La porta si spalanca e l’esplosione di luce mi trafigge gli occhi. Serro le palpebre e volto il capo.
«Muoviti, cagna!» Il marinaio che mi precede strattona la corda che mi lega le mani.
Incespico su uno scalino invisibile ma rimango in piedi.
La brezza mattutina del mare mi scompiglia i capelli rossi, ombre nere prendono forma nel bagliore che mi acceca.
Riconosco la voce ancora prima di vederlo. «Ecco qui la mia sposa, infine. Sono dovuto andare letteralmente dall’altro capo del mondo per ritrovarti».
Allora Arjun aveva visto giusto: l’ammiraglio Donovan O’Connor sarebbe salito sulla sua nave per riavermi indietro, una volta a conoscenza della mia presenza a bordo.
In mezzo a quattro soldati della marina imperiale, Donovan, il bastardo scozzese a cui mi aveva destinata in sposa la mia famiglia, rientra nella mia vita. É grande il doppio rispetto agli altri uomini attorno a lui, il suo sorriso è qualcosa di più simile alla pazzia che alla felicità, come possono garantire le decine di navi orientali che ha affondato negli anni per puro divertimento con il vascello da guerra all’ancora ad una gomena verso la costa.
Arjun ha organizzato un incontro con Donovan per scambiarmi con la garanzia che non attaccherà quelle della sua compagnia commerciale. Lui pensa che la cosa funzionerà, io credo sia un azzardo inutile.
L’indiano è lì dietro. È stato un amante dolce e premuroso, che mi ha salvato dalle acque quando la nave su cui stavo fuggendo è affondata, e mi ha fatto conoscere i millenari segreti dell’amore orientale. Ora mi sta per passare a questo mostro.
Donovan mi si avvicina. Indossa l’uniforme e la spada da parata, come quando siamo stati uniti in matrimonio nella Cattedrale di Canterbury, prima che la mia damigella mi aiutasse a fuggire.
Mi passa una mano sulla guancia. «È quasi un anno che non ti vedo, Lucrezia». Le sue dita arrivano al mio mento e lo afferra. «È quasi un anno che aspetto di consumare il nostro matrimonio…» I suoi occhi si chiudono in uno sguardo in cui divampa il fuoco della pazzia.
Un brivido mi scende lungo la schiena. No…
Arjun ci raggiunge. Massacra una mano dentro l’altra. «Mio signore… le carte da firmare per…»
Donovan solleva una mano senza nemmeno guardarlo. «Più tardi». La sua mano si abbassa su un mio seno. Lo stringe con forza, lo muove.
Apro la bocca in una smorfia di dolore.
Assesta una sberla alla tetta. «Adesso devo ufficializzare il mio matrimonio». Il suo sguardo mi stringe il petto.
Arjun lancia uno sguardo allarmato al veliero da guerra che batte bandiera dell’Impero britannico, trattiene il fiato. Fa un passo avanti. «Non c’è bisogno che torniate sulla vostra nave: potrei… potrei darvi una cabina dove…»
Mi si mozza il fiato. Non posso credere che glielo stia proponendo!
Donovan ride. «Non ce n’è bisogno». Fa un cenno al marinaio che regge la fune. «Dammi quella cima». L’afferra e si avvicina all’albero di maestra.
No! Non vorrà davvero…
Arjun è stupito quanto me, ha gli occhi sgranati.
«No…» Faccio resistenza alla fune che si tende, ma non posso nulla: Donovan è molto più grosso di me e mi trascina all’albero di maestra.
L’uomo prende la fune e la annoda ad un paio di metri di altezza. Mi ritrovo con le braccia alzate sopra la testa.
Uno dei soldati si avvicina. È un ufficiale, il viso è più rosso della stessa uniforme. «Signore, faccio… ehm… faccio scendere gli uomini sulla scialuppa?»
Mio marito sogghigna. «No, restate qui, Harrison: voglio che siate tutti testimoni della consumazione del nostro matrimonio». Mi guarda, mi accarezza il volto. Abbassa la mano, afferra la camicia consunta e dà uno strappo. L’abito si strappa, il mio grosso seno ballonzola davanti a tutto il ponte. «Poi potrete godervela anche voi».
Il volto del soldato tende al porpora, deglutisce ma non riesce a staccare lo sguardo dalle mie tette. Se fossi libera, gli caverei gli occhi.
Arjun si asciuga la fronte. «Signore… è una donna molto… pericolosa quando…».
Donovan mi lancia uno sguardo di derisione.
