Una mano in aiuto – prima parte

Una mano in aiuto – prima parte

Note dell’autore: quella che segue è la prima parte di una storia d’amore pseudo-incestuoso tra Lea e Carlo, rispettivamente madre e figlio adottivi. Un incidente in moto li avvicinerà, un’improvvisa erezione li legherà in modo irreversibile. Il racconto è liberamente inspirato dal video Mom’s helping hand, in cui Kit Mercer interpreta i panni della madre adottiva, Codey Steele il figlio infortunato. Resto a vs disposizione su twitter (account @raccontidienea ) e via mail all’indirizzo raccontidienea (chiocciola) gmail.com Infine, sul mio blog trovate tutte i miei racconti: raccontidienea.blogspot.com

N.B. I protagonisti del racconto si intendono maggiorenni e consenzienti

Buona lettura!

Quella che andrò a raccontarvi è la storia tra me e Lea, divenuta la donna della mia vita dopo una serie di fatti che hanno segnato la mia vita.

Il mio nome è Carlo, venticinquenne all’epoca dei fatti, figlio di un ricco imprenditore che quasi nulla mi ha fatto mancare nella vita. Dico quasi perchè se da un lato soldi e comodità non me ne sono mancati, dall’altro la sua figura paterna non è stata mai presente in casa.

Lea era l’ennesima donna con cui mio padre aveva tentato di “ricostruire la famiglia” dalle macerie lasciate da mia madre che, stanca delle continue assenze ‘di lavoro’ di mio padre, era scappata via con un altro uomo, abbandonando anche me.

Dopo un via vai di donne negli anni successivi, alla fine mio padre si era presentato in casa con Lea, una splendida donna, allora trentottenne, castana, con un viso angelico, dei meravigliosi occhi nocciola e un fisico atletico.

“Sarà la tua nuova mamma!” – aveva detto con la sua arrogante presunzione.

Non che io ne avessi bisogno, ma per mio padre, dal momento in cui mia madre era andata via, era diventata una priorità trovarmi un rimpiazzo. Desiderava che io trovassi a casa qualcuno ‘che si prendesse cura di me’ per mettere a posto la sua coscenza

Lea era l’ennesima donna a cadere nel tranello di mio padre: credendo di diventare ‘la moglie del cavalier riccaccione’, alla fine si sarebbe ritrovata in casa ad aspettare il rientro del maritino lavoratore ultraimpegnato intento a fare soldi e a salvare il mondo.

A differenza delle precedenti donne avute da mio padre, passato qualche anno, stanca di aspettare, piuttosto che andar via di casa e rifarsi una vita con qualcun altro, aveva concentrato le sue attenzioni su di me, l’unica persona che tornava a casa la sera e che le rivolgesse la parola.

Aveva iniziato a ‘prendersi cura’ di me in modo sempre più maniacale.
Mi chiedeva continuamente di chiamarla mamma (cosa che non ho mai fatto), mi faceva trovare la stanza in ordine, e poi la colazione, il pranzo, la cena, i cioccolatini sul comodino, i bigliettini ‘amore della mamma’ nei cassetti…
…insomma sarebbe stata la madre ideale per un ragazzino liceale, non per adulto vaccinato e indipendente come me.

Il suo comportamento era al limite della follia: quando ero fuori casa mi tartassava continuamente di messaggi per chiedermi se stavo bene e sapere quando sarei tornato a casa.
Quando rientravo poi mollava qualsiasi cosa stesse facendo e mi veniva incontro per abbracciarmi.

Più volte le avevo fatto notare quanto le sue soffocanti attenzioni fossero eccessive per un ragazzo della mia età che, tra università, le ragazze e la passione sfrenata per le moto, non aveva più bisogno di quel tipo di figura materna. Più volte le avevo spiegato che mi vergognavo ad invitare gente a casa proprio a causa di quel suo comportamento.

Lei, lì per lì faceva finta di capire, poi scoppiava in lacrime, mi chiedeva scusa e spariva in camera sua.

Qualche ora dopo tornava in giro per casa come se nulla fosse e ricominciava a fare nuovamente la parte della mammina attenta.

‘Questa donna sta male’ – ripetevo a me stesso. Più volte mi sono chiesto se soffrisse di amnesia temporanea o se il troppo tempo passato da sola in casa l’avesse resa una persona così squilibrata.

Molto presto i suoi comportamenti nonchè il suo rapporto con me sarebbero cambiati radicalmente.

Per una serie di avvenimenti che non starò a raccontarvi mi ritrovai senza amici, senza una ragazza e, ciliegina sulla torta, vittima di un brutto incidente dal quale uscìi quasi illeso.
Una sera, in moto, su una strada viscida, un’auto mi taglia la strada.
Dopo aver rotolato per metri sull’asfalto, sono finito in ospedale con le braccia entrambe fratturate.

Dopo essere stato dimesso, iniziò la convivenza a tempo pieno con Lea.

Con braccia ingessate e dolori in tutto il corpo ero incapace di fare qualsiasi cosa in modo autonomo.
Per Lea era stata una ghiotta occasione per sfogare al meglio le sue manie di dolce mammina e per diventare ulteriormente soffocante.

Trovarsi solo in casa con Lea in quello stato era a dir poco angosciante.

