Lucy – Un nuovo inizio – Crisalide

Lucy – Un nuovo inizio – Crisalide

La mattina dopo, a scuola, Lele sulle prime cercò di evitare il mio sguardo, ma col passare delle ore si sciolse fino a che, spesso, ci trovavamo a scambiarci sorrisi che la dicevano lunga sui nostri pensieri riguardo a ciò che era avvenuto il giorno prima.

Arrivato a casa mi fermai sulla porta, nella segreta speranza che il mio compagno mi avesse seguito nuovamente, ma purtroppo non c’era nessuno.

Pranzai e mi misi a studiare, ma il pensiero spesso rifiutava di focalizzarsi sulle materie scolastiche, e turbinava tra le immagini scabrose del sogno dell’altra notte e le sensazioni del cazzo duro di Lele che veniva nella mia mano. Andai in bagno, e mi misi sul bidet per massaggiarmi con l’acqua saponata l’uccello e il forellino anale, infilandoci le dita grazie alla schiuma che fungeva da lubrificante.

“Lele… sì… Lele…” volevo quel cazzo. Lo bramavo come la peggiore delle ninfomani. Lo volevo succhiare, e lo volevo sentire nel mio culo… mi avrebbe fatto male?

Mi alzai dal bidet, e in un raptus erotico cercai nell’armadietto lo sturalavandino; ne fissai la ventosa sul pavimento e mi calai sul suo manico di legno, facendomelo lentamente affondare nell’ano.

Il diametro di quel dildo improvvisato era di poco superiore a quello di un dito, perciò riuscii ad infilarmelo abbastanza agevolmente per una buona dozzina di centimetri, per poi iniziare a cavalcarlo facendolo entrare e uscire dal mio budello.

Sentivo però che a quel godimento perverso era come se mancasse qualcosa. Non era il diametro del manico, più sottile di quel pene che mi aveva per così dire deflorato (per non parlare di quello di Lele… chissà come sarebbe stato riceverlo dentro?) ma qualcosa di indefinito che non riuscivo a spiegarmi, fino a quando mi vidi riflesso nello specchio a tutt’altezza che copriva la porta del bagno.

L’immagine che il vetro mi restituiva era quella di un ragazzo, un bel ragazzo ma comunque maschile, che si sodomizzava con uno sturalavandino. E mi si accese la lampadina.

Frugai nel cesto della biancheria, e trovai una camicetta e una gonna di mia madre. Li indossai, poi per migliorare quanto possibile il risultato, presi anche un reggiseno, ne riempii le coppe con dei calzini arrotolati e lo indossai sotto la camicetta.

Coprendomi il viso, ora potevo apparire come una ragazza dal fisico un po’ robusto. Ok, anche le gambe non sono perfette, per fortuna non ho tantissimi peli, ma come primissima volta che indosso roba femminile può andare, pensai.

Ripresi il discorso da dove l’avevo interrotto, impalandomi da solo… pardon, da sola sul manico dello sturalavandino, e ripresi a cavalcarlo forsennatamente, sentendo la sua pressione sulla prostata ad ogni colpo che mi infliggevo.

“Sì… Lele… scopami, Lele… così…” deliravo, immaginando di concedermi al mio amico, di lasciare che il suo cazzo mi riempisse il culo ben sapendo che sarebbe stato tutt’altro affare rispetto a quel manico sottile che ormai scorreva liberamente dentro e fuori dal mio buco rilassato.

Il suono del telefono mi riportò per un attimo alla realtà. Ero ormai troppo eccitata per rispondere, ma quando scattò la segreteria telefonica e sentii il saluto di Lele, balzai in piedi mentre lo sturalavandino mi scivolava fuori dal retto con un rumore umido.

Corsi alla cornetta prima che il mio amico finisse di registrare il messaggio e sentii una voce che non riuscivo a riconoscere come la mia pregarlo di raggiungermi prima possibile.

Poi come in trance tornai in bagno, frugando nell’armamentario di mia madre provai a truccarmi senza diventare un mascherone grottesco, e per completare il lavoro cercai nella cassettiera di mia mamma un paio di calze che indossai con la massima cautela per non romperle.

La naturale assenza di barba e i capelli, che portavo un po’ lunghi, aiutavano a rendere l’insieme un po’ femminile. Non ero certamente Sharon Stone, ma potevo sembrare una ragazza dai tratti mascolini.

Il campanello suonò, facendomi fermare il cuore per un attimo. Era veramente questo che volevo?

Poi la mia mano rispose al mio posto, aprendo il portone dal citofono e socchiudendo la porta dell’appartamento.

Quando Lele entrò, mi trovò in abiti femminili, appoggiata ad un mobiletto.

“Ma Luca… cosa…” balbettava, sorpreso dal mio abbigliamento.

