Il ricatto – Cap.3 La morte di Giorgio

Il ricatto – Cap.3 La morte di Giorgio

Il ricatto – Cap.3 La morte di Giorgio

Il ricatto – Cap.3 La morte di Giorgio.

Mentre solco le acque del Tevere in una fresca mattina d’autunno, sento il freddo abbraccio del fiume che scorre sotto la mia imbarcazione. I miei muscoli si contraggono e distendono con ogni movimento, rispondendo con precisione al ritmo che ho impresso al remo. Il sole ancora basso sferza il fiume con raggi dorati, rendendo l’acqua scintillante.

Indosso un’attillata tuta tecnica che segue ogni curva del mio corpo, permettendomi di muovermi con agilità e potenza. I miei capelli, legati in una coda alta, ondeggiano leggermente al ritmo della mia vogata. Lo sforzo è intenso ma familiare, una danza di forza e controllo, una sinfonia di muscoli che lavorano all’unisono ed uno scarico di adrenalina, che mi dona benessere.

Il Tevere è la mia palestra, e in queste acque trovo la mia forza, la mia determinazione e la mia gioia. Le sue acque sono mute testimoni del mio impegno e della mia passione per questo sport. Ogni allenamento è un passo verso la perfezione, una ricerca incessante della performance ottimale.

Dopo l’allenamento, sotto le gocce d’acqua calda della doccia, i muscoli del mio corpo furono massaggiati, regalandomi una sensazione di benessere e rilassamento. Il mio sguardo si posò sul mio corpo tonico, modellato da anni di allenamento: un sedere duro e dritto, un seno alto e tonico. Questa visione mi regalò qualche istante di vanità, suscitando in me il desiderio di masturbarmi

Nonostante la mia natura di ragazza semplice, quella che potrebbe definirsi una classica “acqua e sapone” senza fronzoli, non posso negare di nutrire una vanità nascosta. Ricevere complimenti, avance e corteggiamenti mi gratificava sempre profondamente. So che questa debolezza non è solo mia: anche donne come me, apparentemente forti e serie, sono in realtà suscettibili a una sottile vanità.

L’idea di masturbarmi fu frenata dal fatto di non essere sola negli spogliatoi. Tuttavia, riflettendo sul fatto che avrei trascorso la giornata con Paolo e che probabilmente avremmo fatto l’amore quella sera, mi consolai

Per il pranzo, Paolo mi condusse in uno dei tanti ristoranti di Trastevere. Durante la cena, condividevo con lui la storia di Chiara e del prossimo processo in cui Giorgio doveva affrontare le accuse. Giorgio, però, aveva categoricamente rifiutato di svelare l’identità degli altri due uomini coinvolti, insistendo di non conoscerli e negando ulteriori dettagli. Nonostante le prove schiaccianti contro di lui, sembrava destinato a una condanna ineluttabile in tribunale. Il mio desiderio era perseguire una giustizia completa per Chiara, augurandomi una condanna esemplare anche per gli altri uomini rimasti sconosciuti.

Paolo mi diede alcuni consigli su come avrei dovuto comportarmi. Era più grande di me di qualche anno e lavorava nello studio del padre, uno dei più grandi e famosi della città. Sicuramente era molto preparato, e nonostante avessimo visioni completamente diverse della professione, feci tesoro dei suoi suggerimenti.

Terminato il pranzo nel tardo pomeriggio, passeggiammo lungo il Tevere a piedi per ben 5 km, da Trastevere fino a casa sua a Parioli, in una bella giornata di novembre. La temperatura era di circa 20 gradi, e i raggi del sole sembravano quasi coccolarci durante quella camminata mano nella mano tra i monumenti di Roma. In quel giorno, Paolo cominciò a significare qualcosa di più per me; sentivo forse di essermi definitivamente innamorata di lui.

In quel momento, le nostre differenze non occuparono i miei pensieri: lui indossava vestiti griffati e un Rolex da 2000 euro, mentre io avevo un abbigliamento semplice e non portavo nessun anello o bracciale di pregio. Non diedi peso neppure al fatto che lui fosse un ricco borghese residente nel miglior quartiere di Roma, impiegato nello studio rinomato del padre, mentre io vivevo a San Lorenzo, un quartiere popolare e variopinto.

Attraversando il ponte Flaminio, ci fermammo qualche minuto ad ammirare il tramonto. La nostra città, con i suoi colori sempre più autunnali e una temperatura ancora mite, era bellissima. Colti da quel momento di idillio, le nostre labbra si sfiorarono delicatamente prima, per congiungersi poi in un lungo e appassionato bacio. Mi sentivo come una ragazzina che conosce l’amore per la prima volta; una sensazione di leggerezza mi attraversava, e in quel momento ero davvero molto felice.

Appena oltrepassato il portone di casa, Paolo lo chiuse con determinazione. Tra noi ebbe inizio un momento che si trasformò quasi in una danza, in cui, uniti l’uno all’altra, ci scambiammo baci, carezze e tenerezze, dirigendoci senza mai separarci verso la camera da letto. Mentre ero stretta tra le sue braccia, il mio amante sollevò delicatamente la mia gonna, iniziando a palpare il mio sedere con la mano. Le sue dita si insinuarono tra le mie mutandine e il bordo del perizoma, sollevandolo leggermente prima di lasciarlo andare. Le sue dita, continuarono la loro corsa fino al buchetto della mia figa, che rispose immediatamente al suo tocco, diventando umido.

