare ancora Giulia mentre, in ginocchio, spompinava ora con maestria e sicurezza quei due enormi cazzi rigidi ed eccitati. Li leccava alternativamente seguendo la lunghezza delle rispettive aste, esplorandone le nodosità e le vene pulsanti, per poi imboccare la cappella violacea del bianco e quella color ebano, lucidissima, del nero. Di tanto in tanto, l’uno o l’altro porco le prendevano la testa tra le mani e le dettavano il ritmo, oppure la tenevano ferma per scoparle quella gola accogliente da vera porca che si stava lasciando andare alla libidine più estrema. Ma infine si risolsero a lasciarla libera di gestire la pompata a suo piacimento.
Giulia ora si divertiva e godeva; la sua fica ormai era visibile attraverso la macchia fradicia al centro delle sue mutandine bianche. Avvedutosene, il nero, in un momento di incontenibile libidine, si chinò e, con facilità, le strappò l’indumento, lasciando la bionda completamente nuda. A quel punto i due uomini si spogliarono a loro volta, con rapidità sorprendente, rimanendo in completa nudità, e lo stesso fecero gli altri. Il nero di Paola si staccò brevemente da lei e si tolse in men che non si dica tutti i vestiti, guardato a vista dalla donna, per poi riprendere a farsi segare piano l’uccello da lei. Anche il capo si era denudato, così in fretta che nessuna delle due donne l’aveva visto farlo. Paola notò che il cazzo del capo era assai simile a quello del fratello: lungo, dritto, venoso e invitante.
Curiosamente, la cavalla mora era l’unico occupante della stanza ancora vestito.

«Direi che si può proseguire», disse il capo. A quell’ordine, il nero di Giulia la prese in braccio, sollevandola come un fuscello, e la portò verso il grosso letto matrimoniale, su cui in seguito la depositò con una certa irruenza. Poi salì anche lui sul letto e vi si distese. La sua asta era monumentale, rigida e lunga in modo spropositato. L’uomo fece cenno alla donna di salirgli sopra.
Giulia guardò sgomenta quel palo di carne che attendeva di entrare in lei. Non aveva mai cavalcato un uccello di tali dimensioni. Poi guardò Paola: persino lei, che si era sempre vantata di avere una speciale predilezione per le “taglie forti”, avrebbe avuto serie difficoltà a montare una nerchia del genere.
Il capo notò la situazione di stallo e intervenne. «Signori, cerchiamo di andare per gradi. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo.»
Con una smorfia, il nero si fece da parte e il suo posto venne preso dal bianco, il cui grosso cazzo sarebbe stato certo il pezzo forte in qualsiasi altra situazione, ma che paragonato a quello del compare equivaleva a un sospiro di sollievo per la bionda donna.
Giulia salì in piedi, poi si mise a cavalcioni dell’uomo e iniziò a scendere lentamente. Il contatto della cappella con la sua fica gocciolante di umori fu una scossa elettrica per entrambi. L’uomo strofinò leggermente il cazzo spostandolo con la mano, avanti e indietro; poi lei scese un po’ di più su di lui. La cappella sembrava faticare a entrare. Giulia aveva paura di provare dolore e anche l’uomo non aveva alcuna intenzione di farle male: procedettero cauti. Poi, vincendo in un sol colpo la resistenza, la cappellona violacea fu assorbita completamente all’interno. Giulia mandò un urlo strozzato, poi guardò in basso: il cazzo era dentro di lei. Scese ancora, ancora… poi iniziò a risalire… fin quasi a farlo uscire… per poi ridiscendere. Il ritmo irregolare iniziò a stabilizzarsi e la penetrazione era più profonda ogni volta. Mugolante, Giulia prendeva man mano confidenza: appoggiata al petto dell’uomo, iniziò a muovere il suo magnifico culo avanti e indietro, in un gioco di bacino entusiasmante.
Poi iniziò a fare sul serio. In breve, la ninfetta bionda stava saltellando su quel gran cazzo duro, assorbendolo in buona parte, mugolando e godendo come la porca eccezionale che era.
La vista era celestiale; il nero di Giulia e il capo guardavano quel magnifico culo salire e scendere e si masturbavano selvaggiamente; i loro cazzi erano gocciolanti di umori. Poi il nero salì sul letto e porse la sua asta alla troietta che saltellava sulla nerchia del compare. Giulia, ormai avviluppata dal fuoco dell’eros, non ebbe la minima esitazione: afferrò il lunghissimo bastone nero, se lo puntò alla bocca e iniziò a ciucciarlo affamata mentre scopava.

