Guano e superenalotto

Guano e superenalotto

Con una paglia stropicciata di Golden Virginia che gli pende mezza spenta da un lato della bocca, il camice da bidello aperto sul ventre da avvinazzato mal contenuto da una canottiera di un paio di taglie indecorosamente più piccole del necessario, braghe alla zuava verdi militare, infradito di gomma Forza Napoli ai piedi, zazzera grigiastra raccolta in un codino striminzito e spelacchiato, come le setole di uno scopettino per bottiglie troppo a lungo usato, Carmine Cammarota sta spazzando la pavimentazione in porfido dell’androne, agitando ogni tanto la ramazza in direzione dei piccioni che planano sulla corte – illuminata in parte dall’abbacinante luce del sole che piove di sbieco, dopo aver vinto la resistenza di antenne, parabole, panni stesi ad asciugare su fitte ragnatele di corde, mansarde tirate su abusivamente e quant’altro ancora affolla i tetti dei palazzi affumicati che si affastellano uno sull’altro lungo la salita di Montecalvario – per beccare rimasugli di cibo tra gli interstizi dei blocchi di pietra disposti a lisca di pesce, sottolineando i minacciosi volteggi dell’improvvisata scimitarra con poco amichevoli sciò sciò, bestiacce immonde, ma si capisce dal tono e, soprattutto, dall’enfasi col quale accentua l’epiteto, che destinatari dei suoi strali sono piuttosto coloro che gettano generi commestibili di ogni tipo, sebbene ridotti a briciole e pastone, da sopra abbasso col fine di sfamare gli stomaci onnivori di queste discariche alate, solleticandone le acide scacazzate, che a lui poi, povero guardaporta, pena lavata di faccia da parte di chi l’ha assunto e conseguente decurtazione salariale per manchevolezza di mansione, tocca scartavetrare da terra – e ci puoi passare anche mezza giornata inginocchiato come un penitente sulle lorde pietre, ma la fetenzia di quei malcreati quando si azzecca ci vuole la mano di nostro Signore per lavarla via.
È così, in questa grottesca interpretazione di un don Chisciotte in camice e ramazza lanciato a razzo contro i mulini a vento, che lo sorprende una divertita Giorgina allorché fa capolino sulla sommità dello scalone. Quell’uomo le ha sempre fatto una gran simpatia, forse per il suo aspetto da orango malmesso, sempre impacciato nei movimenti, oggettivamente brutto, ma brutto di una bruttezza così in netto contrasto con la gentilezza e l’affabilità che le riserva da far intuire un’eleganza d’altri tempi nei modi e un garbo che la vita, pur provandolo con una sofferenza che ne incide il volto con rughe profonde e ne determina l’artritica andatura, ha tutto sommato risparmiato. Ma su tutto le danno intimo godimento le reazioni che il vecchio ha quando lei gli ostenta sotto al naso le esuberanze delle sue grazie, provocandolo e al tempo stesso invitandolo, scatenando nel soggetto la messinscena di una spassosa dicotomia tra la gentilezza di cui sopra e la cupidigia che gli deflagra nelle iridi incandescenti, spie inequivocabili dei morsi di una lussuria nient’affatto sopita.
Col sorriso sbarazzino che le irradia sul volto un’aria maliziosa, dunque, la bella Giorgina si stira sui floridi fianchi il vestitino di cotone leggero a fantasia floreale, acconcia il seno opulento nelle coppe del reggiseno, sollevando prima una tetta e poi l’altra, che adesso si affacciano al sole dall’ampio décolleté come due teste glabre di neoati, e, menando sfacciatamente il sedere a destra e a sinistra, prende a scendere la dozzina di scalini che conducono alla corte.

  • Buongiorno, Carmine, – cinguetta allegra non appena giunge nei pressi dell’uomo.
  • Buongiorno a te, Giorgina, – risponde il portiere asciugandosi la pelata imperlata di sudore con un fazzoletto di stoffa spiegazzato e ricambiando, con lieve e naturale imbarazzo, il sorriso della ragazza con una meno estetica ghigna sgangherata, aperta sulla dentatura guasta e macchiata di nicotina.
