Estate

Estate

Protetto dai cespugli che circondavano la radura contemplava il tesoro di cui si era impossessato nell’orto lì vicino. Lisciò la superficie con le mani, poi se lo mise in bocca e lo fece scorrere lentamente su e giù fra le labbra. Si inginocchiò e rimase immobile per qualche istante. Rassicurato dal silenzio cominciò a spogliarsi. Aprì i pantaloni e li abbassò insieme alle mutande. Il sole del primo pomeriggio era a picco sopra alla sua testa e la luce intensa riverberata dal cielo dava al paesaggio un aspetto irreale. Si distese su un fianco e raccolse un po’ di saliva con una mano. Cercando di perderne il meno possibile se la sparse all’interno delle natiche. Ripeté quel gesto più volte fino a che non si sentì bagnato a sufficienza, poi prese lo zucchino e lo mise a contatto con l’apertura. Il cuore gli batteva forte, per un istante gli mancò il respiro. Era come se il tempo si fosse fermato e lui chiuso sotto una campana di vetro fosse rimasto isolato da tutto ciò che aveva intorno. Con la mano cominciò a premere, l’orifizio cedette un poco, poi richiudendosi respinse il corpo estraneo. Un altro tentativo produsse lo stesso risultato. La terza volta, dopo avere spinto il piccolo vegetale, lo tenne fermo nella posizione conquistata. Lo sfintere si contrasse a più riprese cercando di mandarlo indietro, ma ad ogni contrazione faceva seguito una pausa di rilassamento durante la quale la punta rotonda si immergeva sempre più a fondo. All’improvviso udì un rumore di siepi smosse e un calpestio via via più vicino. Da un varco tra i cespugli apparve una figura bassa e robusta, era Beppe, il padrone della casa che aveva affittato per l’estate. Lui aveva appena fatto in tempo a estrarre lo zucchino e a tirarsi su alla meglio i calzoni e adesso se ne stava immobile come se ogni ulteriore tentativo di ricomporsi fosse un’esplicita ammissione di colpevolezza. -Non è che per caso qualcuno qui ha trovato uno zucchino-? Chiese il nuovo arrivato con un tono beffardo. Lui avrebbe voluto sparire sotto terra o svanire nel cielo e per un attimo si concentrò su quell’idea come se davvero la cosa fosse possibile. Ma l’altro gli stava sempre davanti e la situazione non era cambiata di una virgola. -Che hai, ti vergogni-? Riprese Beppe -Neanche tu fossi l’unico che gli piace prenderlo nel culo. Ne conosco io che non si vergognano per nulla e anzi non gli pare vero-! Lui lo ascoltava senza dire una parola. -E poi non vorrai mica continuare a fare da solo!- proseguì l’altro come se gli stesse a cuore il suo caso. -Con me puoi stare tranquillo perché di queste faccende non parlo con nessuno, ma ora non rimanere lì come una statua, togliti i calzoni e fatti un po’ vedere-! A quel comando lui obbedì dopo una breve esitazione. Premette con la punta dei piedi sulle scarpe e se le sfilò, seguirono i pantaloni e alla fine rimase steso in terra, nudo dalla vita in giù. Sentì che Beppe si slacciava la cintura e si sbottonava i calzoni, non osava guardare ma pensò che a quel punto doveva avere già tirato fuori l’uccello. Di nuovo udì la sua voce -Bravo, ora mettiti in ginocchio e apri le gambe. Su, che aspetti? Se non mi mostri bene il buco come faccio a entrarci dentro-? In un attimo anche questa richiesta venne esaudita. Ormai come poteva rifiutare? L’altro gli si accostò, si sputò su una mano e bagnò ben bene la verga, poi gliela ficcò nel culo. Disagio, paura, era dunque questo quello che si provava? Non che avesse sentito dolore, ma non poteva neppure dire che la cosa gli piacesse. A giudicare dall’irruenza con cui gli metteva dentro il cazzo, il suo compagno invece ci provava gusto. Stranamente