Il continuo ‘accendo la tv?’, ‘vuoi riposare?’, ‘come ti senti?’, ‘vuoi cambiare posizione sul letto?’, ‘hai fame?’ mi dava ai nervi. Arrivato al limite di sopportazione, pronto ad esplodere e a insultarla, Lea puntualmente spariva. Non credo fosse un caso, penso piuttosto che fosse capace di intuire al volo quando stavo per perdere la pazienza.

Dopo i primi due giorni dall’inizio di quella convivenza forza era arrivato il momento delle pulizie.

Mentre Lea era intenta a cambiare lenzuola e coperte nella mia stanza, io ero andato in bagno e, dopo essere riuscito a togliermi le mutande da solo, avevo preso una spugnetta e avevo iniziato a lavare quello che le braccia ingessate mi consentivano di lavare.

Schiena, viso e torace erano rimasti fuori.

Lea nel frattempo era entrata silenziosamente in bagno.
Sentivo la sua presenza dietro di me, sapevo che mi stava guardando.
Forse intuiva che un suo intervento non richiesto mi avrebbe fatto sbottare,
o forse si era fermata ad ammirare il mio fisico e le mie ‘grazie’.

Di fronte al fatto oggettivo di non riuscire a lavarmi completamente, deciso a mettere da parte l’orgoglio di maschio adulto, mi sono girato a guardarla con espressione implorante.

Lei sorrise e, avvicinatasi, aveva preso una spugnetta umida dal lavandino. Infine, in silenzio, aveva iniziato a lavarmi con delicatezza il viso.
Era la prima volta che guardavo il suo viso da vicino.
Era davvero bella.

Lea poi era passata dietro per lavarmi spalle e schiena.
Tornata di fronte a me per dedicarsi al mio petto, avevo notato che qualcosa nella sua espressione era cambiata: leggevo nei suoi occhi una sorta di imbarazzo.

Nel silenzio della stanza, rotto dal rumore delle gocce del rubinetto che finivano nel lavandino,
il suono del respiro di Lea si era fatto affannato. Lea faceva fatica a nascondere il tremore delle sue mani che adesso si erano fatte incerte.

Quel suo stato aveva fatto scattare in me come una scintilla, scatenando un fiume di pensieri nella mia mente: Lea era una donna e come tale aveva le sue esigenze fisiche, da tempo trascurate da mio padre, eterno assente di questa storia.
Il rossore sulle sue gote, quello sguardo imbarazzato di fronte al mio fisico erano un chiaro segno dell’astinenza a cui Lea era stata sottoposta. Provavo un improvviso interesse per Lea, vederla con gli occhi di un uomo mi aveva fatto uno strano effetto.

Facendo finta di prendere un respiro profondo avvicinai il viso al suo per sentire il suo profumo.

La mia mente nel frattempo aveva cominciato a fare pensieri sempre più spinti.
L’immagine di Lea, femmina perversa, nuda, calda, vogliosa di un maschio che la prendesse e la possedesse con passione fece precipitare gli eventi.

“Carlo!”

La sua voce interruppe i miei pensieri

“…Carlo…” – continuò balbettando – “…ma…ma che…?”

Il suo sguardo imbarazzato indicava il mio cazzo in evidente erezione.

Provai a balbettare qualcosa.
Ero così eccitato e al tempo stesso confuso da non riuscire ad articolare un suono.

Anche Lea nel frattempo, ipnotizzata da quella vista, aveva perso la lucidità e aveva iniziato a farfugliare frasi che la confusione che avevo in testa mi impedì di capire.

“…tuo padre non dovrà mai sapere di questa cosa…” – erano state le uniche parole comprensibili che avevo udito prima che una ondata sensazioni e pensieri seminassero il caos nella mia mente.

Dopo aver fatto scivolare la sua mano sul mio addome e poi sul pube, Lea aveva afferrato delicatamente il cazzo. Nel fare questo si era spostata accanto a me per muovere meglio la sua mano.
Aveva iniziato a guardare un punto fisso nella stanza, per evitare il mio sguardo e la mia erezione.
Con il viso avvampato per l’imbarazzo e con lo sguardo nel vuoto Lea aveva iniziato a farmi una meravigliosa sega.

Tornai a immaginarla a gambe aperte mentre il mio cazzo duro si faceva strada nella sua carne.
Provai a immaginare il suono dei suoi gemiti di piacere. Quei pensieri insani, il suo tocco delicato, la mia astinenza…fu davvero troppo per me!

Ricordo l’orgasmo, la vista che mi si annebbiava e infine le gambe che cedevano sotto al mio peso mentre perdevo conoscenza.

Poi il buio.

Al mio risveglio ero disteso sul letto.
Lea, accanto a me.
Mi fissava preoccupata mentre accarezzava con delicatezza i miei capelli.

“Ch…che è successo?” – sono state le poche parole che sono riuscito ad articolare con un fil di voce.

Vedermi riaprire gli occhi, sentirmi parlare, le aveva fatto improvvisamente tornare il sorriso.

“Sei svenuto in bagno.” – il suo sorriso era diventato sardonico.

Cosa voleva dire con quella frase laconica?
Avevo vissuto un sogno? Quello che era accaduto con Lea era stato reale?

(Continua…)

Clicca per votare questo articolo!
[Voti: 0 Media: 0]
FavoriteLoadingAggiungi ai tuoi preferiti

One thought on “Una mano in aiuto – prima parte

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *