Una giornata particolare (2^ parte corretta e aggiornata)

Una giornata particolare (2^ parte corretta e aggiornata)

Innanzitutto mi scuso con quanti hanno letto la versione precedente ( la seconda parte di “Una giornata particolare “), il racconto era incompleto con diversi errori di battitura. Rimedio, grazie.

Iniziava l’ultimo giorno di escursione, dopo una notte movimentata, carica di voluti silenzi, mi aspettavo un accenno di sorriso, di complicità, non accadde nulla di tutto ciò. Alessio mi ignorò per tutto il giorno, in serata rientrammo in auto differenti e non lo rividi per diversi giorni. Lo intravidi dopo la funzione domenicale, ma fu sfuggente. Trascorsero diverse settimane e seppi da un vicino del suo imminente trasferimento. Lo andai a salutare sperando di mantenere un buon rapporto ma mi liquidò in modo sbrigativo, aveva i fattorini in casa. Incassai il colpo, evidentemente non gli interessavo, succede, non si può piacere a tutti. Trascorsero diverse settimane, mi ritrovai in canonica un venerdì prima della funzione e mi chiamo nello studio Don Carlo, iniziammo a parlare dell’andamento della raccolta fondi e poi mi fece accomodare nel suo studio. Don Carlo, oltre ad essere un punto di riferimento in tema di fede, era anche mio zio acquisito, ossia il fratello maggiore di mio suocero Giorgio. Ad un certo punto introdusse la partenza di Alessio e con delicatezza introdusse il vero motivo della discussione. Alessio aveva confidato, non confessato sia chiaro, l’esperienza in montagna, del suo improvviso trasporto nei miei confronti e della necessità di come la cosa lo avesse turbato al punto che Don Carlo stesso aveva caldamente consigliato di prendere le distanze per evitare ulteriori cedimenti. Rimasi basito, il mio silenzio descriveva lo stupore e l’imbarazzo, non riuscivo a dire nulla, rimasi ad ascoltare il resto del discorso in modo sommesso, fugando ogni dubbio in merito alla vicenda. Le parole di mio zio erano pacate, “succede di sentirsi smarriti e di ricercare conforto”. Apprezzava il mio silenzio e mi fece riflettere su un passaggio, la confidenza di Alessio aveva un peso se condivisa con me, avendone parlato in mia assenza, è come se avesse scaricato su di me la responsabilità. Mi sentivo avvilito, comprese il mio stato si alzò e chiuse la porta. Mi recitò un salmo, non ricordo di chi, ma in sintesi parlava della caducità dell’animo umano, che è un tratto distintivo della nostra natura. Mi mise la mano sulla spalla e mi spronò a non vergognarmi ma a capire le ragioni di questa debolezza. Me lo sentivo dietro e con modo sempre pacato mi esortò a confidarmi con qualcuno, un amico fidato, ma soprattutto una persona che fosse al mio fianco, qualora qualcosa trapelasse. Sobbalzai poggiandomi sul suo ventre, fece un passo indietro, mi scusai e con un gran sorriso mi disse di parlarne con mio suocero Giorgio. Mi girai stupito chiesi “perché”, la prima parola dopo tutti i silenzi. La risposta fu secca ma anche piena di significato, “perché se viene fuori qualcosa hai bisogno di qualcuno della famiglia che ti faccia da scudo e prenda le tue difese”. Ero stupito, passai dalla rassegnazione allo smarrimento, perché la cosa doveva trapelare e soprattutto cosa aveva detto Alessio. Mi trovai Don Carlo di nuovo al suo posto in piedi e d’un tratto fece un gesto inequivocabile, si sistemò il pacco. Non ci avevo mai fatto caso per mille ragioni, vuoi perché è il mio confessore, vuoi perché è mio zio, di fatto vidi per la prima volto un uomo che si sistemava volutamente il pisello. Mi alzai, mi abbracciò e uscii dalla canonica. Percorsi la strada verso casa come se fossi ubriaco, barcollavo, avevo mille dubbi, mille interrogativi. In fondo era stata una vicenda priva di importanza, non facevo che ripetermi che non ero gay, eppure perché mi sentivo” sbagliato”. Entrai in casa con una stretta allo stomaco, saltai la cena e mi fiondai a letto senza prendere sonno. Trascorsero settimane intense, mi occupo di fatturazioni quindi avevo delle scadenze entro l’anno e l’autunno si mostrava già con tutta la sua bellezza. Ci trovammo una domenica in famiglia, mio suocero esordì con la necessità di sistemare il casolare in campagna. Come ovvio che sia, i miei rispettivi cognati si fecero di nebbia, non dissi nulla ma fui coinvolto d’ufficio, battezzammo la seconda settimana del mese; prima di salutarci, mio suocero mi invitò a raccogliere funghi, era la stagione ideale e ne ero ghiotto, così restammo che il giovedì successivo avrei preso un giorno per staccare dal lavoro e immergermi nei colori dell’autunno.