  • Ti fanno spantecà ‘sti picciùni, eh -, dice ridendo la ragazza, libera finalmente di parlare la lingua materna senza essere bacchettata.
  • Eh, Giorgina bella, – sospira avvilito il portiere, – più correttamente mi fann ittà ‘o sang. Loro e chi sacc je!
  • Non ti avvelenare, Carmine, – le fa eco comprensiva la ragazza, mentre traffica nella borsa alla ricerca del cellulare che si palesa con Non dirgli mai di Gigi D’Alessio, a volume crescente via via che emerge da sotto il contenuto che lo seppellisce. – Uè Gaia, – cinguetta felice e, avviandosi verso l’uscita, liquida con un sorriso e un gesto della mano a mo’ di ciao l’uomo – al quale, diciamolo pure per amor di cronaca, non è sfuggita una porzione di seno sbucata da sotto l’ascella nel momento in cui la bella Giorgina ha alzato il braccio per salutarlo. Carmine, come ipnotizzato, segue l’oscillare del culo che disegna poetici ghirigori nell’aria immobile e afosa, fin quando, seguendo la sua padrona, svolta l’angolo e sparisce; quindi si aggiusta il pacco di colpo gonfiatosi, accende la cicca di trinciato che intanto gli si era spenta, poggia la scopa al muro e si avvia verso la guardiola. Si è fatta, tra una cosa e l’altra, ora di pranzo.

*

La sig.ra De Rosa irrompe in portineria senza bussare – o almeno Carmine non avverte nessun avviso di permesso prima di sobbalzare dalla sedia come punto da un ago, il che imprime agli occhialini da lettura incassati sulla punta del naso gibbuto la spinta necessaria per staccarsi in un volo arcuato con atterraggio di fortuna nella zuppa di fagioli, che ancora fuma calda sotto le sue fauci e che, come ovvia conseguenza del tuffo carpiato, schizza fiotti di sugo sulle pagine delle Undicimila verghe di Guillaume Apollinaire aperto a mo’ di paravento davanti al piatto, cancellando irreversibilmente parti della descrizione in cui il principe rumeno Vibescu, scambiato per Fiodor, un ufficiale del reggimento di Preobrajenski, infila l’arnese reale nella fessa pelosa dell’amante di quest’ultimo, la bella Elena Verdier, con gran soddisfazione della donna, prima che ella si accorga, in virtù di una palpatina al sacco scrotale del nobile fottitore, che non si tratta del suo triorchide Fiodor bensì di un impostore che ha approfittato del buio nella stanza e del suo dormiveglia.

  • Porca zozza! – impreca il portiere spalmando ancor di più il sugo sulla pagina e creando un pastrocchio nel fallito tentativo di ripulirla, – ma chi cazzo è che… – e qui, voltatosi, s’interrompe trovandosi dinanzi la silhouette altera ed elegante della sig.ra De Rosa che lo sta puntando con uno sguardo torvo e immobile, dritta in posizione gerarca, con entrambi i pugni saldati alle ossa iliache.
  • Vengo subito al punto, Carmine, – lo investe la donna senza scusarsi per l’incidente provocato e col tono sprezzante che un’aristocratica con la puzza sotto al naso può riservare ad un sottoposto, – Ho saputo che sono state installate alcune telecamere nell’autorimessa, con gran danno per la privacy dei condomini. – Il portiere non sembra darle retta, occupato com’è a recuperare gli occhialini da presbite nella brodaglia, scuotendoli tra due dita per rimuoverne la poltiglia. L’indifferenza ostentata dall’uomo, pertanto, ne moltiplica l’arroganza caricando ancor più il tono già tracotante del suo esordio. – Mi hai sentito, Carmine? Hai capito cosa ti sto dicendo?