Quando mi si avvicinò lo abbracciai, sussurrandogli all’orecchio: “Ti ho raccontato di quello che mi è successo e dei sogni che ho fatto dopo… e questo è il risultato…” Poi, stringendolo a me più forte: “Quello che è successo è stato un po’ colpa tua… e ora tocca a te… me lo devi…”

Ancora perplesso, Lele ricambiò l’abbraccio, ma quando le sue mani mi sfiorarono le natiche, si accorse che, su quel mobiletto su cui ero appoggiata, avevo fissato la ventosa dello sturalavandini e ora ero completamente impalata sul suo manico.

“Vedi cosa mi hai fatto fare?” gli dissi guardandolo negli occhi, e lo baciai appassionatamente; un bacio che sulle prime lo lasciò di stucco, ma che poi ricambiò facendo danzare la sua lingua con la mia, mentre il manico di legno continuava a massaggiarmi piacevolmente le pareti del retto.

Con la mano scesi a cercare il suo sesso, e fui felice di trovarlo già in piena erezione. Mi spinsi in avanti e sentii il manico di legno scivolare fuori dal mio culetto provocandomi un ultimo piacevole brivido, dopo di che, guardando Lele negli occhi, mi abbassai lentamente fino ad inginocchiarmi davanti a lui, mentre la mia mano continuava a massaggiargli il sesso attraverso i jeans.

“Me lo devi…” sussurrai, mentre abbassavo la zip per togliergli i pantaloni e liberare quel bastone di carne che ora gonfiava visibilmente gli slip azzurri di cotone.

Abbassai quell’ultima barriera e mi trovai a tu per tu con l’oggetto tanto agognato da quando le molestie dei tre bulli avevano risvegliato questa mia componente nascosta.

Tenevo gli occhi fissi su quel membro eretto un po’ perché mi affascinava, un po’ per non incrociare ancora gli occhi di Lele. Qualche residuo di pudore maschile mi ostacolava ancora, infatti, nel perseguire il mio comportamento da femmina affamata di sesso, per quanto ancora quasi vergine.

Avvicinai il viso a quel membro che, da distanza ravvicinata, mi sembrava enorme, e comunque più grande e più lungo del mio. Ne sentivo l’odore e ne percepivo quasi il calore, finchè posai un innocente bacio sulla cappella che luccicava di umori, facendolo vibrare per quel contatto.

Lo baciai di nuovo, e poi leccai leggermente quella grossa fragola matura, prima di accoglierla per intero tra le labbra.

Lele inizia a spingermi centimetro dopo centimetro il suo uccello in bocca, e quel mio primo pompino mi regala sensazioni strane ma bellissime. No, penso, non è la prima volta che ho un cazzo in bocca, ma quello di Gianni mi era stato infilato quasi a forza, mentre oggi sono io che lo voglio. Voglio averlo in bocca, leccarlo, succhiarlo. E lo voglio… un brivido mi percorre la schiena a pensare a quel nodoso randello che mi penetra analmente, sconquassandomi lo sfintere, dilatandolo ad un diametro ben maggiore del manico di legno con cui mi ero penetrata fino a poco prima.

Immagino il dolore ma anche il piacere perverso di essere sfondata, di diventare finalmente a tutti gli effetti una rotta in culo, e nel mentre succhio quel cazzo che ormai ogni volta mi entra per più di metà in gola, prima di uscirne lucido di saliva e liquidi prespermatici.

Lo succhio come un’invasata, artigliando con le mani le natiche magre di Lele, che ormai mugola monosillabi e geme per il piacere che il mio pompino gli sta regalando.

Decido che è l’occasione per vagliare fino in fondo le velleità omosessuali del mio amico; sempre succhiando a fondo il suo grosso uccello, porto le mie dita a carezzargli la rosellina dell’ano, e poi, quasi con cattiveria, ne spingo due all’interno. Entrano più facilmente di quanto non immaginassi, segno che probabilmente quel muscolo è già avvezzo a qualche tipo di penetrazione, ma soprattutto vanno a far scattare qualche interruttore che lancia Lele irrimediabilmente verso l’orgasmo.

Infatti, non appena le mie falangi affondano in quel budello caldo, Lele si inarca in avanti affondandomi l’uccello in bocca e schizzandomi in gola due, tre, quattro fiotti di sperma, che mi scivolano direttamente giù per l’esofago.

La prima reazione è di schifo, di repulsione per quel liquido che ho ingoiato e che mi sporca ancora l’interno della bocca. Ma qualcosa mi spinge a non sputare, anzi, a continuare a succhiare quel membro virile che seguita a secernere le ultime gocce di quel fluido vitale, fino a che inizia a perdere l’erezione…

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