Lucy – Un nuovo inizio – Tua

Lucy – Un nuovo inizio – Tua

Eccomi qui.
Caduta in ginocchio davanti a Lele e alle sue gambe lasciate scoperte dai pantaloni calati alle caviglie; il sapore del suo sperma in bocca e delle leggerissime fitte all’ano, fino a poco prima dilatato innaturalmente dal manico dello sturalavandino, mi impediscono di cacciare dai pensieri quell’idea fissa che mi rimbomba nella mente: sei una puttana, una bocchinara, una rottinculo… già, tutte immagini al femminile, che si intonavano perfettamente al mio abbigliamento e al mio aspetto.
Una sgualdrina con il trucco colato, il rossetto mescolato allo sperma e alla saliva, che ora era inginocchiata davanti a quel ragazzo, davanti al suo cazzo che ora penzolava tra le sue gambe.
Alzai lo sguardo verso di lui, e scoppiai a piangere.
Lele si chinò e mi abbracciò dolcemente, come un tenero amante: “Non piangere… perché piangi?”
“Cosa mi è successo? Cosa sono diventato? Anzi… cosa sono DIVENTATA?” chiesi, calcando la mano su quel participio al femminile.
Restammo abbracciati in ginocchio sul pavimento per un lungo istante, poi ci rialzammo; Lele mi guardò negli occhi e mi disse: “Non so se sei diventato qualcosa… penso che al contrario tu avessi sempre dentro di te questi… questi desideri, e quello che è successo te li ha solo tirati fuori”.
Poi continuò: “Sai tenere un segreto?” Feci di sì con la testa.
“Qualche anno fa… sì, ero poco più di un bambino… un mio parente mi ha costretto a succhiargli l’uccello, e mi stava preparando per farmi la festa, se non che la cosa ha cominciato a destare sospetti e ha preferito iniziare ad evitarmi… ma da allora ho questo strano sentimento… non dico di essere gay, una bella ragazza mi piace… ma mi piacciono anche i ragazzi, e spesso faccio… faccio da solo, come facevi tu prima con quell’arnese” disse, indicando lo sturalavandino.
Ripresi a piangere, sconvolto da quella confessione, e lo abbracciai. Poi, colto – o per meglio dire colta da un impulso irrefrenabile, lo baciai appassionatamente.
In quel momento ero più che mai Lucy. Ero una donna, con desideri da donna, che intendeva donarsi al suo uomo per lussuria… e sì, probabilmente anche per un sentimento profondo.
A fatica abbandonai le sue labbra, e gli dissi: “Io invece non ho avuto nessuna esperienza, tranne… ok, l’incidente che sai… ma voglio fare questa esperienza con TE.”
Lo lasciai nella stanza, e andai in bagno a cercare di rimettermi a posto il trucco.
Mentre mi guardavo allo specchio, mi domandavo chi davvero fosse quella donna dai tratti mascolini che mi guardava dal riflesso mentre cercava un po’ goffamente di mettersi l’ombretto della madre. E l’unica risposta che mi venne fu: “Sei tu. Sei la VERA tu”.
Avevo già la mano sulla maniglia della porta del bagno, quando mi venne l’idea; presi dall’armadietto la scatola della Nivea e me ne spalmai abbondantemente il buchino, arrivando anche al suo interno… ripensavo al diametro dello sturalavandino e a quello, ben maggiore, del cazzo di Lele che di lì a poco, speravo, mi avrebbe definitivamente sverginata, e se da una parte temevo il dolore che mi avrebbe sicuramente causato quella penetrazione, dall’altra la voglia di essere finalmente sfondata da quel bastone di carne mi faceva superare ogni timore, ogni prudenza.
Tornai di là, dove Lele mi attendeva seduto sul divano dopo essersi ricomposto.
Gli tesi la mano dicendogli: “No, non di qua… andiamo di là…”
Si alzò, e lo condussi in camera mia; appena entrati, anche se eravamo soli, chiusi alle nostre spalle la porta di quella che sarebbe diventata la nostra alcova, e baciai voluttuosamente la sua bocca e il suo collo, mentre con le mani cercavo di togliergli la maglietta e di abbassargli i pantaloni.
Anche le sue mani non stavano ferme, al contrario mi palpavano avidamente le natiche attraverso la stoffa della gonna, che ben presto risalì in vita scoprendo prima l’orlo delle calze, poi la pelle nuda delle cosce e infine le mie due mezzelune candide.
Sempre abbracciati, con le lingue che danzavano tra le nostre bocche e le mani che percorrevano la pelle sempre più esposta, arrivammo fino al mio letto dove mi gettai trascinando Lele con me.
Dimostrandosi più intraprendente di quanto credessi, il mio amico si staccò da me, e si abbassò a baciarmi la pelle delle cosce e del basso ventre, per poi passare a leccarmi i testicoli inginocchiato fra le mie gambe, mentre con una mano impugnava il mio sesso già eretto.
Quando poi portò le sue labbra su quell’asta di carne e la ingoiò, centimetro dopo centimetro, credetti di toccare il cielo con un dito. Il calore della sua bocca mi restituiva le sensazioni che poco prima gli avevo regalato io con quel mio primo pompino “en femme”, strappandomi gemiti di piacere; ma questo era solo l’inizio.