  • Perfettamente, sig.ra De Rosa, perfettamente, – risponde l’interrogato con voce pacata e accomodante. – Mi sta dicendo che nell’autorimessa sono state installate delle telecamere. Solo che la cosa… – e qui si interrompe il tempo necessario per prendere una salvietta di carta e accingersi a strofinare le lenti, sussurrando qualcosa di incomprensibile a fior di labbra, – solo che, dicevo, la cosa non costituisce una violazione di privacy, come potrebbe ben spiegarle suo marito, che è avvocato e di queste cose se ne intende, in quanto la decisione è stata presa dall’assemblea dei condomini. Strano che lei non ne sia al corrente, signora. In più, se posso permettermi una considerazione a margine, la privacy viene garantita, e pertanto può essere violata e quindi essere oggetto di tutte le misure necessarie per reintegrarne l’inviolabilità, nelle camere da letto, poniamo, non certo in uno spazio condominiale – e, soddisfatto della bordata buttata lì senza preavviso, come un colpo sotto la cintola, inforca gli occhialini sulla punta del naso e squadra soddisfatto la donna, atteggiandosi sul grugno un sorriso posticcio e preparandosi a gustare l’effetto sperato. E in effetti la sig.ra De Rosa impallidisce repentinamente, pur mantenendo il controllo della postura marziale. Dunque la bestia è al corrente, conclude in un turbinio di pensieri, mi ha visto. Porcobastardo! Occorre reagire e risolvere subito la questione, sennò sono cazzi amari.
  • Dunque sai bene di cosa sto parlando, – prosegue la donna con decisione, riacquistando subito l’autocontrollo, – il che rende superflue ulteriori spiegazioni e giri di parole. Giochiamo a carte scoperte. Io voglio che quella registrazione che mi riguarda venga immediatamente distrutta, Carmine. Se dovesse finire nelle mani di mio marito… No no, è un’ipotesi che non va considerata nemmeno per assurdo, mi spiego?
  • Non ho il potere né la competenza per fare ciò che mi sta chiedendo, sig.ra De Rosa, – ribatte Carmine con calma, ostentando noncuranza e accendendosi una sigaretta. I rapporti di forza sono stati ribaltati con un solo colpo da maestro e adesso lui se la sta spassando davvero di gusto. Tira un paio di boccate, sputando il fumo verso il soffitto, e aggiunge: – E poi, temo che quanto mi sta chiedendo sia illegale. Molto illegale. Sinceramente non voglio avere casini e perdere il posto per motivi non inerenti alla mia condotta, per giunta. Non se la prenda, niente di personale.
  • Non se la prenda?- le fa il verso la donna, reagendo scompostamente al diniego appena incassato, – Non se la prenda?!? Ma hai idea di che finimondo scoppierebbe se… – si blocca di colpo scorgendo l’espressione divertita dell’uomo, che fissa sornione gli anelli di fumo alzarsi lenti e sfilacciarsi man mano che prendono quota verso le travi tarlate che fanno da sostegno al soffitto dai tempi del terremoto dell’Ottanta. Fa qualche passo verso di lui e gli si pianta ad una spanna dalle ginocchia pelose. – Troviamo un accordo, Carmine, – dice infine seccamente, con decisione.
    L’improvvisa riduzione di spazio tra lui e quella donna maliarda come una dea, smonta la sicurezza di Carmine riportando, con un gioco di prestigio, il manico del coltello in mano alla De Rosa. Improvvisamente imbarazzato, stropiccia la cicca in un posacenere stracolmo, cogliendo l’occasione per distogliere lo sguardo da quello magnetico della donna, così da trovare le parole per imbastire una risposta.
  • Ha la mia parola, signora, – bofonchia alzando lo sguardo e fermandolo a metà strada, nell’infossatura dei seni ben visibile dallo scollo generoso della camicetta griffata, – Ha la mia parola che da questa bocca non uscirà una sola sillaba sulla vicenda.
  • La tua parola? – ride sprezzante la donna, inclinando teatralmente la testa all’indietro. Poi, di colpo seria, aggiunge, affondando il colpo: – Il tuo curriculum mi è noto, caro professore in disgrazia. Sei un porco, un uomo volgare e gretto, laido direi, dedito alla crapula e ad ogni forma di vizio. Ti sei visto? Sei una discarica su due zampe, la tua parola vale quanto la sudicia canottiera che indossi.