Bastardo… «Chiedi a quello che ha cercato di mettermelo in bocca. Adesso è in cura dal medico di bordo, ed è mozzo di ruolo e di fatto».
Lui ride. Mette la mano sui miei pantaloni e li abbassa con uno strattone. Afferra le mutande e me le strappa di dosso.
Gli occhi di tutti i presenti si sgranano, ma di certo non quanto i miei. Sollevo una coscia per nascondere la mia figa.
La mano che stringe il mio intimo mi spinge contro l’albero alle mie spalle. Donovan si sputa sulle dita dell’altra e le appoggia sul mio inguine. Medio e indice si fanno strada nella mia figa per tutta la loro lunghezza. Boccheggio, mi sembra di averle in gola.
«Qui non trovo denti», ride, il bastardo.
Apro le labbra per rispondergli, o anche solo sputargli in faccia, ma lui è più veloce e mi infila in bocca le mutandine.
Emetto un gemito, disgustata. Spingo con la lingua per liberarmene, ma lui ha in mano un fazzoletto e lo usa per bloccarmi la bocca.
«E adesso consumiamo il nostro matrimonio». Donovan afferra la mia coscia sinistra e la solleva. Mi trovo bloccata contro l’albero. Con l’altra mano si afferra i pantaloni e li abbassa.
Un grosso cazzo lungo una spanna punta contro di me, la cappella rossa è grande quanto il mio pugno, lucida di eccitazione. Quella mostruosità avrebbe dovuto sverginarmi un anno fa…
Arjun si fa avanti. «Signore, forse non è il…»
Donovan mi afferra la gola. Si volta indietro. «Harrison, levami questo stronzo dai coglioni!»
L’ufficiale pone una mano davanti al mio ex amante e posa l’altra sulla pistola al fianco. Gli fa un cenno di allontanarsi. Arjun mi lancia uno sguardo e si ritira.
Il volto di Donovan è incattivito da un ghigno. «E ora a noi due…».
Mugugno, ma non serve a nulla.
Lui appoggia la punta contro la mia figa e spinge. La sua cappella entra in me, apre le pareti della vagina fino in fondo e mi impala contro l’albero di maestra.
I miei occhi si sbarrano sempre più allo sprofondare del suo sesso nel mio con la forza di un ariete che sfonda una porta. Le mutande in bocca assorbono il mio urlo. Ansimo, il mio seno è schiacciato dal petto dell’uomo. Mi solleva la testa e mi lecca sotto l’orecchio.
Spinge indietro il bacino, le pareti della mia figa che cercano di chiudersi alla cappella che esce, ma questa rientra con forza e le dilata ancora più.
«Sei già stata usata, puttana…» sussurra nel mio orecchio. Non sembra deluso. «Detesto le vergini, meglio le troie. E dopo che sarai sulla mia nave lo diventerai ancora di più».
Spinge, mi lascia andare la gamba e afferra una tetta. Le sue dita affondano nella mia carne, aumenta la velocità della scopata.
Si allunga verso la mia testa, bacia il mio collo, lo lecca e succhia il lobo dell’orecchio.
Ansimo con il naso, rumoroso quasi quanto i gemiti di Donovan. Sono alla sua mercè, la sua puttana, non ho altro scopo per lui che essere l’oggetto da cui strappare uno o più orgasmi.
Adesso le mani che mi stringono le tette sono due, me le sollevano, le dividono. Donovan prende tra le labbra un capezzolo e lo succhia.
Inspiro profondamente. Un’ondata di calore esplode nel mio petto, dilaga lungo il mio corpo. Sgrano gli occhi… non voglio godere… non voglio godere a causa di mio marito.
Appoggia la mano libera sul mio culo e mi spinge verso di lui, la penetrazione diventa più profonda, potente. Mi gira la testa, la mia figa cola e mi bagna una gamba.
Arjun ha gli occhi sbarrati, ci guarda con una mano sulla bocca, pallido. Sembra prossimo a rigettare. Lui non si comporta così con me. Lui mi rispetta, non mi tratta come una puttana…
Una saetta di piacere scocca dalla figa, mi si conficca nel cervello. Un grido soffocato sfugge dalle mie labbra.
Perché non mi tratti come la tua puttana, stronzo?
«Ti sta piacendo, eh, troia?» mi sussurra in un orecchio il mio sposo, poi ride come un folle.
No, non devo dargli soddisfazione. Non ammetterò mai nulla di simile. Potrà scopare il mio corpo, potrà usarmi per godere, ma non gli dirò mai cosa sto provando davvero.
