La vecchia stazione di servizio – 1

La vecchia stazione di servizio – 1

L’area di servizio era praticamente abbandonata a causa dei lavori di rifacimento della superstrada che l’avevano, di fatto, tagliata fuori dalle rotte dei veicoli. Solo conoscendo bene l’uscita esatta e le tre svolte – non segnalate – si poteva imboccare la strada per raggiungerla.
Anche per chi proveniva dai paesi vicini era inutilmente scomodo arrivare fin lì.
A causa dello scarso numero di utenti, poi, capitava spesso che il carburante scarseggiasse visto che la compagnia non riteneva prioritario rifornire tempestivamente un punto che non garantiva più i numeri di un tempo.
La serranda che un tempo ospitava l’officina era abbassata da tempo e l’ufficio di fianco, con le due grandi porte vetrate, era ormai ridotto a un vano buio e spettrale, con gli scaffali alle pareti, un tempo pieni di prodotti per l’auto, completamente spogli e sul bancone un vecchio registratore di cassa.

Giuseppe, il vecchio benzinaio, si era trasferito a vivere in quel parallelepipedo prefabbricato, trasformando la vecchia officina e il locale magazzino sul retro, in un piccolo appartamento in cui aveva trasferito i mobili della casa in cui abitava prima. La cucina era stata riadattata al posto del magazzino, mentre nell’officina trovava posto il letto un tavolo con quattro sedie, un paio di armadi una poltrona di pelle e la credenza con la televisione.
D’altra parte essendo rimasto solo, con la pensione della vecchia madre, non aveva grandi necessità.
Il piccolo orto che aveva ricavato dal giardino sul lato destro del fabbricato gli dava prodotti a sufficienza, macellaio e panettiere venivano spesso a trovarlo portando sempre qualcosa dalle loro botteghe e il resto lo prendeva quando una volta alla settimana raggiungeva il paese più a pochi chilometri dalla sistemazione.

Giuseppe era un uomo burbero e di poche parole, dal fisico imponente e massiccio.
Le braccia forti, le mani grosse e callose e lo sguardo torvo, con quegli occhi piccoli e neri come due carboni, scoraggiavano chiunque a cercare occasioni di litigio. Ma quell’orso ricoperto di peli neri, con la barba spruzzata di grigio e i capelli ormai radi, sapeva essere anche un compagno di bevute e risate formidabile se lo si sapeva prendere.

Poco dopo l’orario del pranzo, il suo muggito rimbombò all’interno dell’edificio.

Seduto nella poltrona, con indosso soltanto canottiera bisunta sollevata sopra la grossa pancia pelosa, stringeva tra le mani gigantesche una testa bionda che stazionava tra le sue cosce possenti e altrettanto ricoperte di peli.
Un corpo esile, decisamente più giovane, completamente nudo e a quattro zampe, veniva attraversato da fremiti e spasmi violenti. D’altra parte le labbra erano sigillate alla base del pube del vecchio benzinaio che – incurante del fatto che il viso affondato nella selva boscosa nel suo basso ventre faticasse a trovare aria da respirare – continuava a emettere versi gutturali di piacere bestiale ritmati dalle contrazioni del bacino.
Parecchi secondi dopo, sfogate completamente le sue pulsioni, Giuseppe liberò la giovane testa sfilando dalla bocca e dalla gola il grosso uccello che a giudicare dalla lunghezza si era infilato nell’esofago spurgando direttamente nello stomaco.
Il volto paonazzo respirava a pieni polmoni, gli occhi gonfi di lacrime per lo sforzo, il mento lordato di bava. I lineamenti erano affilati.
Dalle narici nel piccolo naso a punta colavano i segni dell’impresa compiuta mentre gli occhi azzurri fissavano imploranti quelli del benzinaio. Il quale, dopo un buffetto che sembrava un complimento e che strappò una specie di sorriso al giovane volto, lo incoraggiò a iniziare una lunga e accurata opera di ripulitura dell’intero apparato genitale a colpi di lingua.

Solamente quando il grosso e nodose bastone di Giuseppe fu tornato a riposo, con dimensioni comunque notevoli, i due si separano.
Alzandosi in piedi, una accanto all’altra, le due figure non potevano sembrare più diverse.
Tanto una era alto, imponente e massiccio, con quel busto panciuto che sormontava due gambe possenti e dal quale partivano le braccia muscolose, tanto quell’altra era piccola, minuta, magra e sinuosa.
All’orso bruno, irsuto e minaccioso faceva da contrasto un corpo completamente liscio e senza peli.
Se il numero di anni e chili era decisamente a vantaggio di Giuseppe, i capelli erano l’unica cosa che invece andava a favore della testa bionda. Fluenti e morbidi fino alle spalle erano anche decisamente più puliti di quelli radi e riportati sulla testa del benzinaio.
L’unica cosa ad accomunarli e comunque a distinguerli al tempo stesso erano le dimensioni dei rispettivi peni.
Giuseppe era evidentemente molto dotato, con quella proboscide scura che gli pendeva sotto la pancia mentre l’altro aveva un piccolo e glabro cazzetto che se ne stava buono buono tra le gambe affusolate.