Il giovedì mattina arrivò di buon ora, alle 8 eravamo già in macchina direzione fiume Adda, in zona ci sono diverse ceppaie, in macchina discutemmo del più e del meno. Da pochi mesi mi ero offerto in canonica per dare il mio contributo come commercialista, e stavamo discutendo animatamente su come far quadrare i bilanci e gestire le offerte e le donazioni. Era stano, ma dopo la vicenda con Alessio, guardavo mio suocero in modo diverso, non capivo se la voce fosse arrivata pure a lui o se l’imbeccata di Don Carlo era solo un modo per dirottare la questione su chi potesse trattarla in modo diverso oltre che per lavarsi la coscienza, visto che in fondo si trattava della sua famiglia e aveva l’obbligo di fa presente la cosa, di fatto divorammo la strada, parcheggiammo in una zona comoda e ci incamminammo lungo il sentiero. Portavo la cesta di vimini mentre mio suocero stava qualche passo avanti, scrutando tra le cortecce e le basi dei vari arbusti lungo la strada. Ad un certo punto si affiancò e iniziò a parlare di mia suocera, dei piccoli screzi, della questione con i figli troppo impegnati con le loro vite, ma soprattutto del fatto che stava riversando nell’attività parrocchiale il proprio tempo perché si sentiva messo da parte. Introdusse la precoce menopausa della moglie come causa prematura del calo di desiderio ( condizione che era avvenuta diversi anni prima), la sua pensione anticipata, mi fece capire, in pratica, di sentirsi solo, accantonato. Sentii per la prima volta la confessione di un uomo solo, che rimbrottava e rimproverava solo perché voleva sentirsi preso in considerazione. Rimasi in silenzio e lo ascoltai con molta attenzione, mi chiese come andasse a me, presi una lunga pausa e chiusi la questione sul classico alti e bassi. Sorrise tiepidamente, nella mia sintesi c’era tutto l’imbarazzo che la questione richiedeva. Iniziammo a raccogliere gli amati funghi e iniziò uno stranissimo corteggiamento. Prendeva il fungo dal gambo tagliandolo alla radice, e con mano attenta spazzolava via il terriccio superfluo, lo poggiava all’altezza dell’inguine pulendolo, con tocco leggerissimo puliva il cappello del fungo, come se accarezzasse il glande del suo membro. Lo fissavo e mi fissava, me lo faceva pulire con le mani tra le sue mani tozze ma incredibilmente attente. Stavo costruendo un mio viaggio immaginario ma quell’uomo mi stava corteggiando sul serio. Quelle ore volarono, ritornammo al parcheggio e con fare guascone ripose nel bagaglio la cesta e dandomi le spalle si tirò fuori l’uccello e iniziò a pisciare. Vedevo il getto ma non il membro, provai a spostare l’angolo di visuale ma riuscii a intravedere lo slip fugacemente mentre tirava su la zip. In macchina restammo in silenzio e di tanto in tanto mi poggiava la mano sul ginocchio, cambiando le marce dell’auto, dicendomi che ero un bravo ragazzo.
