Il preside

Il preside

E’ come andare a pesca di tonni. All’inizio sembra impossibile che quella lenza sottile possa avere la meglio su un bestione di oltre cento chili. Ma se il pescatore è bravo e sa come condurre la battaglia, tirando e mollando fino a sfiancare la sua preda, la vittoria è quasi certa. Non è diverso nel mio caso. Certo, un preside di mezza età, con gli occhiali spessi e decisamente poco attraente di viso e fisico, non potrebbe avere speranza con le mamme che portano i figli in questo istituto dove si recuperano anni scolastici. Donne mediamente benestanti, ben vestite, curate e ingioiellate che si ritrovano a dover gestire figli con poca voglia di studiare e una spiccata predisposizione all’arroganza e alla maleducazione. Riconosco le prede ai primi colloqui di ammissione. Sono quelle disposte a tutto per coprire i propri figli e sempre pronte a giustificarli che catturano la mia attenzione. E di solito sono anche le migliori sotto ogni punto di vista estetico. A quel punto devo solo aspettare l’occasione giusta. Come nella pesca, non bisogna avere fretta. Il pesce deve abboccare bene. Uno o due richiami. A volte anche tre. Poi arriva il colloquio decisivo. Fissato appositamente nel tardo pomeriggio quando il personale di segreteria sta per andare a casa. Il giorno della battaglia. Bisogna partire forte. Minaccia di allontanamento, bocciatura sicura. Oggi sono fortunato e il danno alla scuola mi permette di introdurre anche la parola “denuncia”. Restare impassibili di fronte alle giustificazioni, alle storie lacrimevoli e alle suppliche è indispensabile all’inizio. Poi si introduce qualche spiraglio, si molla la lenza, si dà l’illusione che il ragazzo possa cavarsela. Ma è importante far capire che la cosa non è semplice. Che mi viene chiesto di assumermi dei rischi, perché certe eccezioni possono venire a sapersi in giro e la scuola ne potrebbe risentire. Tirare e mollare. Fino a introdurre il concetto che tutti dobbiamo fare i sacrifici e che non posso essere l’unico ad assumersi il peso di questa decisione. Quando si dichiarano pronte a fare la loro parte mi alzo e faccio il giro della scrivania e mi metto davanti alla loro sedia, appoggiato al bordo del tavolo. Con le mani in tasca do qualche toccatina al mio compare così da catturare la loro attenzione. Di solito lo sguardo è incredulo. Come questa bella mamma sulla quarantina. Occhi verdi e capelli scuri. Lunghi e morbidi come le sue forme, generose ma non eccessive. Vestita in questo completo gonna e giacca lunga blu elettrico sopra una camicetta scollata che probabilmente costano come un paio di mesi del mio stipendio. Mi basta di nuovo un rapido accenno a quando ci siamo detti negli ultimi venti minuti. Il richiamo è sufficiente. “Io sono pronto a fare la mia parte signora, ma non ho ancora capito se lo è anche lei”. Completo il tutto spostando la mano destra alla cintura, quasi afferrando la linguetta della cerniera dei pantaloni. Il suo sguardo verso la porta dell’ufficio è già una risposta. “Siamo rimasti solo noi, signora. Come le dicevo certe cose è meglio che restino un segreto.” “Va bene.” Mi metto le mani in tasca e abbasso gli occhi per indicarle l’obiettivo. “Allora…prego!”. Le palpebre si chiudono qualche secondo come a cercare la forza poi… Come al solito mi godo la vista delle mani – leggermente tremanti per la situazione non certo perché carenti di esperienza – che armeggiano prima con la cintura e poi con il bottone e la zip del pantalone. Ma non riesco mai a trattenermi dal prendergli la testa con una mano per tirarmela contro mentre con l’altra ho estratto il mio cannone che gli infilo in bocca scappellato. A quest’ora non sono fresco di doccia e mi piace l’idea che scoprano odori e sapori senza possibilità di ripensamenti. La mamma non mi sembra troppo infastidita. Anzi. A giudicare da come muove la lingua umida intorno alla mia cappella direi che la troia se lo sta gustando. Ci sa fare. Mi diventa duro rapidamente. Ma la gola gestisce bene le nuove dimensioni e anche quando la forzo a ingoiarlo tutto non si lamenta .”Ti piace succhiare il cazzo, eh?” le dico quando i nostri sguardi si incrociano. “Bastardo!” Visto che ha deciso di prendersi una pausa per rispondermi mi sembra giusto che mi dia una bella leccata di coglioni e sottopalle. Finché le tengo la testa va avanti a fare il suo dovere ma appena la mollo preferisce tornare a succhiare l’uccello. Ne approfitto per scoprire la giacca dalle spalle. Se la lascia sfilare dalle braccia senza smettere di pompare. Professionista. O forse pensa di farmi venire in fretta. Povera illusa. Sei molto brava ma io purtroppo per te posso durare a lungo se voglio. Anche perché l’avevo deciso già l’altra volta mentre ci salutavamo visto che nonostante i tacchi è poco più bassa di me. La invito ad alzarsi, le sbottono un paio di bottoni e con le mani prendo tutta la confidenza necessaria con le sue belle tettone. “Complimenti. Sono davvero niente male” “Sei uno schifoso figlio di puttana!” “Ah, siamo passati al tu? In effetti direi che siamo più intimi adesso…” “Vaffanculo.” “Veramente la puttana qui non sono io…ma il consiglio lo accetto volentieri”. Le giro dietro e poi, piegandomi insieme a lei, le faccio mettere le mani sulla scrivania. Una mano sulla nuca e l’altra a sollevare la gonna. Ha un gran bel culo. Grosso ma non basso. Con delle splendide forme. Come piace a me. Tiro le mutandine nere. “Queste le togli da sola o vuoi che te le strappo?” “Cosa vuoi ancora?” “Vuoi che le strappo?” “No! No… faccio io” Si solleva quando basta per sfilarsele con una mano. Prima una gamba poi l’altra. La piego di nuovo sulla scrivania. Questa volta meno delicatamente. Il tonno è sulla barca. Quando le metto un dito nella fica la trovo umida. Ci strofino contro la cappella. Ma poi la punto sul buco del culo. “Dicevi che lo volevi nel culo?” “No! Lì no!!” Bene. Mi ribagno la cappella con i suoi umori allargandole leggermente le gambe con un piede. Un colpo deciso. Ben affondato. Non brutale ma maschio. Il suo gemito a denti stretti conferma che l’ha sentito. Così come i successivi. Perché me la sbatto come si deve, con le mani ad aprirle le chiappe, godendomi ogni singola penetrazione. Fino ad arrivare al punto giusto. Lo tiro fuori e aspetto che si giri a guardarmi. Si inginocchia senza che le debba dire altro. “Guardami” le dico dopo averglielo rimesso in bocca. “Bevi la mia sborra adesso”. I suoi occhi si chiudono al primo schizzo mentre mugola di disapprovazione. Forse. Faccio con calma finché non mi sono svuotato completamente. E fino a che non l’ho vista ingoiare tutto con un brivido di disgusto. Mi tiro su i pantaloni ricomponendomi. Lei fa altrettanto. Senza dire più una parola. Aspetto in piedi che si infili la giacca e l’accompagno alla porta. Rassicurandola che avrei fatto la mia parte.

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