Il prete depravato (cap. I)

Il prete depravato (cap. I)

Salve, prima di sottoporre alla vostra lettura queste mie confessioni devo presentarmi e, soprattutto, esporre con semplicità il mio pensiero.

Dunque, sono Mauro, ho 43 anni, sono siciliano e sono un sacerdote. Fin da ragazzino mi sono sempre sentito combattuto fra l’amore per le pratiche sacre e religiose e le pulsioni della carne, i desideri sessuali. Allora si trattava delle innocenti pugnette che mi facevo sia perché facevo lavorare la fantasia, e sia davanti alle immagini delle riviste o a quelle della tv.

LA GENESI DEL DESIDERIO

A nove anni poi ho iniziato a smanettarmi il pisello spiando di nascosto mia madre e le mie zie quando, in primavera e in estate, si sbracciavano e si vestivano più leggere. Cinque sorelle, tutte tra i trenta e i quarant’anni, e tutte belle in carne, con tanta ciccia che gli riempiva i fianchi rotondi, i culi grossi, le cosce piene e tornite e i seni. Era sbirciando le tette gonfie che spuntavano dalle magliette leggere e con la generosa scollatura che mi sparavo le seghe migliori. Quando poi si andava tutti in spiaggia era l’apoteosi. Tutte e cinque le sorelle che si mettevano in costume senza alcun imbarazzo nel mostrare i loro corpi opulenti (allora non esisteva il “dramma” della prova costume e anzi l’essere in carne era un richiamo libidinoso irresistibile per i maschi), i loro rotoli di grasso attorno la pancia e sui glutei e le forme piene, tonde e burrose dei fianchi, per non parlare di quelle minnone gonfie, bianche e morbide che, una volta liberate dalla rigidità dei reggiseni, pendevano oscene e pornografiche come le mammelle delle vacche, facendomi impazzire e procurandomi gli orgasmi più da sconquasso che io ricordi, quando le vedevo ballare e tremare ad ogni movimento; così grosse e piene che facevano scomparire sotto il loro peso l’esigua stoffa del pezzo di sopra del costume da bagno.

Ho così passato l’adolescenza e la prima maturità combattuto fra queste pulsioni sessuali e la vocazione al sacerdozio. Dopo tante e profonde riflessioni e meditazioni ho scelto e mi sono consacrato ma le pulsioni sessuali, i desideri della carne, le voglie libidinose non si sono placate ma anzi si sono fatte ancora più potenti, con momenti di forte debolezza in cui il desiderio si faceva (e si fa) dilaniante e irresistibile. I tormenti arrivano ad essere insostenibili, al punto che ho fatto mio il detto: il modo migliore per vincere le tentazioni è cedervi.

E così ho trovato un equilibrio vivendo appieno la mia missione, impostandola sulla Carità (e non sui dogmi, i precetti e le sterili leggi ecclesiastiche) e allo stesso tempo non rinunciando ai piaceri della carne, anche i più concupiscenti e degradanti; insomma, da sacerdote, l’unico comandamento che ho giurato di osservare sempre è l’amore e la carità verso il prossimo.

LA GENESI DEL PECCATO

La prima grave trasgressione l’ho fatta a ventitré anni. L’ho fatta proprio il giorno prima di essere consacrato sacerdote e l’ho fatta alla grande, con un incesto!

Una mia zia, Elide, che tra le cinque figlie è quella di mezzo, aveva allora trentasei anni, quattro in meno di mia madre, ed era sarta. Era sposata e aveva tre figli adolescenti, era sposata con un uomo che passava molti mesi lontano da casa perché lavorava in Germania e questo contribuì a portarla a cedere a quell’atto insano.

Zia mi stava cucendo la veste talare, lunga e nera, per la cerimonia in cattedrale del giorno seguente. Io naturalmente ero tesissimo ed emozionato per l’evento imminente non da poco: la consacrazione ad una vita intera al sacerdozio!

In quegli stessi giorni, e da una settimana, ero dilaniato dai desideri sessuali; mi segavo e sborravo di brutto fantasticando dei culoni morbidi e le tettone bianche e pendenti di mamma e delle zie.

Ero in camera e facevo avanti e indietro con passo nervoso, ripetendo a bassa voce delle giaculatorie, a mo di mantra, per tenere a bada la fregola e l’arrapamento che mi scuotevano, quando ecco che si presenta zia Elide sulla soglia, con piegata sul braccio la veste talare.