Che caspita mi stava succedendo, una cosa a cui non avevo dato peso e che avevo incassato tranquillamente, aveva dato vita a qualcosa di diverso, perché dovevo mettere in discussione tutto ma soprattutto perché incasinarmi in questo modo. La settimana successiva dovevamo sistemare la cascina in campagna ma per una serie di vicende la cosa venne spostata avanti di un mese, bene evitai una sfacchinata, i suoceri ci chiamarono a cena. Era venerdì sera, tangenziale murata, arrivai stremato a casa loro, lasciai il vino sul tavolo chiedendo a mia suocera se potevo andare in bagno, ero al limite, dovevo pisciare da un ora, mi disse di andare nel bagno al piano superiore, sotto era guasto. Entrai spedito e stupito stava mio suocero in slip a farsi la barba, capì al volo la mia necessità, mi fece accomodare. Gli davo le spalle mentre mi svuotavo ma sentivo la presenza forte, lo rimisi dentro e perplesso feci il gesto di lavarmi le mani, mi avvicinai al lavabo e mi ritrovai davanti un pacco di tutto rispetto. In una frazione di secondo ero riuscito a guardarlo a fondo. Uno slip bianco con una fantasia a rombi celesti, di quelli che si vendono nei mercati rionali in stock da 5 pezzi dieci euro. Rovinato lungo il bordo, si vedeva che era stato usato da tempo, la parte sinistra, dove poggiava il glande era usurata, la fantasia sbiadita si deformava seguendo le curve del pene oltre ad essere visibilmente più velato a forze dei vari candeggi. Aveva le mani impegnate con la lametta ma riuscì ugualmente a darsi una sistemata sostanziale ai coglioni sollevandoli e lasciandoli ricadere mostrandosi in tutta la sua mascolinità. Era ufficiale, stavo entrando in un tunnel tutto mio, pericoloso oltre misura. La sera tardi a casa, mi chiusi in bagno segandomi e venendo copiosamente. A questo punto speravo di dargli una mano alla cascina, è il fatidico giorno arrivò. Partimmo all’alba, ero assonnato ma volevo godermi ogni minuto, erano settimane che ci lanciavamo messaggi in codici, e fui persuaso che a questo punto toccava anche a me fare qualche passo avanti, non volevo comportarmi in modo inadeguato come successe con Alessio. Iniziammo a svuotare il piano inferiore per fare spazio al restante materiale presente nella mansarda, avevo male ovunque. Iniziò a salire sulla scala che portava al rialzo, seguivo la riga dello slip sotto i pantaloni mimetici ogni volta che si piegava la gamba, aspettavo un segnale, ma il tempo passava gli scatoloni aumentavano e la fatica si faceva sentire. Ci stavo rinunciando, anche perché ripetevo obiettivamente fra me e me, “ perché doveva succedere qualcosa?”. Riponemmo le ultime scatole, era quasi ora di pranzo, a breve avremmo finito, quando da una scatola fece capolino una custodia inconsueta, apro l’ala del cartone e sbucano vhs a tema erotico, gran tettone anni 80 con maschi impomatati di olio. Sorpreso cerco il suo sguardo che abbozza una risata tirata quasi a giustificarsi. Ne tirò fuori una e lui fa altrettanto, sorridendo in modo forzato, guardiamo il retro come se ci fosse scritta una trama interessante ma troviamo spezzoni del film in cui si intravedono le signore intente a darsi piacere con uno o più maschi. Esordisce affermando “ quanti ricordi”, annuisco dicendo che erano i film più belli. È un peccato buttarle, anche se oramai saranno in parte rovinati a causa dell’incuria oltre che è difficoltoso reperire un lettore vhs. Le tira fuori ad una ad una, come se andasse indietro con la mente, si sistema il pacco, sento una certa energia. Mi avvicino e le commento con lui. Mi viene spontaneo commentare il membro di un bel ragazzone, e concorda con me confermandomi che la sfondava per bene. Andiamo avanti per qualche minuto e la mano si sofferma sempre più spesso sul pacco. Ognuno sistema il suo continuando a commentare. Ad un certo punto alza lo sguardo come a provare di vedere se qualcuno potesse scoprirci, ma eravamo in mezzo al nulla. Si sbottona la patta e abbassa là zip. Ora capisco perché usurava lo slip solo su un lato, era il lato in cui la cappella lavorava di più. Mi prende la mano e me la poggia sul pacco. Inizio ad accarezzarlo sento l’umidità del suo umore. Faccio piano non voglio che venga così. Controlla l’anta della finestra, la socchiude, lo seguo e mi siedo sulla panca mentre sta in piedi davanti a me, affondo il viso sul pacco. Sento un mix di sborra e urina. Lecco lo slip, lo inumidisco per bene. Ho una salivazione eccessiva, lo tirò fuori, è come lo immaginavo, lo metto dentro, non mi importa dei peli appiccicati qua e là, ha un pube molto folto. Ingoio l’asta e deglutisco ingoiando tutta l’asta. Alzo