    Carmine si gratta la barba ispida sotto al mento, poi la nuca, quindi infila l’indice in un orecchio e ciò che estrae, davanti allo sguardo schifato di chi gli sta di fronte, lo polverizza tra due dita. Tanto vale stare al gioco, pensa, vedere il punto dell’avversario e comportarsi di conseguenza. In fin dei conti, la troia si pone con l’arroganza propria del suo status, comportandosi come una femminetta viziata abituata a comandare ma, al di là della forma, la sostanza è che la soluzione al suo problema è lui. Non altri che lui, Carmine Cammarota. Si profila una gran bella giornata, gongola tra sé. Ci può scommettere sopra le palle con tutto il cazzo. Guarda la donna con occhi immobili e torbidi, in contrasto col sorriso caricato di benevolenza che gli scolpisce la ghigna, e le dice, placido e accomodante: – Sebbene il pulpito dal quale sentenzia non sia dei più comodi e autorevoli, cara sign.ra De Rosa, considerata la sua posizione… ehm… non mi fraintenda, intendo il termine nel senso figurato, – non si trattiene dal precisare ridacchiando, – da parte mia non posso che rinnovarle la promessa di non profferire parola con alcuno circa la sua attività di libertinaggio extraconiugale. Non credo che ci sia altra scelta, da parte sua, che accogliere come data la mia promessa.
    Dura in volto, visibilmente scossa dalle parole del suo interlocutore, la donna ribatte: – Voglio essere sicura. Se la cosa uscisse fuori, per me sarebbe una rovina dalle proporzioni titaniche. Non ne vado orgogliosa, ma ho bisogno di mio marito, dei suoi soldi e del suo status sociale, indispensabili per me. Mi distruggerebbe, su questo non ci sono dubbi, e non avrei altra scelta che lasciare Napoli e tornarmene a Fiera di Primiero con una mano avanti e l’altra dietro. Quindi, per quanto la sola idea mi dia il voltastomaco, voglio comprare non solo il tuo silenzio, ma, ripeto, la distruzione di quella videoregistrazione. Solo così mi tranquillizzerò. – Detto questo, apre la piccola pochette Louis Vuitton, assicurata alla spalla sinistra da una sottile strisciolina di cuoio regolabile, e ne estrae un blocchetto di assegni e una stilografica modello Eleonora Duse di una bellezza abbagliante, in virtù degli Swarovsky “Light Zaffir” incastonati sulla veretta posta sul fusto; quindi poggia il blocchetto sul ripiano del tavolo, svita il cappuccio, si china di una trentina di gradi e, col pennino già pronto ad incidere la carta, guarda fisso negli occhi Carmine e gli chiede se ha pensato ad una cifra o se preferisce che sia lei a fare il prezzo, rassicurandolo circa la propria generosità che, vista la delicatezza della circostanza, sarebbe certamente tracimata in prodigalità.
  • Nonostante il ritratto che ha fatto di me, ritratto piuttosto aderente alla realtà, detto per inciso, non sono un uomo avido, sig.ra De Rosa. Il mio stipendio e le mance costanti dei rispettabili suoi coinquilini, mi sono più che bastevoli. Il suo denaro può investirlo dove meglio crede, facendone un uso, mi creda, più redditizio, – riesce a dire quasi d’un fiato Carmine, dopo una pausa piuttosto lunga interpretata dalla De Rosa come il momento di riflessione di un mentecatto, finalizzata, dopo la sceneggiata da persona onesta, a trarre il maggior profitto possibile da una situazione che la vedeva con le spalle al muro, mentre in realtà di altro non si è trattato che del tempo necessario all’uomo per riaversi dall’annichilimento totale perpetrato ai suoi danni dalla classe sconfinata di quella donna.
  • D’accordo Carmine, – riprende allora la De Rosa annuendo come se stesse seguendo i passaggi logici di un suo ragionamento, – Vorrà dire che non ti darò soldi -, dice avvitando il cappuccio della stilografica e riponendola nella pochette insieme al libretto degli assegni, – ma questa, – e tirò su la gonna, in un atteso quanto strabiliante coupe de théâtre, mostrando la fica dalle labbra glabre e col solo Monte di Venere ornato da un triangolo di pelo rossiccio.
