Una fidanzata crudele 01: L’anello

Una fidanzata crudele 01: L’anello

Stavamo insieme da due settimana, piu’ o meno. Ci avevo messo un po’ per conquistarla, era una ragazza difficile.
Sono non vedente, di lei mi piacevano cose che probabilmente chi vede non ritiene così importanti: la voce e quelle mani, morbide, lisce come seta, le piccole rotondità del corpo (non era grassa, ma neanche magra come un chiodo), il modo di camminare sicuro… insomma, tante piccole variabili che componevano una sinfonia.
Stavamo insieme da due settimane, ma non avevamo ancora avuto un rapporto: a parte qualche pomiciata, due o tre massaggi intimi (mondiali direi); io aspettavo, avevo capito che dovevo lasciarle il tempo per essere pronta.

  • “Vieni da me sta sera?” – mi disse al telefono. Pensai che questa fosse la volta buona.
    Mi recai da lei in taxi; si fece trovare al portone, già mi aspettava.
    Notai subito che qualcosa era diverso, non so dire come, ma il modo in cui mi prese per mano, non sotto braccio come sempre, avrebbe dovuto far risuonare un campanello d’allarme. Mi strinse la mano in un modo che potrei definire autoritario, non mi viene in mente altro. Mi condusse in casa.
    Dopo aver richiuso la porta alle nostre spalle mi lasciò la mano per un istante, si mise davanti a me ed iniziò a massaggiarmi le parti intime, coi vestiti addosso. Faceva una leggera pressione, faceva un po’ male, ma io ero del tutto nel pallone, non opposi la benché minima resistenza.
    Con l’altra mano mi cingeva la vita, ma la teneva stretta, come se non volesse che mi muovessi. Mi mise la lingua in bocca e poi mi disse: “Sta sera passeremo ad un livello successivo. Sei pronto”? Come potevo dire di no? “Sì” – feci, con la voce piu’ dolce che mi venne di fare.
    Lo sfregamento delle parti intime terminò dopo qualche minuto. Io non conoscevo la casa, quindi mi lasciai guidare in quella che doveva essere la cucina, una cucina bella grande direi.
    Mi mise di fronte una pizza; scambiammo poche parole: avevo la sensazione che volesse finire in fretta la cena, o meglio, quella specie di cena.
    Io terminai la mia pizza, bevvi un bicchiere di birra e chiesi dove fosse il bagno.
    Ilaria si alzò, mi prese per mano come al solito, con quel fare autoritario e mi trasportò, sì, perché quella fu la sensazione, in bagno.
    Non mi diede il tempo di fare niente: mi slacciò i pantaloni, li abbassò, tirò giu’ le mutande e mi prese il pene con la mano, direzionando il getto al centro del water: io ero sconcertato. Non riuscivo a capire quel comportamento, non sapevo se lo facesse perché avesse paura che la facessi fuori, o per quale altro motivo; eppure doveva conoscermi, a casa mia ci era stata tante volte, non ho mica bisogno di assistenza io!
    “Falla”, mi disse, in una maniera che non so descrivere, ma senza dubbio non lasciava spazio a discussioni ulteriori. La feci, sconcertato, ma la feci.
    “Non rivestirti, togliti tutto e lascialo qui” – mi disse, mentre mi ripuliva il pene con l’acqua e me lo frizionava con la carta igienica.
    Io tentai di dire qualcosa, ma una leggera pressione sull’inguine mi fece desistere.
    Mi tolsi i vestiti e li lasciai lì, dove aveva detto lei.
    Mi fece indossare delle ciabattine di gomma, mi prese la mano come al solito e mi condusse in quella che doveva essere la sua camera da letto. Sentivo che stavo perdendo il controllo di ogni cosa: non avevo più i vestiti, non sapevo dove avesse messo il mio giacchetto col cellulare dentro, insomma, non ero prigioniero, ma sentivo di esserlo, in qualche modo.
    A questo punto mi fece appoggiare ai piedi del letto, pensavo che mi facesse sdraiare, non fu così.
