Compagni di cella

Compagni di cella

Mi chiamo Marco, all’epoca di questo racconto avevo 23 anni. Sono entrato in carcere complice inconsapevole di una truffa fatta dalla società di vigilanza e sicurezza armata di cui ero socio minoritario.

Il primo giorno fu durissimo, ero in uno stato misto di ansia, panico e totale smarrimento. Avevo lasciato la mia casa all’alba e scortato in un piccolo carcere in centro Italia. La struttura che mi avrebbe accolto per i successivi 3 anni della mia vita, era moderna, con tecnologie all’avanguardia, sicurezza altissima.
Il benvenuto non fu dei migliori. Le guardie sapevano il motivo del mio incarceramento e fecero di tutto per rendere il trattamento meno piacevole possibile. Fui spogliato di tutto e perquisito. Una guardia mi allargó le natiche e mi fece tossire….e con sdegno punto il manganello sul mio ano dicendo “non resterà così stretto a lungo!” Ed esplose in una squallida risata col suo collega, due energumeni alti e grossi che ridevano di un ragazzo impaurito.

Fui scortato alla mia cella dopo essermi vestito con la divisa grigia che tutti i carcerati dovevano portare o almeno così pensavo. Scoprì presto che ci si potava vestire con abiti civili approvati dal carcere… ma per i novellini era diverso. Dovevamo essere visibili. Mi diedero una coperta, un kit per l’igiene personale e un cuscino.
La cella ed stranamente spaziosa, tre letti in tutto, uno a castello ed un terzo singolo stranamente più grande degli altri. C’era un bagno laterale piccolo che aveva anche lo spazio per la doccia, ma dissero subito che non sempre si poteva usare, la doccia era (come tutti immaginiamo) una zona comune che avrei visitato più tardi.
Mi dissero che il mio posto era nel letto basso e di aspettare i miei due compagni di cella che erano fuori per le attività mattutine. Io mi “accomodai” in attesa e la guardia sorrideva maligno mentre diceva al suo collega “don Pietro ci ringrazierà del regalino!”.

Passata mezz’ora sentii un vociare, i detenuti stavano tornando alle celle, presto avrei incontrato i miei nuovi “compagni” e avevo il cuore che mi esplodeva nel petto.
Il primo ad entrare fu un ragazzone alto sui 35 anni, mulatto, molto bello. Tuta grigia e scarpe sportive. Mi sorrise brevemente e si presentò “sono Amal!” con una vigorosa stretta di mano, poi andò ad armeggiare verso la cucinetta che era nell’angolo sotto la finestra con le sbarre che dava sul cortile.
Qualche minuto dopo arrivo un’uomo alto, brizzolato, con una barba folta e curata, occhi scuri. Aveva un corpo possente, muscoloso sotto la sua polo lacoste e jeans. Doveva essere Don Pietro. Mi guardo in silenzio, senza espressione. D’istinto mi alzai e mi presentai. Lui senza spostare di un millimetro lo sguardo, fermo sull’uscio, che occupava tutto con la sua presenza, mi strinse forte la mano e disse”sono Pietro D. ma qua de metro mi chiamano Don Pietro, mi aspetto educazione e pulizia nella mi cella. Se non darai problemi non dovrai preoccuparti di nulla!” Aveva un accento del sud, parlava molto bene con una calma disarmante che mi mise abbastanza a mio agio e al contempo, memore delle parole della guardia, mi spaventò.

La giornata trascorse velocemente tra qualche chiacchiera e le regole da rispettare nella cella e nel carcere. Amal parlava poco e si limitava a fare eco alle parole di Don Pietro. Era totalmente a suo servizio. Già immaginavo la mia vita…
Arrivò la sera e dopo un film visto alla piccola tv attaccata al muro, Don Pietro spense dicendo che aveva sonno. Tutti ci mettemmo a letto. Amal nel letto sopra al mio e Don Pietro nel letto più grande…era evidente il suo status.
La stanchezza mi arrivò addosso come un macigno e mi addormentai in fretta nonostante i rumori di voci provenienti dalle altre celle.

Mi svegliai di scatto, rintronato, smarrito…qualcosa di caldo e umidomi aveva riempito il viso. Ci misi un po’ a mettere a fuoco la figura che stava in piedi a pochi centimetri dal mio viso. Era Amal, nudo, che si menava il grosso membro scuro, era appena venuto sulla mia faccia.
Mi pulii e mi alzai sconvolto urlando “che cazzo fai?!?”, lui rideva e cercava di avvicinarsi sempre più al mio viso che era pieno della sua sborra calda e densa. Sorrideva trionfante. Il colpo fu veloce e ben assestato, Amal fino sul pavimento con la mano sul viso dolorante. Incredulo e smarrito. Mi girai per capire. Don Pietro lo aveva colpito e lo guardava inferocito. Mi ordinò di lavarmi bene la faccia e di pulire il lavabo con cura, tornato dal bagno vide che ero visibilmente scosso e impaurito, mi fece cenno di sedermi accanto a lui sulla sua branda e mise la mano sulla gamba, stringendo leggermente. “Stanotte dormirai nel mio letto. Stai sereno.”
Non ero sereno. Ma era un ordine. Mi stesi nel letto, tra Don Pietro e il muro, non avevo alternative. Le parole della guardia mi rimbombavano nella testa.