Paola non stava guardando: era impegnata a slinguarsi violentemente il suo nero, al quale era strettamente avvinghiata. Una mano seguitava a segarlo ed era completamente bagnata dagli umori che sgorgavano dalla sua cappella. L’uomo, da par suo, aveva deciso di prendere possesso del culo della donna: slaccati i jeans, li aveva abbassati, insieme alle mutandine, quel tanto che bastava per scoprire completamente le grosse chiappe, in cui poi affondò le mani avide, così tanto da lasciarle i segni delle dita.
Il capo gli impartì un ordine. «Che ne dici di spogliare questo troione? E’ rimasta solo lei.»
A sentirsi chiamare in quel modo, Paola, incredibilmente, sorrise. E facilitò il compito al suo uomo: nel giro di pochi istanti, tutti i suoi indumenti erano a terra, lontano. Il suo bianco, curvilineo corpo nudo era altrettanto eccitante di quello della più giovane amica. La sua fica era un rigoglioso ciuffo nero che contrastava in modo incantevole con quella pelle lattea. Come se avesse visto rosso, il suo uomo le si fiondò di nuovo addosso e riprese a slinguarla con forza, con fame, palpandola oscenamente dappertutto. Solo una cosa aveva tenuto addosso Paola, una cosa che tutti le chiedevano sempre di tenere. Che le dava quell’aria da porca che piaceva così tanto: i suoi occhiali con montatura nera, che le aveva regalato Andrea.

I due maschi di Giulia erano ora stesi uno accanto all’altro. Dopo l’impegnativo rodaggio col bianco, era ora per la lussuriosa bionda di sperimentare il palo gigante del suo stallone nero. Si sfilò dal cazzone bianco e si spostò sul compagno, mettendosi a cavalcioni di lui. L’inserimento era un momento topico e Giulia ne era allo stesso tempo spaventata ed eccitata. Anche l’attenzione del capo era massima.
Sorprendentemente, la puledra bionda riuscì a ficcarsi dentro quel palo di carne senza troppe difficoltà: la sua fica era ormai dilatata per bene e poteva ora assorbire qualunque calibro senza troppi patemi. Giulia iniziò a cavalcare furiosamente, gemendo, cedendo a continui orgasmi, urlando: «Si… si… Dio… Dio si! Scopami! Più forte, ti prego… SBATTIMI!»
Erano espressioni inconsuete per lei, e per la psiche del possente nero funzionarono come la carica di una batteria: d’improvviso l’afferrò per quei suoi meravigliosi fianchi e la immobilizzò. Poi iniziò a muoversi lui, trapanandola da sotto, come un martello pneumatico, facendola sobbalzare, mugolando e urlando il suo piacere.
Tanta era l’intensità e la violenza di quella scopata che i due fratelli l’osservarono in religioso silenzio, quasi in trance, sfiorandosi appena gli uccelli per non rischiare di venire anzitempo. Dopo una lunga, estenuante sessione, Giulia, ansimante, si sfilò gocciolando. Ma non ne aveva per niente abbastanza: si spostò di lato e si impalò di nuovo, con una semplicità sconvolgente, sulla grossa nerchia del compagno, ripetendo la cavalcata. Ora Giulia si alternava tra quei due cazzi, gustandoseli con la fica a turno e urlando come una pazza la sua gioia. Era fuori di sé.

Paola aveva segato quel cazzo così a lungo che pensava le sarebbe venuto un crampo alla mano. Non aveva guardato, ma dalle urla e dai gemiti aveva capito che Giulia non solo si era gustata quei due meravigliosi cazzoni, ma si era anche fatta impalare da essi. Se quella era una gara, era ora di accorciare le distanze.
Con una manovra da manuale, la donna si abbassò, ma non limitandosi a mettersi in ginocchio. Si mise a quattro zampe e si posizionò sotto il suo uomo. Gli fece un sorriso intriso di sesso e poi, senza preavviso, iniziò a leccargli le palle. Il nero divaricò le gambe per dare più spazio alla cagnetta mora, che prese a imboccare quei grossi coglioni pieni, ciucciandoli affamata. L’uomo godeva come un porco e mugolava: era un servizio strepitoso. «Oh si… Mangiami i coglioni, puttana… si…»
Il momento tremendamente erotico rubò la scena per qualche istante. Poi, Paola fece cenno all’uomo di appoggiarsi a gambe larghe al letto dove gli altri due animali si stavano sbattendo selvaggiamente Giulia, o meglio, dove Giulia si stava sbattendo selvaggiamente loro.
Paola si mise dietro di lui, gli divaricò le chiappe e, in un momento di sogno, iniziò a leccargli l’ano. La scena pazzesca causò mormorii di approvazione e grugniti osceni in coloro che potevano guardarla. Il nero grassoccio non poteva crederci: godeva come un pazzo, anche perché Paola, mentre gli leccava sapientemente il buco del culo, aveva ripreso a segarlo all’impazzata.
«Questa puttana occhialuta è proprio una gran zoccola», commentò il capo alla visione di quella scena. Aveva ripreso a segarsi quel suo grosso cazzo e la visione del bianco culone di Paola a pecora mentre lavorava quasi lo convinse ad approfittarne. Ma si trattenne ancora.
La donna scivolò sotto il nero e poi si prese in bocca il suo pisello tozzo e duro come il ferro. Iniziò a succhiarlo con tutta la sua sapienza, senza mani, sostenendosi solo ai fianchi rotondi dell’uomo. Il porco godeva, godeva e godeva. «Pompinara… siii…. Mmm… TROIA…»
Per un attimo considerò di svuotarsi i coglioni a quel modo. Ma si contenne. Arretrò, ma Paola era come incollata a quel cazzo, che aveva preso a esercitare su di lei un fascino irresistibile. Infine, dovette spingerla via per evitare di schizzare tutto il suo sperma nella gola della donna.
Quando Paola si sfilò da quella posizione, i suoi occhi erano infiammati dal desiderio. Sembrava implorare di essere sbattuta senza ritegno, come la cagna che era in quel momento.
Era il segnale. Il capo si alzò finalmente dalla sua comoda poltrona, e sempre segandosi, camminò piano verso la troia mora, che era in ginocchio davanti a lui.
«Mettiti come devi», le disse, e lei capì al volo. Si appoggiò sulle mani e sulle ginocchia e finì di nuovo a quattro zampe. Il suo nero si posizionò dietro di lei e iniziò a strofinare il suo tozzo uccello sulla sua fica morbida e accogliente, che gocciolava umori. Lei si voltò leggermente e disse solo: «Sfondami.»

