Lucy – Soggiogata – secondo giorno

Lucy – Soggiogata – secondo giorno

Avevo appena finito di sistemare alcune pratiche quando la suoneria del telefono mi preannunciò l’arrivo di un messaggio; sullo schermo del telefono poche istruzioni: l’ora dell’appuntamento e il luogo, una viuzza al confine della città.
Arrivato sul posto con la mia fida valigetta, ci trovai Gianni. Mi salutò e ci incamminammo, prima in un sottopassaggio che permetteva di passare al di là della ferrovia e poi lungo una stradina sterrata che conduceva a un casolare abbandonato a pochi metri dai binari.
Ammetto che mi stavo preoccupando un po’, ma ricordai la precauzione che avevo preso e di cui avevo avvisato i ragazzi. Prima di ogni appuntamento preparavo una mail che sarebbe partita di lì ad alcune ore, indirizzata a Marco e al mio avvocato, e contenente il famoso file registrato col telefonino, oltre a ora e luogo del nuovo incontro. Se non fossi tornato in tempo per eliminarla, la mail sarebbe partita con tutte le conseguenze del caso.
Entrai perciò nel casolare, in evidente stato di abbandono, abitualmente utilizzato come ricovero notturno di senzatetto o di sbandati, e a giudicare dal numero di profilattici gettati a terra qua e là, anche come alcova di fortuna, probabilmente dalle prostitute del viale con i loro clienti.
Al momento, però, non c’era nessuno.
Nessuno, ovviamente, tranne gli altri due ragazzi.
“Qui dovrai un po’ arrangiarti per cambiarti” mi disse uno dei due. “Tranquillo… o credi che non mi sia cambiata anche in posto più scomodi di questo?” risposi io, pensando al furgone nel quale mi ero cambiata per giocare con i due muratori.
E’ incredibile quello che si riesce a fare con uno specchietto e un po’ di pratica… in pochi minuti lasciai il posto a Lucy, femmina e porcella come non mai, e mi ripresentai ai tre.
Per sottolineare ancora di più la mia condizione di oggetto del piacere, avevo aggiunto alla catsuit nera anche un collarino di pelle, dal quale pendeva un anello a cui poteva essere agganciato, volendo, un guinzaglio. E fu proprio da quell’anello che Derek mi prese, guardandomi negli occhi ed ordinandomi di inginocchiarmi su un telo di nylon steso a terra per l’occasione.
Mi inginocchiai e fui subito circondata dai tre, che nel frattempo avevano estratto i loro sessi dai pantaloni.
Me li strusciavano sul viso e sulla bocca, li usavano per schiaffeggiarmi, e per me fu comeun viaggio nel tempo. Ritornai a quell’episodio che, da sempre, identifico come concepimento di Lucy all’interno della mia mente, della mia anima.
I cazzi di quei tre giovani uomini erano quelli che, un giorno lontano nel tempo, cercavano di umiliarmi nello stesso modo; con la differenza che allora erano i sessi imberbi di ragazzini che se la prendevano con un altro ragazzino, il quale cercava in tutti i modi di ribellarsi a quel sopruso.
Oggi invece erano robusti e nodosi randelli di maschi adulti, che infliggevano quel supplizio a una strana creatura, una femmina disinibita e vogliosa nel corpo di un uomo.
Ed ero eccitata. Volevo quei cazzi. Li volevo baciare, succhiare, volevo la loro carne dura nella mia gola e nel mio culo. Volevo il loro sperma.
Senza neanche esservi costretta o anche solo invitata, presi in bocca uno dei tre randelli, mentre con le mani afferrai gli altri due. Nemmeno mi importava di sapere chi stessi succhiando e chi stessi masturbando: per me erano solo cazzi senza un nome e senza un volto; o forse ero io che intendevo dar loro i volti dei miei aguzzini di quello spogliatoio della scuola di tanti anni prima.
“Guarda che troia… li cerca proprio… ha fame di cazzo…”
Mi insultavano in questa maniera, mentre io passavo con la mia bocca da un membro all’altro, lasciandoci sopra lunghe colate di bava e di liquidi prespermatici.