Non riuscii a dormire, arrivo l’alba e con lei la speranza di liberarmi da quella costrizione. Ma non avevo fatto i conti col mio compagno di letto. Si sveglio e stiró lentamente, il suo corpo era enorme se pensate al mio, ero magro e tonico, 170cm, lui robusto, con una pancia muscolosa e braccia forti, 195cm. Io ero rannicchiato con la faccia verso il muro, sento che una mano mi ispeziona. Dice assonnato “buongiorno. Girati non stare così.” Lentamente mi giro supino. “Hai visto che non ti succede nulla se stai con me?” Mi dice serio “ora però aiuta me!” Nello stesso mi prende una mano e se la porta sul pacco. Rimango impietrito. Sento la sua minchia dura che spinge per uscire dai pantaloni. Non muovo la mano ma so che è di dimensioni importanti. “Non fare il timido Marco, è solo una sega.” Mi prende la mano e la sposta all’interno del boxer. “Ora tiralo fuori e datti da fare. Tra poco passano per la conta e dobbiamo essere in piedi e io voglio che mi svuoti le palle!!!” Ero muto, bloccato, non riuscivo a muovere un muscolo. Lui si gira, mi prende il viso con una mano e mi dice calmo ma severo “qui comando io, e ti conviene fare quello che ti dico con le buone, altrimenti mi prenderò quello che voglio senza chiederti il permesso.” A quelle parole comincio a muovere la mano e lui comincia a rilassarsi ma non mi toglie gli occhi fissi nei miei. A poco a poco li socchiude e sento il respiro aumentare, geme leggermente. Il suo cazzo era sempre più duro, grosso, palle che sbattevano alla mia mano piene. “Fai piano che ho la cappella asciutta. Anzi bagnala.” Stacco la mano e la porto alla bocca per sputarci un po’ di saliva, lui mi guarda e dice “bello mio, non hai capito ancora nulla. Devo sbattertelo in bocca o lo fai da solo senza fare storie?!” Lo guardo implorante. È rosso in viso, arrabbiato. So che non ho scelta. Mi piego e avvicino il mio viso alla nerchia più grossa mai vista. Piena di vene. Un cazzo bellissimo, le palle sode e grandi. Non so perché ma mi viene duro all’istante…anzi lo so perché, la vista di quel cazzo mi aveva mandato in estasi, e anche le parole dure di Don Pietro avevano fatto il loro lavoro sulla mia mente. Mi piaceva essere dominato, ma non potevo dirlo esplicitamente in un carcere.
L’odore di quella cappella era pungente, urina e precum. Vedere le gocce cadere dal suo buco mi mandava in estasi e allora dimostrai a Don Pietro quanto avevo voglia di cazzo! Non ne vedevo da mesi con tutta la storia del processo.
Ero ingordo. Lo prendevo con foga. Don Pietro era stupito e divertito, aveva capito di aver trovato uno vero schiavetto, già pregustava il divertimento che gli avrebbe portato la mia presenza nella cella, e io gustavo ogni centimetro di quella mazza dura. Gemeva sempre più regolarmente, stava cedendo, le sue mani spingevano la mia testa, non mi lasciavano quasi respirare. Sapevo che non mi avrebbero lasciato scampo, infatti inarcò la schiena e con una spinta lo sentii arrivare nella gola e svuotare tutta la sua virilità dentro me, nella gola e poi in bocca. Era tanta. Salata. Caldissima. Non volevo lasciarne una goccia. Ingoiai vorace. E il mio cazzo esplose nelle mutande. Senza toccarmi. Volevo dare a Don Pietro un degno ringraziamento, fargli capire che poteva chiedermi di tutto. Lui mi guardava soddisfatto, sorridente. Disse “le guardie avevano ragione. Lo sai che da adesso sei mio? Nessuno potrà farti male!” Io dissi “grazie.” E lui si alzò lasciandomi nel letto. Andó in bagno e lo sentii urinare con forza. Mi eccitava e la mia mente cominciò a fantasticare.
Amal guardava dalla sua branda. Si stava ancora segando. Lo guardai e gli sorrisi. Avrei dato piacere anche a lui se Don Pietro me lo avesse permesso.
Il primo giorno era passato, ed io ero già la Troia di qualcuno.

Continua…
Fatemi sapere se vi è piaciuto e se volete le altre parti del racconto.

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