Giulia aveva cambiato posizione e ora saltellava sui cazzi, dando la schiena ai suoi maschi e offrendo loro la visione di sogno di quel culo perfetto, che i due non poterono non fare loro afferrandolo alternativamente con le loro manone avide e schiaffeggiandolo. Era una bionda cavallerizza e aveva a disposizione i due stalloni più fenomenali che potesse sognare. Il vantaggio di quella posizione girata era che poteva guardare direttamente cosa stava combinando la sua amica.
Il nero affondò nella fica pelosa di Paola come un coltello caldo nel burro e iniziò a montarla come una puledra, aggrappandosi ora ai suoi voluttuosi fianchi, ora alle sue grosse mammelle. Paola godeva così tanto da tremare senza controllo. Ebbe probabilmente un orgasmo già dopo pochi istanti, poi un altro. Infine chiuse gli occhi e aprì la bocca, godendosi senza freni quella scopata magnifica. Urlava al cielo il suo piacere. Il nero grassoccio non era certo un adone e il suo corpo molle e sovrappeso contrastava in modo osceno con le curve armoniose della donna. Ma in qualche modo, quel contrasto così antiestetico rendeva la scena ancor più erotica, più pornografica.
Il capo era davanti a lei. La sua cappella violacea era a pochi centimetri dalla bocca di Paola. Sorrise, con quel suo modo sempre vagamente sinistro. Poi disse: «E adesso succhiami il cazzo, puttana.»
Paola ormai obbediva agli ordini senza fiatare come l’ultima delle geishe: spalancò ancor più la bocca e ingoiò all’istante quella cappella e quell’asta come la più consumata mangiatrice di nerchie che si fosse vista. Iniziò a succhiare energicamente, sbavando, mentre da dietro il nero le dava botte spaventose nella fica e le schiaffeggiava forte il culone burroso.

Giulia smontò dai suoi stalloni e si stese in mezzo a loro, esausta, un sogno biondo dalla pelle candida tra due animali in calore che non si erano ancora minimamente saziati di lei. I due maschi non misero tempo in mezzo e, simultaneamente, presero a suggerle i capezzoli eretti e a strizzarle i seni, che non potevano competere come dimensioni con quelli di Paola ma erano altrettanto invitanti. La donna gemette nella morsa dei due maschi, i cui enormi membri premevano sulle sue cosce. Si strusciavano su di lei come cani in calore e non ne volevano sapere di mollarle le tette: le palpavano, le soppesavano, mordicchiavano i capezzoli, ci sbavavano sopra. Poi il nero salì a leccarle il collo e di seguito iniziò a mordicchiarle un orecchio. Giulia, in fibrillazione, si voltò verso di lui, iniziando a slinguarlo con foga e, con quel movimento, regalando all’altro uomo l’intera prospettiva del suo soffice e ben tornito culetto. L’invito era semplicemente irresistibile: l’uomo si riposizionò leggermente, si mise a cucchiaio e la penetrò di nuovo in fica, in un attimo, senza alcuno sforzo. Stavolta lentamente, con tutta calma, assaporandosi il gesto. Il suo lungo cazzo scorreva nella passera sconvolta della bionda, dentro e fuori, lentamente ma profondamente, mentre lei slinguava appassionatamente il nero muscoloso, sentendone la spaventosa nerchia d’ebano sulla pancia, dura in modo irreale.

Il capo si era allontanato, tornando alla sua poltrona. Stava frugando dietro lo schienale. Cercava qualcosa.
«Quando ho aperto le vostre borse per sottrarvi i cellulari», disse con un ghigno perfido, «non ho trovato solo quelli. Indovinate un po’ cosa c’era nella borsa di questa troiona con gli occhiali.»
Detto quello, mostrò a tutti ciò di cosa stava parlando: il grosso fallo che Paola impiegava per masturbarsi e, cingendoselo alla vita coi lacci di cui era munito, per scopare Giulia nei loro selvaggi incontri amorosi.
«Ma bene… la seria professionista, la donna riservata… alla fine si scopre una TROIA che usa questi giocattoli? E allora», disse guardandola negli occhi, «usalo.»
Le si avvicinò di nuovo e iniziò a passarle quel grosso fallo sulla faccia. Paola non reagì minimamente: gli lasciò fare i suoi comodi.
«Ho detto… usalo.»
A quell’ordine perentorio, la mora spalancò la bocca e accolse il grosso arnese, iniziando a succhiarlo come se fosse un vero, grosso e nodoso cazzone. Era stato un movimento automatico: era l’istinto che chiamava. Il capo teneva in mano l’arnese e la pompinara a lui sottomessa lo succhiava. Gratificato, l’uomo sorrise di gusto e prese a segarsi con la mano libera. Poi, sazio del giochino, picchiettò la sua grossa cappella sulla guancia della donna, lasciandola umida dei suoi umori. Paola capì immediatamente: si sfilò di bocca il fallo e imboccò il cazzo vero. Il passaggio dalla plastica alla carne pulsante la stimolò a darsi da fare e il ritmo della pompata divenne in breve sostenuto.
Da vera esperta di cazzi, comprese al volo il momento in cui stava entrando in una zona pericolosa e se lo sfilò, riprendendo in bocca il fallo. Si alternò tra di essi più e più volte, arrivando anche a tentare di infilarseli entrambi in bocca.
Infine, soddisfatto, l’uomo le diede un buffetto sulla guancia. «Ma bene, bene… questa troiona è proprio una gran succhiacazzi, non è vero?»
Paola rispose affermativamente, annuendo col capo in modo dimesso, con la bocca oscenamente piena. Era diventata completamente remissiva e docile: la puledra era stata domata.

