Dopo mezzogiorno

Dopo mezzogiorno


“Che ci fa quella cosa lì?”, chiese Lorenzo, indicando con un cenno del mento il calendario Pirelli esposto in bella mostra come in ogni officina meccanica che si rispetti.
Non occorre dire che il calendario mostrava una bionda maggiorata a gambe aperte e la patonza esposta ai quattro venti.
“Ah, non farci caso, – rispose Andrea, scrollando le spalle – quella serve solo ad attirare le mosche.”
“E questo?”, fece Lorenzo, allungando la mano a stringergli il pacco voluminoso.
“ Questo serve ad attirare i mosconi.”, ghignò il bel meccanico siciliano, serrando le porte dell’officina e cominciando a sfilarsi la tuta da lavoro.
Lorenzo, però, non aspettò che si spogliasse del tutto: la tuta si era appena afflosciata alle caviglie di Andrea, che lui cadde in ginocchio e premette il volto sulle sue mutande sudate, inspirandone con bramosia l’afrore pungente.
“Ehi, calma”, fece Andrea, ridacchiando, ma intimamente compiaciuto di essere l’oggetto di un tale desiderio.
Lorenzo non gli rispose, gli afferrò, anzi, le natiche con entrambe le mani e lo tirò a sé, affondandogli con più forza il volto nel grembo e respirandone ancor più profondamente l’odore. In risposta, Andrea cominciò a carezzargli la testa, passandogli le dita fra i capelli, e intanto Lorenzo dal basso gli infilava le mani sotto gli slip e impastava con frenesia quella carne soda e levigata, mentre le dita gli scivolavano sempre più nello spacco untuoso di sudore.
“Dovrei darmi una sciacquata…”, mormorò Andrea a quel punto.
“Al diavolo!”, grugnì l’altro e gli strattonò gli slip a mezza coscia, fiondandosi quindi a raccogliere con la lingua e tirarsi in bocca il suo cazzo ancora mezzo molle.
L’afrore di benzina, di grasso, di sudore di spurghi vari era effettivamente graveolente, ma il desiderio e l’adrenalina erano tali che Lorenzo non lo sentiva quasi, stordito com’era dalla carica di testosterone che il meccanico emanava e che in breve riempì lo spazio dell’officina, rendendolo quasi angusto.
Appena fu risucchiato nella bocca adorante di Lorenzo e stimolato dalla sua lingua guizzante, il cazzo di Andrea prese vita e in breve fu al massimo turgore.

Si erano conosciuti il giorno prima, quando Lorenzo aveva avuto un problema con la macchina, che era comunque riuscito a spingere fino al più vicino distributore, dove gli avevano dato il numero di quell’officina. Lorenzo era comprensibilmente seccato per l’inconveniente, che minacciava di costargli tempo e non poco denaro; ma tutto gli era passato, quando era arrivato il furgone dell’officina e dal furgone era smontato questo giovane sui venticinque anni, di una bellezza magnetica e con un fisico che appariva modellato senza alcun difetto sotto la tuta aderente.
Quella mattina, Lorenzo era andato a ritirare la macchina e Andrea lo aveva fatto passare nel retro officina per regolare i conti. Aveva pagato con una banconota di grosso taglio e quando Andrea gli era passato accanto per andare a cambiare e dargli il resto, forse non volendo, dato lo spazio angusto del bugigattolo, gli aveva strusciato l’inguine sul dorso della mano che Lorenzo teneva abbandonata lungo il fianco. Una scarica elettrica gli aveva attraversato il braccio, lasciandoglielo quasi indolenzito. Lo stesso era successo al ritorno, solo che stavolta la mano di Lorenzo era girata e impulsivamente gli aveva preso a coppa il fagottino. Andrea aveva indugiato, fissandolo negli occhi.
Dopo un lunghissimo istante, durante il quale sembrava che una forza misteriosa li spingesse uno verso l’altro, Andrea passò oltre; mise i soldi cambiati in un cassetto e dandogli il resto:
“Passa dopo mezzogiorno.”, aveva mormorato, sfiorandogli la mano.
E Lorenzo era tornato. Andrea lo aspettava fuori.
“Vieni, – gli disse – gli altri sono a pranzo, torneranno fra un paio d’ore.”
“Ok”
Dentro l’officina era fresco. Lorenzo si guardò attorno. Niente di particolare: rastrelliere piene di attrezzi da lavoro, arnesi in giro e il solito immancabile calendario Pirelli esposto lì da chissà quanto tempo, visto il velo di untume e le ditate che lo ricoprivano.