    Il cazzo di Carmine, già semi-eretto per la sola vicinanza della donna, guizza e si impenna, e quasi si avrebbe potuto sentirne il nitrito e lo scalpitio, se l’udito degli astanti avesse avuto in dote queste possibilità. Tuttavia, nonostante i pantaloni deformati dall’erezione, l’uomo imbastisce un comportamento da galantuomo, o comunque qualcosa che gli si avvicini, rassicurando la donna che non c’è bisogno di questo e, nonostante l’offerta sia ghiotta – accidenti, se non lo è! – deve credergli, non avrebbe tradito la parola data, nemmeno sotto tortura, se solo gli desse credito e fiducia, inoltre, quanto alla distruzione della registrazione, farà il possibile, un po’ se ne intende – e qui la spara grossa, ché in realtà non sa nemmeno se la cosa sia fattibile… – però, adesso, via, si copra, – balbetta agitando le mani davanti a sé – vada a casa e stia tranquilla…
  • Diamoci un taglio, Carmine Cammarota, – lo interrompe bruscamente e con malagrazia la De Rosa, – Ma cosa credi che io fremi dalla voglia di scopare con te? Il solo pensiero mi nausea, se vuoi saperlo, mi dà il voltastomaco. Ma ti sei visto? A parte i tuoi anni, che sono il doppio dei miei, è tutto l’insieme che è disgustoso. Sei orripilante, in un pessimo stato di conservazione. Ma sei anche sufficientemente intelligente da capire che se una donna come me decide volontariamente, nel pieno delle sue facoltà, di andare a letto con una discarica come te, lo fa perché il tornaconto che ne ricava è superiore all’investimento, sebbene questo sia oneroso in termini di decoro e stima personale. Inoltre, per quanto sia scarsissima la considerazione che ho di te, sono sicura che sei in grado di comprendere come ciò che ti viene offerto sia il massimo che tu possa anche solo sognare nella vita, sia per la posizione che occupi e per le tue possibilità, sia, converrai, per la qualità di chi ti sta davanti. Per te sono un regalo del Signore, Carmine, il Superenalotto vincente che ti piove sul palmo della mano senza che hai dovuto fare nulla, se non stendere il braccio. Sei un uomo navigato, sono certa che hai inteso appieno il senso del mio discorso e sai fin troppo bene che se vado a fondo farò di tutto per trascinarti giù con me, e non so quanto questo ti convenga. Ora che abbiamo il nostro accordo, non resta che suggellarlo, ma facciamo alla svelta ché ho altro e di meglio da fare.
    Carmine Cammarota non si fa pregare oltre, tira giù la zip e il cazzo fa capolino come una bestia affamata dalla tana. Con occhio esperto, la sig.ra De Rosa valuta scrupolosamente la consistenza di quel membro non eccessivamente lungo ma incredibilmente largo, solcato da vene spesse e gonfie e sormontato da una cappella violacea e grossa come una prugna matura. Si umetta rapidamente il labbro inferiore con un rapidissimo tocco di lingua, prima di stringerlo fra i denti. Poi, decisa, si genuflette fra le cosce del portiere, afferra il cazzo e, dopo averci sputato oscenamente sopra, fissandolo dritto negli occhi, comincia a sbocchinarlo con la perizia tecnica di una professionista del settore, conscia del fatto che, ridotto com’è quel soggetto, se la sarebbe cavata in pochi minuti: il massimo risultato col minimo sforzo. Carmine stende le gambe, inarca la schiena e grugnisce al soffitto, tenendosi così forte ai braccioli della sedia che le nocche gli si sbiancano. Un istante prima che le sbrodi in bocca, la sig.ra De Rosa interrompe la suzione e, tenendo stretto l’arnese alla radice, si tira su, si mette a cavalcioni dell’uomo e guida la palpitante erezione nel suo anfratto mieloso. Quindi, tenendosi alla chioma spelacchiata di Carmine, prende a muoversi come una serpe, schioccando violenti colpi di sedere contro il ventre del maschio, e non curandosi affatto di trattenere singulti e mugoli, sempre più cupi e forti man mano che il ritmo accelera, diventando spasmodico. Per distrarsi, così da prolungare il più possibile quella chiavata con la lode, Carmine rovista nella camicetta della donna, si impadronisce di una tetta soda da adolescente e ne mordicchia il capezzolo duro. L’iniziativa risulta molto gradita e la sign.ra De Rosa stringe con forza contro al petto la testa dell’uomo – che può dire addio agli occhiali, irreversibilmente spezzatisi nel mezzo – intensificando ancora di più la sua cavalcata. È lì per venire quando, con insospettabili qualità muscolari, e a dispetto dell’artrosi, Carmine si tira su con uno scatto elastico e potente, abbranca per le chiappe la donna, che subito gli cinge le reni con le gambe, e prende a fottersela prima all’impiedi piedi, al centro dell’angusto gabbiotto, poi contro la porta, infilzando quel corpo trasudante lussuria dal basso verso l’alto, come pugnalandola con fendenti violenti, inferti con tutto il peso del corpo, che nel caso in questione era di un peso massimo, così che i cardini cedono e i due planano sulla branda, per fortuna posizionata nei pressi dell’uscio, e la caduta procura la saldatura fra i due sessi, col cazzo piantato come un chiodo nella donna, la quale strabuzza gli occhi e spalanca la bocca, sfiatando un aaaaaaahhhhh così godereccio che a Carmine gli si contraggono i coglioni e deve mordersi a sangue un labbro per non schizzarle dentro.