gli occhi e lo vedo che mi fissa con sguardo serio, continuo mentre mi accarezza il capo. Sento piccole scosse attraversargli il corpo, il respiro è affannato, accarezzo lo scroto più e più volte. Sento il getto dentro la gola, è pieno e copioso, non so se per l’eccessiva salivazione o se fosse anomalo lui, ma ho l’impressione di ingoiare un enorme cucchiaio di creme brulee, tiepida saporita leggermente salata. Ero venuto già da un pezzo, ma mi soffermo a tenerlo in bocca. Lo tirò fuori paonazzo, allunga la mano verso un pacco di fazzoletti ne sfila uno e me lo porge, mentre fa altrettanto pulendosi l’uccello. Vado in bagno per sciacquarmi la bocca, non c’è acqua, rientro in sala per prendere una bottiglietta, bevo ma non rigetto nulla. Sotto ho una chiazza maestosa, sono nella merda. Rientro dentro mettendomi fuori la camicia per coprirmi alla meno peggio. Lui è rivestito, la scatola riposta non so dove. Mi esorta ad andare a pranzo che ha fame. Facciamo la strada del rientro in silenzio. Vuoi per la stanchezza o lo stress o chissà che, mi assopisco. Mi lascia sul vialetto di casa, ringraziandomi per la disponibilità. Sgattaiolo in bagno, metto tutto in lavatrice e mi massacro con una sega in doccia. Si avvicina Natale e sento tutta la pressione addosso. Le feste passano di corsa, io mi sego più volte al pensiero, ma non c’è nessun altro incontro. All’inizio di febbraio arriva una partecipazione di matrimonio, a maggio un caro cugino di mia moglie si sposa, l’occasione per una rimpatriata in grande stile in Puglia. Faccio da subito presente che per noi commercialisti sono mesi duri e che posso garantire solo la presenza di pochi giorni. Si organizzano tutti per partire in aereo, tranne io e mio suocero, che si è offerto di farmi compagnia, perché sarebbe sceso, per la prima volta dopo tanti anni, mio zio Carlo. Fino alla fine attendiamo una conferma dallo zio ma a pochi giorni dalla partenza disdice la sua partecipazione, troppo lungo il viaggio in auto e troppo difficile cercare un sostituto per quel mese. Confermiamo solo in due.arriva la data del matrimonio. Giovedì esco presto dall’ufficio, ho preso fino a martedì, ma in auto, nonostante la sfacchinata, dovremmo farcela. Ipotizziamo tre soste lungo il tragitto ma alla seconda eravamo ancora nelle Marche. Erano le 20, altre 4 ore in auto filate non si affrontavano. Decidiamo di fermarci vicino Numana. Troviamo un motel vicino l’autostrada. Prendiamo una doppia, avevamo fatto tutto in maniera meccanica, come se ci fosse una complicità innata. Ceniamo con un panino e una birra. Entriamo in camera . Una stanza spartana con vista su una stradina semi deserta. Due letti, un armadio dell’Ikea, due sedie con un tavolo in lamina piantato con viti alla parete. Un bagno con doccia, cesso e lavello. Poggiamo la valigia, abbasso le tapparelle, Giorgio entra in bagno e piscia rumorosamente con la porta aperta, esce con la cintura slacciata, chiamiamo le rispettive mogli rassicurandole che è tutto ok e che ci fermiamo per la notte. Metto in carica il cellulare sul tavolo, mi siedo e si avvicina, mi prende la testa e capisco. Slaccio i pantaloni cachi che indossava sotto una camicia di cotone azzurro, indossa una canottiera bianca, lo slip è azzurro con una chiazza fresca di urina. Lo ingoio per bene, lo pulisco dai peli, lo voglio inumidire tutto. Accarezzo le palle piene e tonde, ansima come un ex fumatore. Mi fa alzare, è il momento, allunga la mano e mette un cuscino sullo spigolo del tavolo. Mi slaccia i pantaloni e mi fa accomodare su questo giaciglio improvvisato. Lo passa lungo le chiappe. Sputa sopra più volte, mancando l’obiettivo ma raccogliendo la saliva sulle natiche. Cerca il buco, si aiuta con le dita e da uno stacco netto. Emetto un suono stridulo, me lo sento addosso mentre stantuffo. Si alternano fitte a ondate di calore. Mi lamento, gemo. Sbavo sul cuscino e sul tavolo. Il cellulare cade per terra ma non me ne curo. Sento le palle che sbattono, il buco dilatato, la saliva che mi riga le cosce. Mi viene dentro, lo sento scorrere. Lo sento quando lo tira fuori, è sudaticcio. Il viso grondante, i capelli diradati appiccicati sulla fronte. Il glande è rosso fuoco, ha un pube nero e folto che contrasta con la pelle bianca delle cosce. Alle caviglie lo slip manteneva la forma bombata del cazzo. Resto immobile sul cuscino mi sollevo lentamente, mi resta dietro e con le dita mi accarezza il buco. Mi stende lo sperma e la saliva sulle natiche mettendomi due dita dentro. Vengo così. Mi sussurra “bravo”. Sono ufficialmente nei casini.

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