A mia volta, cominciai a tastare il suo pene, già gonfio da sotto i pantaloni. Quindi, la sua camicia cadde a terra, seguita dalla mia gonna, il mio top, il reggiseno e tutto il resto. In pochi istanti ci ritrovammo nudi sul letto. Con movimenti lenti, come una gatta, mi affusolai su me stessa, mettendomi a quattro zampe con il viso rivolto verso di lui, all’altezza del suo membro.

Iniziai a leccarlo dolcemente, ansimando delicatamente. Mi trattenni: avrei desiderato assaporarlo, sentire i suoi gemiti di piacere provocati dai movimenti sensuali della mia bocca sul suo membro, ma volevo che quel momento perdurasse il più a lungo possibile. Così, mi divertii con la punta della lingua a passare sui suoi testicoli completamente rasati, per poi risalire lentamente verso la cappella e baciarla delicatamente con le labbra, prendendola infine con dolcezza in bocca. Iniziai a eseguire un lungo e appassionato pompino, poi Paolo mi chiese di sedermi sopra il suo viso, e così iniziammo un prolungato sessantanove.

L’intensità della sua lingua nella mia intimità diventava sempre più pronunciata, e ciò mi eccitava al punto da desiderare di contraccambiare, stimolandomi ad approfondire i movimenti della mia bocca sul suo membro.

Quando entrambi eravamo sull’orlo del culmine, ci fermammo per un istante, ci distendemmo uno accanto all’altro e ci scambiammo ancora baci. Poi, Paolo iniziò a baciarmi il collo, mordicchiarmi il lobo delle orecchie (una pratica che mi faceva impazzire) e mordicchiarmi i capezzoli. In un attimo, mi ritrovai con le gambe divaricate e lui sopra di me. In quel momento notai, come sempre nei nostri momenti d’amore, la collana d’oro con un crocifisso che Paolo indossava, oscillante all’unisono con i suoi movimenti.

Quella collana, era insolita per un uomo che non era credente, mi aveva colpito più volte in passato. Tuttavia, il piacere che stavo sperimentando era così intenso che prese il sopravvento sulla curiosità. Paolo, penetrandomi lentamente, andava su e poi giù fino in fondo. Quando era giù con il suo membro completamente dentro di me, mi riservava una stimolazione eccitante con il suo bacino, sfregando il mio clitoride e provocando spasmi estremi di piacere. Avvolsi le gambe attorno al suo corpo come una sorta di tenaglia, stringendolo e spingendolo verso di me, fino a quando non raggiunsi un orgasmo intenso.

Qualche secondo dopo, Paolo estrasse velocemente il suo membro da dentro di me, io velocemente mi dimenai verso il basso, per avvicinarmi con la bocca al suo pene, desiderando ricevere la sua sborra interamente in bocca.

Subito dopo, mi avvicinai alle sue labbra e ci baciammo. Le nostre bocche si sporcarono dello sperma e quel sapore peccaminoso che si era mescolato con la nostra saliva, fu come un’essenza proibita che prolungò la magia erotica di quel momento.

Quel giorno fu il giorno delle nostre prime volte. Paolo, al termine di quest’ultimo bacio, mi disse: “Ti amo”. Risposi flebilmente: “Ti amo anche io”.

Era la prima volta che ci confessavamo reciprocamente il nostro amore, la prima volta che Paolo, mentre facevamo l’amore, non tentava il gioco del finto stupro, e la prima volta che accettavo di prendere il suo sperma in bocca, ovvero il desiderio di Paolo che avevo sempre rifiutato di esaudire fino a quel giorno.

Dopo quasi un anno di incontri, la nostra relazione stava prendendo una piega più seria. In quella giornata, non ci concentrammo sulle nostre differenze caratteriali o sulle divergenze professionali nella nostra visione della professione. Eravamo immersi in momenti di puro amore ed eros, rendendo quella giornata perfetta e memorabile.

Distesa accanto a Paolo, in un letto di relax, il cellulare iniziò a vibrare. Otto chiamate perse, tutte dal mio ex fidanzato e ora collega, Giulio, che lavorava nello studio di mio zio Marco. Aprii anche WhatsApp e trovai un lungo messaggio da Giulio.

“Marta, ti ho chiamato mille volte; prima di tutto, tutto bene? Ho una notizia scioccante da darti: Giorgio, l’imputato nel processo che stai seguendo, è morto ieri notte, investito da un SUV in una strada alla Magliana. La morte, data la situazione del processo, a mio parere è piuttosto sospetta. Lunedì sarò in ufficio da te, voglio parlarti del processo. Ok?”

La notizia fu sconvolgente. Pensai immediatamente alla povera Chiara; ora sarebbe stato ancora più difficile per lei ottenere giustizia. Certamente, io sarei stata al suo fianco per aiutarla con tutti i mezzi possibili.

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