  • Fottimi, figliodiuncane, – lo aggredisce la De Rosa con gli occhi fiammeggianti e l’espressione truce, – fottimi e fammi godere. – Gli pianta gli artigli nei fianchi e contemporaneamente gli addenta il lobo dell’orecchio sinistro. Carmine non gradisce, le allunga un ceffone che la manda ancora più in estasi e comincia a chiavarsela col metaforico sangue negli occhi e una più che reale bava che gli pende dalle labbra e che cola ad ogni affondo sulla camicetta di sartoria della donna. Quando la sig.ra De Rosa viene con un urlo prolungato e rabbioso, Carmine si tira fuori – la cappella lucente e palpitante come un neon -, gira la donna sulla pancia e scopre il gran culo bianco e sodo, divarica le chiappe e sputa sul buchetto, prima di ghermirlo con un dito.
  • Cazzo fai, bastardo? – scatta la donna più allarmata che mai. Ma prontamente l’uomo le ha afferrato il collo, schiacciandole la testa sul cuscino. Prova a dimenarsi, ma lo stronzo è grosso e forte e le grava addosso stringendole le gambe fra le sue, mentre il dito le pompa il buco del culo con movimenti circolari sempre più ampi, per saggiarne l’elasticità.
  • Vuoi comprare il mio silenzio? Ebbene, questo è il prezzo, – sentenzia Carmine passando bruscamente al tu. – Hai insistito, l’hai preteso, non ti sei fidata della mia parola… abbiamo fatto come volevi tu, quindi hai poco da lamentarti. Tanto più che per insabbiare la tua troiaggine mi toccherà anche finire nel penale. Poi magari mi difenderà tuo marito, che dici. Il rischio che corro è solo in parte risarcito dal tuo bel culetto, quindi poche storie… – prosegue mentre si mette in posizione spingendo la cappella contro l’elastico di carne ritornato imbronciato come il musetto di una bimba a cui è stato fatto un torto, una volta orfana del dito. La donna morde il cuscino e mugola forte, cercando di dimenarsi senza successo, poi fa buon gioco a cattiva sorte e, come avverte la cappella appuntarsi al buco del culo e forzarne l’anello, si blocca di colpo e, da donna navigata, cerca di rilassare quanto più possibile muscoli e nervi, preparandosi al passaggio di un transito extra-large che l’avrebbe lacerata, nella carne come nello spirito.
    Ci vogliono lacrime e sangue in abbondanza (e non certo come modo di dire), ma alla fine Carmine è tutto dentro e si comporta da gentleman, muovendosi in maniera impercettibile, spingendosi a fondo ma senza strafare nel pompaggio. La sig.ra De Rosa apprezza la gentilezza – sa che le sarebbe potuta andare anche peggio – e si porta una mano fra le cosce per titillarsi il clitoride, giusto per stornare l’attenzione su qualcos’altro. Il trucchetto funziona e gode un istante prima di avvertire getti caldi innaffiarle abbondantemente gli intestini.
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