Giulia si sentì privata improvvisamente del calore dei suoi due maschioni. Il capo li aveva chiamati a sé. La bionda si mise a sedere sul letto e fu testimone di una scena surreale: il nero di Paola, che fino a quel momento l’aveva montata con metodica regolarità, si era fatto da parte, e al suo posto, gli altri tre uomini si stavano segando, ordinatamente in fila dietro il culo rigoglioso della donna.
Il capobranco, facendo valere il suo status, si appropriò della prima posizione. Appoggiò il cazzone alla fica slabbrata della donna ed entrò in lei senza la minima fatica. Paola, alla pecorina, assorbì il colpo come meglio poté, poi iniziò a sentire il calore montante dell’orgasmo in lei. Un paio di minuti, poi il capo si sfilò, le diede una sonora pacca sul culo, che rimbombò nell’ambiente, e si posizionò in fondo alla fila, lasciando il posto al silenzioso fratello. I due cazzi erano pressoché identici, ma la donna percepì la differenza nel tipo di penetrazione: profonda, regolare e potente quella del capo, frenetica e nervosa quella del fratello. Nuova pacca sul culo, e poi fu la volta del superdotato di colore. Al momento della penetrazione, Paola lanciò un primo urlo, che l’uomo ignorò completamente: afferrandola per i fianchi iniziò a sbatterla profondamente e ritmicamente con quel cazzo da cavallo. Dopo soli pochi secondi di quel micidiale trattamento, Paola lasciò partire un secondo strillo, così potente che avrebbe potuto rompere qualche vetro. Giulia sobbalzò, temendo il peggio, ma immediatamente capì: dopo quell’urlo belluino, la cavalla cedette, appoggiando il capo sul grande tappeto, in preda alle convulsioni del piacere. Era travolta da un orgasmo annientante.
Il capo, sempre con quel ghigno storto sul volto, ironizzò: «Ehi, non vogliamo mica che ci sentano fin giù al paese… da brava, prendi il ciuccio e stai zitta.»
L’uomo prese il fallo, a terra sul tappeto, e lo cacciò in bocca alla donna, ordinandole con un solo sguardo di non sfilarselo per nessun motivo. Poi si rimise in fila.
La giostra girò molte volte. La mora era accasciata sul tappeto, mugolando a occhi chiusi e sbavando su quel fallo che, con una mano, teneva ben piantato in bocca. Era completamente inerme, il culone sollevato ed esposto senza pietà. Quelle spranghe che la trapanavano a turno, senza posa e senza alcuna clemenza. Era stata privata di ogni dignità: in quel momento era solo una macchina del sesso, un giocattolo, una mera collezione di buchi a disposizione di grossi cazzi affamati. Gustosa carne quarantenne alla mercé di porci in fila per consumarla.

Giulia la guardava completamente rapita. Rivoleva indietro i suoi cazzi, ma non poteva fare a meno di trovare quella scena assolutamente folle nel suo erotismo estremo e perverso.
Il nero di Paola si sedette accanto a Giulia sul letto. A sua volta, probabilmente, pensava di rivolere indietro quella che ora considerava la sua troia, ma i suoi occhi – e il suo membro rigidissimo – raccontavano anche dell’eccitazione immensa che stava provando. A vederlo accanto a sé, Giulia reagì quasi per riflesso condizionato e si comportò nel modo che, in quel contesto pazzesco, sembrava più naturale: si chinò tra le gambe dell’uomo e prese a succhiargli il membro. Lui, preso alla sprovvista, sobbalzò, ma poi godette del servizietto di quella biondina così dolce e insieme così maiala.
La pompata di Giulia era molto diversa da quella di Paola: forse più delicata, meno sfrontata, ma altrettanto goduriosa. Il nero traeva piacere dalla bocca della bionda, mentre guardava alte tre grosse nerchie che trapanavano a turno la mora, come nel miglior film porno del mondo.
Giulia, al lavoro, non guardava più, ma ad ogni schiaffo sulle chiappe dell’amica capiva che la giostra aveva fatto un altro giro. Gli schiaffi si susseguivano con regolarità e, schiaffo dopo schiaffo, la bionda si caricava e si eccitava sempre di più, gustandosi furiosamente quel cazzone di ebano. Infine, non poté più trattenere la mano dal cercare il suo sesso: prese a masturbarsi violentemente mentre seguitava a succhiare ritmicamente il cazzo d’acciaio del nero. E ad ogni schiaffo, la sua mano accelerava, in sincronia. Era eccitata, lo era a tal punto che avrebbe voluto incitare a gran voce quegli animali… avrebbe voluto andar dietro di loro e spingerli lei stessa dentro Paola, fino alle palle… avrebbe voluto…
Ogni altra considerazione si dissolse in un portentoso orgasmo. Giulia si sfilò il tozzo membro di bocca e lanciò uno strillo acuto, stendendosi languidamente sul letto in preda all’ondata di piacere. Il momento era eroticissimo e l’uomo, guardandola, rischiò di nuovo di sborrare anche l’anima: riuscì a ritrarsi a stento dall’orlo del baratro, ma dal suo cazzo sgorgarono copiosi umori. Poi, ripresosi, si mise più comodo anche lui a vedere quel film porno che proseguiva a pochi passi da loro, ma non osò sfiorarsi per qualche minuto.