    Si mise davanti a me e mi prese il pene fra le dita. Lo frizionava lentamente, applicando una leggera, ma decisa pressione sul glande. Si indurì immediatamente.
    Con l’altra mano mi cingeva la vita e io potevo aderire al suo corpo, nudo; ma quando e come si fosse svestita, non ebbi mai modo di saperlo.
    “Mettimi la mano sinistra sulla vagina, senza muoverla” – mi disse.
    Io ero un automa, eseguii senza batter ciglio.
    La mano che frizionava il pene si muoveva lentamente, scendendo sempre un po’ più in basso, a ricoprire tutta l’asta, lentamente, sempre più giù.
    Fu all’ora che iniziai a sentire qualcosa, qualcosa che mi sfiorava il glande. Doveva essere un anello, anzi no, decisamente era un anello. Non era grande, ma era metallico, duro, deciso; eppure non ne portava, non mi sembra li portasse.
    Sentii l’anello una, due tre volte, affacciarsi sulla punta del mio pene, mentre lei iniziava a sfregare la vagina sulla mia mano.
    Con la sua lingua in bocca provai a dire: “Hai un anello”!
    “Sì, esatto” – disse lei – “e ora lo sentirai tutto”.
    A queste parole mi si accorciò il fiato, cosa volesse dire con quella frase, lo capii qualche minuto dopo.
    La mano che prima frizionava il glande, cambiò posizione. Con le dita iniziò a massaggiarmi la punta dall’alto verso il basso, fino a che l’anello, ora molto più deciso, si posizionò al centro del mio pene, come se .. come se cercasse uno spazio.
    Il pene era turgido e il nervo era scoperto; l’anello non faticò a posizionarsi al centro e iniziare, lentamente ma decisamente, a sfregare.
    Il dolore arrivò in un attimo e mi lasciò senza fiato. Iniziai subito a contorcermi, tentando di divincolarmi, ma quella maledetta mano che mi cingeva era forte, insolitamente forte.
    La vagina iniziò a bagnarsi e lei la sfregava sulla mia mano, mentre con l’altra sfregava l’anello sul mio pene. Tentai di urlare, o di chiederle di smetterla, o entrambe le cose, non so, ma avevo la lingua in bocca e mi mancava il respiro.
    “Ti fa tanto male, vero”? – mi disse.
    “S. S. Sì” – risposi.
    “Bene, è quello che voglio. Ora contorciti dal dolore e dimmi che ami il mio anello”.
    Non riuscivo a parlare. Improvvisamente la mano lasciò il pene, per un istante, mi schiaffeggiò i testicoli, con l’anello e poi ritornò sul pene.
    “Dillo o la prossima volta te ne darò molti di piu'”.
    Con un filo di voce, riuscii a dirle: “Amo il tuo anello”.
    “Bravo, visto, non era difficile”.
    Poi venne. fu un attimo, un orgasmo intenso, mi eiaculò in mano e finalmente, mi lasciò respirare.
    “per oggi basta così, non saresti in grado di reggere altro. Ma dalla prossima volta dovrai resistere di più, il tuo dolore è il mio piacere. Queste sono le condizioni per stare con me. Quando siamo in intimità io sono la tua padrona, tu il mio schiavo. Ti è chiaro?”
    “Sì, padrona” – risposi io, con il solito filo di voce che mi faceva pena solo a sentirlo.
    “Bene, bravo i mio schiavetto. Ora ti darò un premio”.
    Mi riprese il pene fra le mani, era gonfio, non so se per lo sfregamento o per altro, ma era gonfio. Eppure venni, in pochi secondi, fra le sue mani. Fu un orgasmo strano, a tratti doloroso.
    Mi pulì i pene con un fazzoletto, ci mise sopra una pomata e poi mi fece rivestire.
    Chiamò il taxi e sta volta mi accompagnò sotto braccio, come sempre.
    Mentre salivo mi disse: “Ti chiamo domani, forse torni da me”. Non ebbi il tempo di replicare che mi avrebbe dovuto lasciare del tempo per pensarci, elaborare quanto meno: mi baciò in bocca e chiuse la porta del taxi.
    Ero sconvolto.
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