Lorenzo poppava l’uccello di Andrea ormai in tiro: in bocca gli era rimasta solo la cappella, che lui succhiava e schiacciava fra lingua e palato, per spremerne il denso sugo viscido e salmastro, di cui era goloso. Intanto aveva impugnato con la destra la base della mazza e la muoveva lentamente su e giù.
Sottoposto alla duplice sollecitazione, Andrea fremeva e sospirava, stimolandolo ancora di più con i suoi gemiti e gli osceni incitamenti.
“Sì, cazzo che bello! – gli diceva – Succhi come una troia… Ah… mi stai facendo tirare pure il buco del culo… Dai, continua… continua che sto per sborrare…”
E infatti Lorenzo gli sentì il cazzo che cominciava a incordarsi; ma questo era davvero l’ultima cosa che voleva in quel momento. Per cui con un ultimo risucchio se lo tolse dalla bocca e iniziò a leccarlo in tutta la sua lunghezza… che non era poca! Iniziava dall’attaccatura delle palle e andava a tutta lingua fino in cima, svirgolava attorno al glande e poi ripeteva la leccata sotto, sopra e tutt’attorno al gambo di quel cazzo sempre più fibrillante.
Poi passò alle palle: provò a risucchiare in bocca tutto lo scroto, nonostante il fastidio dei peli, ma gli ovuli erano troppo grossi: allora li prese uno alla volta, li avvolse con la lingua, li succhiò, li sputò fuori, li risucchiò di nuovo e li risputò, fino a coprire l’intera sacca di un velo di saliva.
Andrea si appoggiò col sedere al cofano di una macchina, che era lì per qualche riparazione, e slargò leggermente le cosce, quasi indicando a Lorenzo il percorso da seguire. E Lorenzo capì benissimo, perché era lo stesso che voleva fare lui: allungò la lingua sotto lo scroto, fino a lambire il sensibile perineo: Andrea rispose con un gemito. Allora, senza esitare, Lorenzo lo spinse a stendersi sul cofano, gli sollevò le gambe e, mentre l’altro si passava le mani sotto le ginocchia per tenersele su, lui gli aprì maggiormente il solco con entrambe le mani, rimase un istante a contemplare, quasi con commozione, la tenera fessura contornata da una coroncina di peletti neri, poi ci poggiò sopra le labbra e ci fece guizzare dentro la punta della lingua.
“Caaaaaazzo! – sguaiolò Andrea, in preda ormai ad una eccitazione incontrollabile – Cazzo, sì! Leccami il buco del culo… leccamelo, cazzo!”
E Lorenzo leccò, anche se non aveva certo bisogno di quegli incitamenti: leccò la tenera mucosa dentro e fuori, finché ebbe la sensazione che gli si disfacesse sotto la lingua.
D’un tratto, Andrea sembrò riscuotersi: si drizzò, tenendosi con forza il cazzo in una mano, e saltò giù dal cofano della macchina.
“Voglio incularti”, disse con gli occhi allucinati dalla libidine che ormai gli esplodeva nella palle, pompandogli sborra nel sangue.
“Dai, spogliati…”, continuò, mentre Lorenzo già si toglieva i pantaloni e le mutande.
Rimasto nudo, si chinò, appoggiandosi con le mani al cofano della macchina e Andrea gli fu subito dietro, poggiandogli il cazzo sul buco e iniziando a spingere. Ma la penetrazione a freddo di un paletto di quelle dimensioni non è uno scherzo e infatti Lorenzo sentì lo sfintere contrarsi al primo accenno di dolore.
“Non hai del lubrificante?”, chiese con voce strozzata, girando la testa sopra la spalla.
Andrea si guardò attorno, poi dal banco di lavoro prese un oliatore pieno.
“Questo è il meglio di tutti!”, ghignò, infilando il beccuccio nell’ano di Lorenzo e dando un paio di pompate.
Lorenzo accolse con un brivido di voluttà quel denso olio per motori, che gli riempiva il retto. Qualche goccia cominciò a colargli fuori, ma Andrea fu svelto a tamponarglielo, riappoggiandogli la punta del cazzo sul pertugio e spingendosi dentro con un colpo deciso. Il lubrificante funzionò a meraviglia e sia pure con un po’ di riluttanza lo sfintere si aprì e accolse la veloce intrusione senza eccessive proteste.