Infine, la giostra si arrestò. Paola era sfatta e ansimante sul grande tappeto e Giulia, abbandonata sul letto dopo l’ennesimo orgasmo, si sentì toccare da una mano delicata. Il nero dell’amica la invitava a scendere dal lettone. La bionda era leggermente inquieta, ma non poté far altro che ubbidire. La curiosità e l’eccitazione, giunti a quel punto, vincevano qualsiasi altro pensiero o paura.
«Vieni, vieni bella troietta. Unisciti alla tua amica», disse il capo, suadente ma deciso.
Giulia scese dal letto e camminò verso Paola. Sarebbe bastata quella camminata felina, sensuale, eccitante, per decidere della sua sorte: per un magnifico momento i maschi considerarono tutti, nessuno escluso, di obbligarla in ginocchio e imbrattarla del loro seme seduta stante. Ma non era il momento: c’era ancora molto da fare.
La bionda si chinò e accarezzò dolcemente l’amica mora. Le sfilò il fallo che ancora conservava gelosamente tra le labbra. Entrambe erano esauste, ma lo scambio di sguardi rivelava il fuoco che si era acceso dentro di loro e che ormai divampava senza controllo. Si sorrisero e si baciarono dolcemente, ma quel bacio divenne immediatamente appassionato. Le loro lingue si intrecciavano mentre le mani scorrevano sui corpi lisci, candidi, intrisi di sudore e di umori. Finirono col rotolarsi sul tappeto senza controllo, avvinghiate l’una all’altra. Paola sentì in bocca a Giulia il sapore del cazzo del suo amante nero, il quale nel frattempo si era aggiunto al gruppo degli altri. I maschi segavano e segavano, godendo di quel fuori programma estasiante.
Infine, il capo richiamò tutti all’ordine.
«Signore, ricomponetevi. La troia mora si rimetta in posizione, prego. E la troia bionda ci dia una mano.»
A sentirsi chiamare a quel modo, Giulia fu attraversata da una scossa elettrica, fin dentro il suo sesso. Si staccò da Paola e si avvicinò ai maschi. Si inginocchiò e, con decisione e sicurezza, prese a succhiarli a turno, facendo più volte il giro. Ciucciava le aste, insalivandole e stuzzicandole, e palpava con delicatezza le loro palle stracolme. Lavorava con fame e con quell’innata troiaggine che teneva così ben nascosta nella vita di tutti i giorni. Terminato il giro di pompe, i quattro cazzi avevano recuperato il pieno vigore.
«Bravissima. Ora prepara la tua amica puttana», ordinò il capo.
La ninfetta bionda si spostò quindi accanto alla cavalla mora, che nel frattempo si era riposizionata alla pecorina. Le accarezzò la schiena, i fianchi, le palpò le tette penzolanti, poi le sue mani si posizionarono sulle sue chiappe ancora rosse per i ripetuti schiaffi, le afferrarono decisamente e le allargarono per bene. Lo sfintere dell’ano di Paola divenne pienamente visibile, causando grugniti di eccitazione nei quattro animali affamati.
Giulia si avvicinò e, con naturalezza, fece ciò che normalmente faceva Paola a lei: prese a leccarle il buco del culo, lubrificandolo per bene e poi iniziando a prepararlo col dito medio, stuzzicandolo e, infine, penetrandolo con delicatezza. Paola sobbalzò ma si ricompose immediatamente. La la goduria era troppa per preoccuparsi di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

Ormai era tarda sera. Quella che era iniziata come una giornata piacevole e proseguita con l’apprensione di un evento imprevisto si era trasformata nella più pazzesca delle esperienze. L’orgia andava avanti ormai da un tempo indefinibile. Il cielo si era coperto e aveva iniziato a sfarfallare, dall’alto, qualche fiocco di neve. La temperatura rigida e il terreno secco erano terreno fertile per i candidi fiocchi, che in breve iniziarono a coprire ogni cosa con un sottile e algido velo, destinato a ispessirsi progressivamente. Fuori dal casolare, era la pace. Dentro era il girone infernale dei lussuriosi.