Volevo succhiarli fino a ricevere il loro sperma, ma evidentemente i tre non volevano che il divertimento finisse così presto.
Mi tolsero quindi i loro cazzi dalla bocca e dalle mani e mi fecero rialzare in piedi.
Mi fecero appoggiare ad una parete, sporgendo bene le natiche all’indietro, e mi aspettavo di sentire il primo cazzo farsi strada nel mio buchino, quando un dolore intenso mi fece sobbalzare.
Colpi sulle mie natiche, sculacciate violente e ripetute, che mi strapparono urli di dolore: “Ahia… ahia… basta, basta, pietà…ahia…”
“Si lamenta, la zoccola, ma mi sa che in fondo le piace” disse uno, indicando le mie chiappe rosso fuoco e, più sotto, il mio cazzo duro come un ferro.
E’ vero… soffrivo come un cane, ma qualcosa dentro di me trovava quel dolore eccitante.
Finalmente, ad un certo punto, i colpi cessarono, e l’aria fresca della sera portò un po’ di sollievo alle mie natiche infiammate; subito dopo, però, sentii due mani afferrare i miei fianchi e, istintivamente, tesi ancora di più il mio culo all’indietro per facilitare quello che sarebbe avvenuto di lì a poco… e non potevo nascondere di desiderare con tutta me stessa.
Il primo cazzo spinse contro il mio sfintere allenato e vi entrò fino in fondo con un paio di spinte. Le mani del mio anonimo sodomizzatore mi stringevano forte i fianchi, mentre quel cilindro di carne entrava e usciva dal mio budello caldo prima lentamente, poi sempre più velocemente.
Persa nel piacere, sentii come da lontano una voce che diceva: “Ma no, non venirle dentro” e poi l’urlo del mio scopatore che scaricava dentro di me i fiotti del suo sperma, per poi sfilarsi da me.
“Dai, cazzo, adesso ce l’hai riempita della tua sborra” si lamentò qualcuno alle mie spalle; io mi appoggiai al muro con la guancia e usai le mani per divaricarmi le natiche, al centro delle quali occhieggiava il mio buco allentato da cui colava lo sperma.
“Ancora… dai… mica vi farete problemi per così poco…” li incitai. E fui subito accontentata.
Un secondo cazzo mi penetrò senza fatica, iniziando subito un va e vieni in quel buco che ormai era divenuto ospitale come una vagina di donna.
Colpi, colpi a ripetizione a squassarmi l’ano, a schiacciarmi la prostata, a darmi piacere e a darne soprattutto a quel ragazzo che abusava di me.
“Prendi… prendi, troia rotta in culo” sbuffava accompagnando i suoi colpi, fino a che rovesciò anche il suo carico nella mia ampolla rettale.
Sfilò il suo sesso gocciolante e il suo posto fu subito preso dall’ultimo amico, che mi infilò il suo bastone in un colpo solo, facilitato dalla dilatazione e dallo sperma delle precedenti inculate.
Andava e veniva senza trovare alcuna resistenza, e la cadenza dei suoi colpi andava all’unisono con quella dei miei gemiti.
“Ti piace, eh?” mi sussurrò cattivo all’orecchio senza ricevere nessuna risposta se non i miei mugolii di piacere; gemevo, godevo, volevo che quel momento non finisse mai.
“Scommetto che ti piacerebbe se ti lasciassimo qui a disposizione di quelli che tra un po’ ci verranno a passare la notte, eh?”
La visione di un plotone di sbandati che mi inculava senza alcun ritegno mi portò rapidamente all’orgasmo, e me ne venni schizzando il mio sperma sul terreno.
Le contrazioni del mio sfintere, però, costrinsero anche il mio scopatore a cedere e a svuotarsi nel mio intestino con un ultimo colpo fortissimo che sentii arrivare fino allo stomaco.
I tre se ne andarono, dandomi appuntamento all’indomani.
Mi sbrigai a rivestirmi da uomo, mentre lo sperma dei tre mi colava lungo le gambe dallo sfintere che stentava a richiudersi.
Cosa mi aspettava per il giorno dopo?

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