Con un’unica veloce scivolata, Andrea fu tutto dentro e gli premette con forza il bacino sul culo, ruotando leggermente per assestarsi meglio.
“Accidenti!”, ansimò Lorenzo.
“Tutto bene?”, gli chiese il meccanico, passandogli le braccia sotto il torace per tenerlo stretto e cominciando a mordicchiargli il collo e la nuca.
“Sì…”
“Vuoi che vada?”, fece Andrea e accennò un inizio di cavalcata.
“Aspetta un momento… lasciamelo godere… Cazzo, se è grosso!”
“Che t’aspettavi? I siciliani ce l’abbiamo grosso, non lo sapevi? Cazzo grosso e cervello fino!”, e con queste parole, cominciò a cavalcare: prima vogate lente e per tutto la lunghezza dell’arnese, onde raggiungere la perfetta intesa fra il pistone e la sua guaina, poi cominciò ad accelerare, via via che l’orgasmo gli montava nelle palle e il copioso carico di sborra iniziava a premergli sull’uretra.
Ormai in preda alla frenesia, Andrea pompava con foga nel culo di Lorenzo, sbattendogli i coglioni sul culo ad ogni affondo.
“Sono una bestia! – ansimava in risposta ai gemiti di dolore e di piacere dell’altro – Sono una bestia, quando fotto la mia troia e la riempio di sborra… Cazzo… ti riempio di sborra… ti faccio cagare sborra per una settimana… Ti…”
Ma l’orgasmo ebbe il sopravvento: in preda ad una fitta lancinante di piacere, Andrea si chinò a stringerlo forsennatamente, mentre lo azzannava alla nuca quasi a sangue e la sborra prendeva a scorrergli a scatti lungo tutta la grossa vena, scaricandosi nel condotto già pieno di Lorenzo. Il piacere che stava provando era dilaniante e Andrea continuava a dare col bacino dei colpetti leggeri ad ogni eiaculata, quasi a volerlo perpetuare il più possibile.
Lorenzo accolse con un fremito squassante l’orgasmo dell’amico, le cui potenti, ripetute pulsazioni sulla prostata gli provocarono un languore, un piacere sempre più forte e solo alla fine si rese conto che era venuto pure lui su tutta la fiancata della macchina.
Rimasero a lungo stretti, finché il respiro non fu tornato normale. Poi Andrea cominciò ad estrarre il cazzo ormai molliccio, che alla fine venne fuori, portandosi dietro una colata di sborra e olio per motori.
“Scusami, – fece Andrea, mentre Lorenzo si ripuliva alla meglio con uno straccio – ti ho fatto male, – e gli sfiorò con la punta delle dita il morso sulla nuca – ma quando godo divento una bestia.”
“Non fa niente, – rispose Lorenzo, rabbrividendo al tocco di quelle dita – pure io ho fatto un pasticcio.”, e gli mostrò la lunga colata di seme sul fianco della macchina.
“Quella la togliamo subito, prima che qualcuno se ne accorga.”, disse Andrea ridendo e, preso uno straccio, ripulì il tutto.
Si rivestirono e fu con un vero magone che Lorenzo vide scomparire quel magnifico corpo sotto la tuta unta e maleodorante. Avrebbe voluto chiedergli se potevano rivedersi, ma non trovava il coraggio.
Andrea guardò l’orologio:
“Sarà meglio che vai, – disse – fra poco è ora di riaprire.”
“Ok”, fece Lorenzo e gli tese la mano.
Andrea la strinse e lo accompagnò alla porta. Aprì e si affacciò per vedere se qualcuno era già arrivato.
“Via libera. – disse – Ciao.”
“Ciao”
E Lorenzo si allontanò a capo chino verso la macchina.
“Ah, – lo richiamò Andrea – io sono sempre qui dopo mezzogiorno.”
“Ci puoi contare!”, esultò Lorenzo.
L’altro gli fece l’occhiolino e rientrò nell’officina ad eliminare le ultime tracce di quanto era successo.

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