la consapevolezza di questo fatto non suscitava in lui alcun rancore, dopotutto gli sembrava ragionevole che almeno uno di loro due provasse piacere. Mentre lo fotteva Beppe si mise ad accarezzarlo e a palparlo manifestando con rozzi commenti la sua soddisfazione, così dopo qualche tempo anche lui si convinse che la cosa non era poi così male e cominciò ad apprezzare le attenzioni che il suo compagno gli rivolgeva e a provarci gusto a sentire che un cazzo vero gli stava facendo il culo. L’altro intanto aveva iniziato un inarrestabile crescendo. Di lì a poco lo strinse a sé con quanta forza aveva in corpo e godette dentro di lui. Quando ebbe terminato Beppe si ritrasse, si tirò su i pantaloni e gli disse -Il pomeriggio, quando hai voglia di trombare, vai al bar in paese e chiedi una cedrata. Poi ti metti fuori al tavolino. Dopo che hai bevuto sali su all’orto. Io di solito sono nella sala con gli amici a trattare gli affari. Se ti vedo o sento la tua voce mi libero dagli impegni e appena posso ti raggiungo-. Non riusciva lui stesso a crederlo, ma il giorno dopo era lì al bar che con voce alta e ferma per quanto era capace ordinava una cedrata. Divennero amanti. Si incontravano spesso e ormai nei loro rapporti avevano acquistato quella confidenza che si stabilisce tra le persone che condividono il più intimo dei piaceri. Un pomeriggio si trovavano come di consueto appartati nella radura vicino all’orto. Lui se ne stava sdraiato a pancia in giù sull’erba. Addosso aveva solo la maglietta. Oltre l’orlo della siepe i contorni delle montagne disegnavano profili fantastici contro al cielo azzurro. Era uno scenario che non aveva uguali al mondo! Beppe gli stava seduto accanto. Gli aveva infilato il dito medio nel culo e lo muoveva lentamente -Ce l’hai ancora bello stretto-! Commentò massaggiando l’orifizio. Lui cercò di liberarsi dall’invasore ma l’altro continuò a tenergli dentro il dito. Al suo amante quella cosa piaceva molto. Si eccitava quando sentiva lo sfintere contrarsi con un sussulto per poi cedere a poco a poco e si accorgeva dal suo respiro ansimante e dal suo sguardo smarrito che la stimolazione aveva effetto. A volte lui si dimenava debolmente per sfuggirgli, ma l’altro aveva gioco facile a trattenerlo e continuava la sua opera fino a quando con il cazzo ben duro si decideva a penetrarlo. Girò la testa verso il compagno e vide che la verga era dritta, fra poco lo avrebbe preso, ma intanto per tenerlo buono non trovò di meglio che mettersi a parlare -Lasciami, Beppe, ti prego! E poi devo dirti una cosa…- L’altro sembrò non dare peso a quelle parole e continuò come se non le avesse udite. Ma ormai era pronto. Lo sistemò in ginocchio davanti a sé, allineò la verga all’apertura e cominciò a spingere. La magnifica sensazione che provava quando l’orifizio si allargava e il cazzo duro gli entrava dentro lo sopraffece. Di nuovo lo avrebbe preso nel culo e avrebbero goduto insieme. Istintivamente si protese all’indietro facendosi riempire dal fallo, poi appoggiò braccia e gambe bene a terra preparandosi a reggere gli urti della monta. -Allora, che è successo-? chiese ad un tratto Beppe cogliendolo di sorpresa. Adesso però parlargli di quel fatto privo di importanza a lui sembrava talmente incongruo! – È che… che…- balbettò mentre la verga gli si muoveva dentro e il piacere cresceva ad ogni istante -C’è che al bar in paese la cedrata è finita-. Concluse con voce rotta dall’emozione. -Vuol dire che ti toccherà bere qualcos’altro- replicò il suo amante continuando a incularlo a tutta forza -Io di fava da darti ce n’ho ancora parecchia-!

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