Donovan mi lecca l’orecchio. «Non meriti di essere sborrata in figa…»
Mi sbatte contro l’albero, la mia figa vomita desiderio quando la cappella fuoriesce da me. Un afrore di sesso inonda il mio olfatto, scende fino al mio stomaco e ritorna al mio inguine. Mi stringo le cosce. Sono sempre più bagnate.
«Girati!» Mio marito mi mette una mano su una spalla e mi fa voltare. Mi stringe con un braccio al petto e afferra un seno, l’altra mano affonda con due dita nella figa dolorante. La sua cappella scivola su e giù tra le mie chiappe, trova il buco del culo e mi apre.
Un grido strozzato sfugge dalle mie labbra. Il cazzo di Arjun non è mai stato così grosso, così violento nel possedermi. La testa mi sbatte contro la spalla di Donovan, mi manca il fiato.
La mia figa è un turbinio di dita che si muovono come serpenti impazziti, un rumore viscido si alza dal mio inguine. Il calore nel mio ventre è intollerabile, mi sta bruciando la mente. Il culo è pieno, è dolore e piacere ad ogni colpo, il mio cuore risuona ad ogni botta.
Non devo godere… non devo dare soddisfazione a… al mio sposo…. Io…
Il mio corpo vibra, non è più sotto il mio controllo. La pelle pizzica alle gocce di sudore che sgorgano dai pori, la testa è leggera, le forze mi abbandonano. Sto crollando a terra, solo le braccia possenti di Donovan mi sostengono… io…
Spari rimbombano nell’aria, una tromba suona lontana, grida portate dal vento giungono dal veliero con bandiera inglese.
Donovan mi lascia. Cado davvero, la corda si tende e mi ritrovo appesa per le braccia, le gambe flesse, e dondolo confusa. Ruoto nello stordimento.
Il mio sposo esclama qualcosa, fa per voltarsi e si trova davanti la pistola impugnata da Arjun. I marinai sul ponte tengono sotto tiro gli altri soldati, Harrison ha poggiato a terra la sua arma.
La bandiera inglese sventola scendendo lungo l’albero di maestra della nave da guerra.
Donovan è rosso in volto, il suo cazzo gocciola i miei liquidi. «Cosa sta…»
Arjun gli appoggia la canna della pistola alla gola. «Zitto, cane! I rajputi che avevamo nascosto sulla costa hanno assalito e preso la tua nave». Due marinai, compreso quello che mi aveva trascinata fuori, legata, prendono il mio sposo, lo disarmano e lo ammanettano. «Ora sei nostro prigioniero».
«Che cosa…» Donovan volta il suo sguardo verso di me. Sgrana gli occhi e mi fissa. Non ha capito il tranello, vero? Fa che non abbia compreso come l’abbiamo fregato. Soprattutto che non riconosca la mia partecipazione…
«Portateli nelle celle!» L’indiano prende dal fodero un coltello, mi si avvicina e taglia la corda.
Mi appoggio a lui per non crollare a terra. Le gambe mi tremano, la testa mi gira. Le cosce sono bagnate come se mi fossi pisciata addosso.
Mi libera dal fazzoletto sulla bocca e mi abbraccia. «Grazie, mia amata, per il tuo sacrificio».
Chiudo gli occhi e scuoto la testa. Il cazzo di Donovan sembra scoparmi ancora. Esalo un respiro. La mia pelle è intrisa del suo odore virile…
Arjun mi sorride. «Non è andata come credevamo, ma abbiamo comunque raggiunto il nostro obiettivo».
La saliva di Donovan sul capezzolo che ha succhiato si raffredda nella brezza. Così anche le mie cosce. Sorrido a mia volta. «Sì…»
«Consegneremo Donovan al Gran Mogol, e lui penserà a trattare con l’Inghilterra. Faremo sbarcare gli uomini dal veliero e lo porteremo con noi, come bottino di guerra».
Annuisco. Il mio retto continua a pulsare al ritmo dei colpi del mio sposo.
«Ci siamo liberati di Donovan. Non farà più del male a nessuno». Arjan mi sorride, si allontana, urla ordini ai suoi uomini.
Volto il capo verso la porta che conduce ai ponti inferiori, dove sono presenti le celle. Il vento scompiglia i miei capelli, scivola sulla mia pelle nuda. Il cazzo del mio sposo ha devastato la mia figa, ha sfondato il mio culo…
Allontano lo sguardo dalla porta. Vi ritorno. Il respiro scivola lungo le mie narici.
Deglutisco. Un fastidioso prurito sorge nella mia anima.
Questa notte scoprirò cosa saprà fare quel cazzo alla mia bocca…
FINE
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