Luca aveva quasi quarant’anni in meno del benzinaio e ormai da sei mesi era diventato un frequentatore fisso della vecchia stazione.
Più precisamente era lo schiavo sessuale di Giuseppe.
Quasi tutti i giorni, verso le 13, finito il turno all’ospedale dove lavorava nell’impresa di pulizie, raggiungeva in motorino la stazione di Giuseppe, si spogliava e si metteva a sua disposizione per soddisfare le sue inesauribili e innumerevoli fantasie e voglie. In tutto quel periodo aveva imparato a sottomettere il suo corpo alle necessità del suo padrone diventandone quasi dipendente.
Le rarissime volte che non poteva recarsi alla stazione gli causavano quasi delle crisi di astinenza che lo portavano a fare di tutto per rimettersi alla mercé di quell’uomo il cui piacere era diventato la sua ragione di vita. Sapere di averlo soddisfatto, di averlo appagato, di essere stato in grado – lui che era orfano dalla nascita e aveva vissuto in istituto fino all’anno prima quando aveva compiuto diciotto anni – di dargli quell’esatto piacere che voleva lo inorgogliva.
Essere abusato, dominato, umiliato oltraggiato e schiavizzato era diventata una sensazione da provare costantemente.
Non c’era richiesta, per quanto perversa, abietta o degenerata potesse sembrare, che Luca rifiutasse a Giuseppe, nonostante talvolta facesse ancora fatica a sopportarne qualcuna.
La simbiosi tra i due era qualcosa di particolare e bastavano poche parole a volte anche solo dei cenni perché il giovane schiavo capisse il suo padrone e ne anticipasse gli ordini.

Poco dopo, mentre Giuseppe era nuovamente stravaccato nella poltrona a guardare la televisione, Luca rientrò nella stanza con una tazzina di caffé.
Indossava una canottiera verde acqua che gli arrivava poco sotto le chiappe sode e rotonde. I capelli erano raccolti in una piccola coda e il tutto dava alla sua figura un tocco di femminilità particolare.
Mentre beveva il caffé il vecchio benzinaio ricevette una telefonata. Si trattava di Antonio, il macellaio del paese, che gli annunciava di essere in viaggio verso di lui.
Alzandosi e passeggiando per la stanza Giuseppe scambiò un paio di battute prima di riattaccare e di confermare al giovane schiavo l’arrivo dell’ospite, mentre spegneva il televisore.
Luca rispose con un cenno e gli disse che sarebbe andato a preparare dell’altro caffé ma prima che potesse muovere un passo il grosso orso gli fece cenno di avvicinarsi mentre dava l’ultimo tiro di sigaretta. Appoggiato allo spigolo del tavolo, ancora con indosso la sola canottiera, spense la sigaretta nel posacenere sul piano di formica marrone.
“Sicuramente arriverà anche Luciano” gli disse mettendogli una mano sulla spalla quando il giovane su di fronte a lui.
“Allora faccio quella più grande”
“Bravo. Però prima fammi pisciare” rispose l’uomo usando anche la seconda mano per far inginocchiare il ragazzo.
Luca scese all’altezza del cazzo del suo padrone con naturalezza e senza alcuna esitazione si mise in bocca metà della grossa canna scura che pendeva tra le cosce pelose. Poi i loro sguardi si incrociarono.
“Pronto?” disse Giuseppe e Luca mugolò un assenso con le labbra serrate.
Il benzinaio chiuse gli occhi e li riaprì solo dopo aver emesso un sospiro di liberazione.
La gola di Luca iniziò a inghiottire regolarmente e rumorosamente l’intera vescica di Giuseppe senza scomporsi. Come se bere piscio caldo direttamente dal cazzo di un uomo fosse una cosa normale.
La cosa andò avanti quasi un minuto.
L’unico suono che si sentiva era il sordo ingollare di Luca mentre Giuseppe si complimentava ripetendo “bevi troia”.

Terminato il suo compito il ragazzo si alzò per andare nella cucina di fronte a preparare il caffé mentre il vecchio benzinaio finalmente si decideva ad infilarsi boxer e pantaloni.

(continua)

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