Vederla lì, in piedi sulla soglia, con le tettone nascoste sotto la maglia ma che svelavano comunque la loro grandezza rigonfiando il tessuto è stato il colpo di grazia ai miei già tremanti aneliti di mantenermi casto e puro.

Il “demone” della lussuria si è impadronito di me, e il fatto di desiderare un incesto con mia zia (una zia consanguinea e non acquisita), proprio alla vigilia di un atto così importante e totale come una consacrazione sacerdotale, mi ha fatto eccitare ancora di più.

Non era solo il desiderio di un incesto (una cosa definita nella Bibbia, abominevole) ad alimentare l’erezione, ma era il sentore di un sacrilegio, di una blasfemia, che pompava furiosamente il mio sangue nel cazzo facendolo drizzare e gonfiare in modo osceno la stoffa leggera della tuta.

In quel preciso istante ho dato coscientemente al demone della carne e della lussuria il permesso di dominarmi; mi sono arreso a lui e ho lasciato che le mie voglie oscene guidassero il mio agire. E così ho guardato mia zia sorridendole e le sono andato incontro per abbracciarla. Mi sono goduto l’abbraccio, con le sue tette grosse e morbide che si schiacciavano contro il mio petto, e soprattutto, con una ‘diabolica’ spudoratezza, ho spinto il mio cazzo contro la sua pancia, lasciando la mia mazza dura affondare nello strato di grasso del suo ventre, ci siamo strusciati vogliosamente, seppure separati dai tessuti dei nostri vestiti.

Zia si è irrigidita un po’, ma il mio abbraccio è restato forte e non ho accennato ad allentarlo. L’ho sentita sottomessa, come se il ruolo che mi apprestavo a incarnare, l’essere in procinto di diventare sacerdote, mi investisse di un potere sacro, e in quel momento mi balena il pensiero eccitante che avrei potuto sfruttare quel potere per soddisfare le mie brame, e quale test migliore di quello per provarci.

Ho lasciato che zia Elide si staccasse dalla mia stretta perché sapevo che si doveva abbassare per misurare e dare gli ultimi ritocchi alla tonaca, e così ha fatto.

Zia mi ha passato più volte il metro cingendomelo attorno ai fianchi, con il mio cazzo che gonfiava oscenamente la tuta, ed ho notato che quell’asta dritta e dura le creava anche un impiccio per le misurazioni, allora ho preso spudoratamente l’iniziativa.

“Scusa zia per questo intralcio, forse è meglio levare la tuta, perché il tessuto rigonfio dà solo fastidio…”

Così dicendo la abbasso e la mia verga dura svetta imperiosa davanti la faccia di mia zia. Una minchia tosta e vigorosa come la nerchia di un cavallo si erge, con la cappella pulsante, a pochi cm dalla sua bocca. Lei sussulta come spaventata da questa visione sbattutale davanti così, a bruciapelo. La fissa sbigottita, spalanca occhi e bocca incredula ma resta dov’è, inginocchiata e con le mani che stringono il metro attorno ai miei fianchi. Sento il suo fiato soffiare sulla mia cappella e le dico:

“Zia, domani consacrerò la mia vita a Dio, ma oggi sono ancora tuo nipote e merito di concedermi l’esaudimento del mio più grande desiderio, da sempre. Tu!”

Trasale e si arrossa in viso come un peperone, sorpresa alla confessione che sia lei che tutte le sue sorelle hanno riempito e nutrito tutti i miei sogni erotici, dalla fanciullezza all’adolescenza, e oltre.

Glielo dico con il tono solenne del sacerdote che impartisce una benedizione. Un tono che richiama il senso dell’obbedienza e sottomissione al potere ecclesiale insito in lei, tipica donna religiosamente timorata. Lei solleva lo sguardo verso la mia faccia; ho assunto con teatralità una espressione serafica come se le dicessi: “non temere, donna, lasciamo che si compia questa volontà”, e poi lo riabbassa farfugliando incredula e scioccata, ma anche arresa. Io la tiro su di peso e me la stringo forte poi infilo le mani sotto la sua maglia quasi strappandola mentre lei, che ancora tiene attorcigliato in una mano il metro da sarta, si lascia fare tutto.

CONTINUA
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