Il nero di Paola si posizionò col cazzo davanti alla sua bocca. La donna sembrava lieta di avere di nuovo vicino il suo amante: gli regalò un dolce sorriso, poi coprì in un attimo i pochi centimetri che separavano le sue labbra carnose dalla cappella di ebano dell’uomo. Inghiottì il suo uccello con un solo colpo e prese a succhiarlo energicamente. Il nero grugnì soddisfatto.
Giulia teneva ben spalancato il culo dell’amica. Era appoggiata alle chiappe della donna con la bocca spalancata. Il capo notò con piacere che aveva intuito le sue intenzioni senza bisogno di comunicargliele. Le spinse immediatamente il membro in gola e Giulia gli regalò una gustosa succhiata bagnata, che serviva a lubrificarlo per bene, in preparazione di ciò che sarebbe accaduto dopo. Sfilatosi, il capo mirò al suo obbiettivo. La grossa cappellona viola entrò in contatto con lo sfintere di Paola e tentò immediatamente di farsi strada in esso.
Lei percepì il contatto e immediatamente rilassò l’ano: voleva con tutta sé stessa quel grosso cazzo nel culo. Si sfilò per un attimo l’altro membro dalla bocca, per dire soltanto una parola.
«Inculami.»
Una spinta più decisa e il duro palo di carne fu dentro. Paola sobbalzò, mugolò, ma tenne botta. Giulia continuava a tenere aperto il culo per l’uomo, che iniziava a scorrere, a stantuffare dentro e fuori, prima con lentezza e poi con crescenti ritmo e decisione. Gli altri due cazzi attorniarono la bionda che prese a mungerli voluttuosamente con la bocca, preparandoli a loro volta alla penetrazione. Suo marito avrebbe avuto un mancamento vedendo quel dolce viso sformato da osceni ed enormi cazzi duri che lo profanavano a ripetizione.
«Ah, si… che PUTTANA che sei», dichiarò il capo, a voce alta. Diede ancora un paio di colpi di reni, poi si sfilò soddisfatto, lasciando quel culo dilatato a disposizione del fratello. L’uomo, silenziosamente, subentrò e si infilò senza troppi preamboli, dritto nel culo di Paola. Loro non capivano più niente. Solamente che stavano facendo godere quattro cazzi e che si sentivano troie senza eguali.
Poi fu la volta del nero superdotato. Aveva trovato ormai la strada aperta, ma ciononostante, conscio delle sue dimensioni, entrò in Paola con circospezione. Notando che la donna, persa nei fumi dell’eros, non opponeva la minima resistenza e non lamentava alcun dolore, la cinse in vita con le sue grosse mani e iniziò a montarla con forza. La mora godeva e godeva… la sua fica gocciolava piacere, mentre il suo ano veniva profanato volgarmente. E la sua bocca era a sua volta piena di cazzo. Era una immagine strepitosa.
Il nero sgusciò fuori dal culo dilatato e, inopinatamente, affondò nella sua passera. Lei mandò un urlo strozzato: non se l’aspettava, ma la sorpresa le piacque da morire. Alcuni colpi in fica, poi di nuovo nell’ano. Il nero prese ad alternarsi in quel modo: culo, fica, culo, fica… Paola, sopraffatta da quel modo osceno di essere sfruttata, cedette a spasmi di piacere sempre più violenti. Ormai non connetteva più: voleva solo ricevere e dare piacere, all’infinito. Ogni barlume di coscienza era svanito, spazzato via dalla carnalità della situazione. Era usata e sfruttata come l’ultima delle puttane. E la cosa la faceva impazzire. D’un tratto, il nero diede un affondo più violento e profondo nel culo, poi iniziò a ululare. Le sue palle si contrassero visibilmente e la sua asta, mezza affondata in quelle grosse chiappe, divenne ancora più rigida, pulsante, lucida. Rimase paralizzato per qualche secondo. Poi urlò di nuovo.
Le stava sborrando nel culo.
Paola sentì quel calore improvviso e, immediatamente, se ne venne a sua volta: un orgasmo di incalcolabile potenza. Dovette sfilarsi l’altro cazzo di bocca, impossibilitata a contenersi. Urlò forte il suo piacere e la sua gioia. Quel nero dal cazzone tanto più grande di quello di Andrea le stava spruzzando tutto il suo sperma nel culo. Ed era esattamente ciò che lei desiderava.
Poi, sopraffatta, si accasciò, ancora, sul tappeto.
Il nero finì con comodo di sborrare, poi le diede una nuova, forte pacca sulla chiappa. Infine si sfilò lentamente. Tolto il tappo, dall’ano di Paola sgorgò un copioso fiume di sperma bianco e denso. In parte gocciolò sul tappeto, in parte formò un lungo rivolo lungo la coscia. Giulia aveva osservato tutta la scena, esterrefatta ed estasiata. Guardò Paola, languidamente stesa a terra, e le baciò la schiena, poi il collo. Era stata pazzesca.
Ma ora voleva essere di nuovo lei la regina di quei cazzi.

Lo strato di neve aveva raggiunto già qualche centimetro. I suoni, già flebili lì in quella ritirata campagna dell’Astigiano, iniziavano ad assumere un tono ovattato. La temperatura era rigida. Nessuno in giro. Niente faceva sospettare ciò che stava accadendo dentro quella casa. E non era ancora finita.