Un dito e poi due si intrufolarono nel mio ano, ancora dilatato per i miei giochi solitari di poco prima, e affondarono in me rischiando di farmi capitolare all’orgasmo nella bocca del mio amante.
“Sì, Lele… sì… prendimi…” lo incitai, e lui iniziò ad estrarre e riaffondare le dita nel mio buco voglioso, senza più incontrare alcuna resistenza.
“Lele… voglio TE… voglio essere TUA!” gli urlai.
Il mio amico si alzò da terra, cessando quei giochi che mi stavano comunque regalando piaceri sconosciuti, e mi fece girare a quattro zampe sul materasso, porgendogli il mio “Lato B”; per un attimo, voltandomi, scorsi il suo membro già duro, rigido e svettante, ed ebbi un brivido: di lì a poco quel randello mi sarebbe sprofondato nelle viscere, e se da una parte temevo che mi avrebbe fatto un male pazzesco straziandomi l’ano ancora quasi vergine, dall’altra lo volevo. Lo volevo dentro di me, volevo essere inculata, sfondata da quel mandrino di carne.
Sentii le sue mani sui miei fianchi, e poi il suo glande che cercava a tentoni l’ingresso da varcare.
Mi fermai, trattenendo il respiro, quando lo sentii appoggiarsi alla rosellina e spingere leggermente: evidentemente i miei giochi solitari avevano prodotto un qualche leggero rilassamento dei muscoli, cosicchè sentii che la cappella, anche grazie alla crema che avevo spalmato, dilatava senza apparenti problemi il mio sfintere per entrarvi lentamente.
Purtroppo, però, questo era solo l’inizio. Una fitta improvvisa mi tolse il fiato quando quella grossa fragola di carne, dilatandomi l’ano ben oltre il diametro del mio dildo improvvisato, superò l’anello dei muscoli e sprofondò insieme ai primi centimetri del membro dentro di me.
Soffocai un urlo tra le lenzuola e subito Lele uscì da me, causandomi una seconda, dolorosa fitta, come se i muscoli sfinterici venissero risvoltati all’esterno dall’uscita del suo cazzo.
“Ti ho fatto male?”
“Un male cane, Lele…” risposi, voltandomi verso di lui. Vedendolo visibilmente preoccupato e dispiaciuto, gli accarezzai il viso dicendogli: “E’ normale… mi hai sverginata… Amore…” e lo baciai teneramente.
Memore dei miei giochi solitari di poche ore prima, chiesi a Lele di sdraiarsi sul mio letto, per salire a cavalcioni sopra di lui: “Ora sarò tua… completamente tua…”
Impugnai il randello, che fortunatamente non aveva perso l’erezione, e ne appoggiai la punta al mio buchetto, poi lentamente mi abbassai facendolo entrare lentamente in me… l’ingresso del glande mi provocò un nuovo dolore, ma molto più sopportabile di quello precedente, forse a causa della posizione che permetteva una dilatazione più agevole dei muscoli, perciò continuai a scendere su quell’asta virile che sentivo, centimetro dopo centimetro, riempirmi il retto e regalarmi sensazioni tutte nuove, fino a che sentii le mie natiche appoggiarsi sulle sue cosce, ugualmente nude.
“Oddio Lele… è tutto… tutto dentro… l’ho preso tutto…” mormorai, con le lacrime agli occhi.
Lele mi guardava gli occhi lucidi, poi abbassando lo sguardo guardava il mio sesso eretto puntato verso di lui e, più sotto, il mio culo impalato sul suo cazzo fino all’elsa.
Piano piano mi sollevai sentendo quella colonna di carne dura che usciva da quel budello che l’aveva accolta, facendomi sentire come svuotata, e poi mi riabbassai per farla sprofondare nuovamente in me. Poi di nuovo, incontrando meno resistenza. E di nuovo, e di nuovo ancora.
Ormai l’uccello di Lele scorreva liberamente nel mio culo senza farmi più male ma regalandomi un perverso piacere mentre mi sodomizzavo da sola, incitando il mio amante con frasi che diventavano sempre meno articolate: “Sì… Lele… sì… inculami… inculami più forte… dentro… sì… il culo… Dio che bello… sì… dentro…”
Facendo leva sul materasso, Lele mi fece cadere su un fianco, mentre il suo arnese duro rimaneva infisso in me; poi, ruotandomi, mi fece sdraiare sulla schiena mentre le mie gambe rimanevano sollevate verso il soffitto e lui, che ora era sopra di me, mi poteva scopare in una sorta di “missionaria”.
Si infilava in me fino al limite, con colpi cadenzati e violenti che mi strappavano mugolii e gemiti, e i suoi occhi mi fissavano quasi allucinati, mentre io sentivo il piacere che montava come un’ondata di piena ben presto destinata a travolgere ogni argine.
“Oddio Lele… così… sto godendo… mi hai rotta tutta, Lele… non ce la faccio più… godoooo… sìììì…”
Con un urlo raggiunsi l’orgasmo schizzando il mio sperma sul mio stesso petto e fino al mento, mentre le contrazioni dell’ano portavano anche il mio amante al punto di non ritorno.
“Ti riempio… ti riempio… sì, mi senti dentro?…” urlava mentre il suo cazzo mi spruzzava dentro agli intestini il suo seme virile.
“Amore… vienimi dentro… così… Ti Amo…” furono le mie ultime parole prima che un bacio di Lele mi intrappolasse le labbra.

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