Paola, sfinita, fu praticamente depositata sul letto dallo stesso gigante nero che le aveva farcito il culo di sborra calda. Si meritava un po’ di riposo. L’uomo, probabilmente imbottito di Viagra fino alle orecchie, era di nuovo turgido nonostante la lunghissima scopata sostenuta fino a quel momento e la copiosa sborrata di pochi minuti prima.
Ora le attenzioni erano per Giulia. La donna fu messa a cavalcioni del nero stallone, steso sul tappeto, di nuovo rigidissimo per la tacita invidia degli altri compari. Con la mano, la bionda afferrò subito il favoloso palo di carne e iniziò a strofinare quella grossa cappella sulla sua vulva. Poi, con decisione, se lo ficcò dentro e ricominciò senza alcuna esitazione una cavalcata interrotta troppo a lungo. I due fratelli le si avvicinarono immediatamente e lei li afferrò, uno per mano, iniziando poi a slinguare e succhiare le loro nerchie alternativamente. Era di nuovo regina di bastoni: gemeva e mugolava, dimenandosi e saltellando come una magnifica troia su quel serpente d’ebano che non sembrava aver minimamente risentito dell’orgasmo precedente e manteneva una durezza stupefacente dentro la sua fica gonfia e arrossata.
«Sapevo che non eri da meno della tua amica», commentò soddisfatto il capo mentre la donna abbozzava un sorriso complice, per quanto le era consentito dalla bocca oscenamente deformata dal grosso cazzo che l’uomo spingeva in profondità.
Il nero di Paola si stese sul letto, come aveva fatto in precedenza. La donna osservava ipnotizzata la sua amica mentre veniva sbattuta da quel cavallo di razza e si gustava sbavando quegli altri due bastoni nodosi. Anche il suo nero guardava, e mentre lo faceva si segava con una mano. Con l’altra, prese possesso di una mammella della donna. Lo sguardo di entrambi era su quel motore a tre cilindri che spingeva all’impazzata davanti a loro: un pistone di carne che profanava la fica di Giulia, e gli altri due, a perfetto ritmo, che affondavano nella sua gola, uno dopo l’altro, in un ciclo che sembrava infinito.

Il nero superdotato ritrovò forze insospettate. Con un urlo di battaglia, si sfilò dalla donna, si alzò in piedi, poi la sollevò di peso. Lei, intuendo immediatamente le sue intenzioni, si aggrappò all’uomo e gli cinse la vita con le gambe. Il nero quindi la penetrò a quel modo e lasciò che la forza di gravità facesse il suo gioco. Iniziò una forte montata, lì, in piedi, davanti a tutti.
I maschi e la femmina mora lo guardarono esterrefatti mentre, con tutto il suo vigore di stallone nero, stava usando volgarmente la bionda, sbattendosela con violenza e portandosela appresso mentre lo faceva. A un tratto, Giulia si ritrovò spalle al muro, posseduta da quel maschio dalle forze inesauribili. I due restarono appartati per alcuni minuti: lui la copriva con tutto il suo corpo e tutte le sue forze; lei, aggrappata strettamente, subiva i colpi del suo membro possente e lo slinguava con furia. Quando sembrava che l’apice fosse stato raggiunto, l’uomo riportò la donna in mezzo al consesso e la offrì agli altri. Continuando a sostenerla, si sfilò e la lasciò a disposizione di chi volesse approfittarne. Il primo fu il capo, che la penetrò immediatamente, impalandola con decisione. Giulia godeva a occhi chiusi, ormai incapace di distinguere cosa stesse capitando e chi la stesse montando in quel momento. I due fratelli si alternarono più volte, poi il nero riprese il possesso della sua vulva e le diede nuove botte terrificanti.
Stavano arrivando al limite. I tre stalloni erano prossimi all’esplosione; il quarto, che si segava furiosamente, vi era forse ancor più vicino.
Avvenne un fatto imprevedibile: il fratello del capo, il più quieto dei quattro fino a quel momento, d’un tratto si lasciò prendere dalla libido più estrema e si avvicinò a Giulia quando lei era ancora posseduta dallo stallone nero. Iniziò a strofinarsi sul culetto della donna, trovando il suo ano. Stava per fare quello che tutti pensavano?
Invece non lo fece. Scivolò più in basso, trovò la vulva trapanata dal biscione nero e tentò di inserirvisi a sua volta. Giulia capì in un secondo, e terrorizzata si dimenò tentando di dissuadere l’uomo dal suo intento. Ma non fece in tempo. Applicando una pressione considerevole, la cappella dell’uomo inziò a entrare nella fica già piena, mentre il nero, che a sua volta aveva capito il gioco, si era fermato per agevolare il lavoro al compare.
E così avvenne. Giulia, la dolce Giulia, quella creatura delicata ed eterea, era in groppa a un nero e aveva la fica riempita in contemporanea da due cazzi. Ma non provava alcun dolore. Del resto quegli uomini, seppur porci perversi, erano stati bene attenti a rispettare le due donne e ad essere circospetti quando serviva. Solo che in quel momento ogni freno era stato liberato, e la prudenza non era più necessaria. Giulia era una femmina completamente abbandonata al piacere più estremo e i suoi due stalloni la stavano cavalcando con una furia cieca, pensando solo a un obbiettivo. Un obbiettivo che cancellava ogni lucidità, ogni pudore, ogni etica, ogni barlume di pensiero cosciente.
L’orgasmo.
E orgasmo fu.
Giulia li anticipò di qualche momento: venne così copiosamente da inondare i due bastoni del suo piacere e da sgocciolare sul pavimento. Urlò, urlò a lungo la sua goduria, e mentre lo faceva chiese di essere messa giù.
Si accasciò al suolo e si ritrovò quindi in ginocchio. Era il momento. I due porci che l’avevano appena sfondata presero a segarsi davanti al suo viso, mugolando quelle che sembravano una Babele di imprecazioni in una lingua incomprensibile. Ad essi si aggiunse il capo, che aveva abbandonato la sua maschera di strafottente distacco e ora era rosso in viso, sull’orlo del precipizio di quell’orgasmo.

Infine avvenne. I due fratelli gemettero più forte, poi vennero quasi in simultanea. Due lunghe frustate di sborra bianca si staccarono dalle loro cappelle e colpirono Giulia in pieno volto, centrandone le guance e le labbra. La donna, a bocca aperta, accolse gustosamente quel seme bollente e lo bevve soddisfatta. Era denso, cremoso e filoso. Alcune gocce le scesero sul mento e caddero sul suo petto. I due porci le avevano sborrato in faccia. Se solo suo marito avesse potuto vedere…
Poi fu la volta dello stallone d’ebano. Con un nuovo urlo simile al precedente, quando aveva riempito il culo dell’altra troia, iniziò a schizzare una pioggia di sperma liquido e traslucido, che imperlò il viso già insozzato della magnifica bionda e andò anche a lavarle la fronte, i capelli, il collo. Lei sorrise compiaciuta e prese a pulire i tre cazzi, ingoiando ogni goccia di latte che ancora sgorgava da quei cazzi esausti. Una visione paradisiaca.
A quella vista, il nero di Paola oltrepassò il punto di non ritorno. Si segò più forte e salì in piedi sul letto, posizionandosi proprio di fronte al viso della donna. La prese per la nuca portandosela vicino, poi, con un gemito, le sborrò in faccia tutto il suo piacere troppo a lungo trattenuto. Il denso sperma le impiastricciò la bocca, le guance e soprattutto gli occhiali. Era piena di seme, e parte di esso le gocciolò sulle tettone. Poi si sfilò gli occhiali e leccò via la sborra dalle lenti, assaporandone il sapore e ingoiandola.

Era finita. Le due donne, distrutte, stese a terra, completamente lordate di sperma; i quattro uomini intenti a riprendere fiato. Fuori la neve aveva raggiunto una dozzina di centimetri.
Decisero che era il caso di andarsene; saziati e soddisfatti da quelle due favolose femmine in calore, si rivestirono rapidamente, uscirono, montarono sull’utilitaria scassata e uscirono dalla loro vita come erano venuti. In un forse vano tentativo di mantenere un contatto, il nero di Paola le lasciò il suo numero di telefono su un bigliettino che infilò nella sua borsa.

Come uscirono, un’altra porta si aprì. Le due donne non credettero ai loro occhi: erano i loro compagni, nudi e coi cazzi in tiro. Dunque, avevano organizzato tutto? Ecco perché il camino era già acceso quando erano arrivate…
Tra le due, Paola trovò la forza di incenerire Andrea con uno dei suoi famosi sguardi. Ma fu tutto: erano così esauste, e così ancora avviluppate nel fuoco dell’eros, che nessun’altra rimostranza fu elevata contro di loro. E nessun’altra ci sarebbe stata in futuro: i loro uomini avevano carpito la loro vera essenza e avevano fatto loro il dono di ciò che davvero desideravano. Sentirsi due regine.
Si avvicinarono: il marito di Giulia a Paola, il compagno di Paola a Giulia. Non persero tempo in cerimonie. Infilarono i loro cazzi turgidi, sfiancati da una serata di seghe, nelle loro boccucce accoglienti e, in pochi istanti, si svuotarono completamente nelle loro gole, regalando loro la sborrata più prelibata.

Troppo stanchi tutti e quattro per rimettersi in viaggio fino a casa, dormirono lì. L’affitto, del resto, era pagato fino all’indomani.

Tutta la serata era stata ripresa e registrata dai due complici con una webcam nascosta; nei giorni successivi le foto e i video apparvero su vari siti: i server furono letteralmente intasati di commenti, rendendo le due donne autentiche star. Sui social le preferenze si spaccavano tra la mora e la bionda, ma tutti erano concordi su una cosa: l’invidia per i loro compagni di vita e per gli uomini che avevano avuto l’opportunità di godersele per una notte.

Quanto a loro quattro, quell’esperienza pazzesca aveva rinvigorito i loro legami, dentro e fuori dalle rispettive coppie, ma non ne parlarono mai più apertamente. Era come un sogno che volevano lasciare dov’era, adesso che si erano svegliati.
Paola non contattò mai il suo nero amante, ma non buttò il numero.
Forse, un giorno, disse a Giulia in segreto, avrebbero fatto quella telefonata.

F I N E

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