Lucy – Una puttana in classe (2)

Lucy – Una puttana in classe (2)

Il giorno dopo, a scuola, Marco sembrava ignorarmi, e pensavo che forse, in fondo, era meglio così. Non negavo a me stesso che l’avventura vissuta in quel cinema era la più eccitante che avessi mai vissuto e che mi sarebbe piaciuto ripeterla, ma a conti fatti sbandierare ai quattro venti le mie pulsioni omosessuali in un ambiente come la scuola, anche se il mio ultimo anno in quell’istituto volgeva alla fine, poteva essere alquanto pericoloso, espormi al dileggio di tutti se non a veri e propri atti di bullismo.
Dopo l’intervallo, però, tornando al mio posto, trovai un bigliettino piegato in quattro nel mio astuccio, con scritto laconicamente “da me alle quattro”. Non c’era firma, ma non ce n’era bisogno. Mi voltai e incrociai lo sguardo di Marco, che mi fissava come ad attendere una risposta.
L’orgoglio maschile mi suggeriva di rifiutare quell’appuntamento, ma la mia parte più perversa ripensò immediatamente al membro di Marco nella mia bocca, al suo sperma, e a come sarebbe stato sacrificargli la mia verginità anale.
Gli feci segno di sì col pollice alzato, e tornai a seguire le lezioni per quanto almeno mi era possibile con la giostra di pensieri che mi frullava nella testa.
Dopo mangiato, complice l’assenza di mia mamma, mi dedicai ad un’accurata preparazione. Con una peretta in gomma per i lavaggi vaginali mi feci un’accurata pulizia interna, poi provai ad infilarmi la mia fidata candela, lubrificata con del detergente intimo, per ammorbidire i muscoli anali e prepararli a quello che immaginavo sarebbe avvenuto. Mentre facevo scorrere la candela dentro e fuori e leccavo l’altra come se fosse stato un secondo cazzo, valutavo e comparavo tra me le dimensioni dei miei falli di cera e quelle del membro di Marco, sicuramente ben più generose; non avevo però paura, quanto un crescente desiderio di sentirmi riempire, allargare, sfondare il culo.
Indossai con cura un paio di calze autoreggenti di mia madre e un suo completo reggiseno e mutandine. Guardandomi allo specchio le giudicai però troppo “caste” e le sostituii con un altro paio che scoprire molto di più le natiche, come un perizoma. Coprii il tutto con i miei abiti maschili e mi diressi verso casa di Marco.
Il mio compagno mi accolse in casa sua, dove evidentemente era solo, e mi offrì da bere. Accettai, ma poi, come per mostrargli che volevo arrivare il prima possibile al nocciolo della questione, mi sedetti sul divano e gli dissi semplicemente “Ok, dimmi tutto.”
Vedendolo sinceramente imbarazzato, molto più di me che però lo nascondevo bene, presi il timone della situazione.
“Allora… avrei preferito sicuramente che tutto fosse iniziato in un altro posto e in un altro modo” iniziai a dirgli; e poi, appoggiandogli una mano sulla coscia lasciata scoperta da un paio di ampi pantaloncini “ma non posso dire che mi dispiaccia che sia iniziato con TE”.
Fissandolo negli occhi, infilai la mano nei pantaloncini dal di sotto, fino a raggiungere il suo membro che, al mio tocco, reagì inturgidendosi.
“E francamente non credo che neanche a te sia dispiaciuto come si sono messe le cose” continuai civettuola impugnandogli il sesso. “Secondo me possiamo guadagnarci tutti e due da questo segreto, che ne dici?”
Subito mi rispose affermativamente, e sapevo che da quel momento era in mano mia.
Mi alzai, spogliandomi dei miei panni maschili e rivelando ciò che portavo sotto. Poi, guardando il desolante spettacolo del mio reggiseno penzolante, mi venne un’idea.
“Aspettami un attimo, vado solo un secondo in bagno”.
In bagno riempii alla bell’e meglio le coppe del reggiseno con della carta igienica pressata, ma poi mi cadde l’occhio sulla mensola dove faceva bella mostra di sé l’armamentario dei trucchi della mamma di Marco.
Un velo di ombretto sugli occhi e un po’ di rossetto rosso sulle labbra e il mio aspetto era ancora più femminile. Tornai da Marco, che nel frattempo si era spogliato, e mi inginocchiai sul divano accanto a lui, baciandogli il torace, poi l’addome, e poi il membro rigido, prima di iniziare un pompino coi fiocchi. Lasciavo lunghe scie di bava e di rossetto su quel membro, ma stavo attenta a non lasciarmi prendere dalla lussuria. Non volevo infatti che mi venisse in bocca, perlomeno non prima di aver fatto ciò che volevo che avvenisse quel giorno; infatti, quando lo sentii cotto a puntino, mi staccai dal suo cazzo lucido di saliva e, voltandomi verso lo schienale, mi appoggiai inarcando le reni e separandomi le natiche con le mani.
Poi, qualora l’invito non fosse abbastanza esplicito, lo incitai: “Dai Marco… prendimi…”
In un attimo mi fu addosso ed ebbi appena il tempo di sentire una mano sul mio culo e la cappella che si appoggiava al mio buco fremente, per poi trattenere a stento un urlo di dolore.
Privo di esperienza e senza dubbio infoiato come un mandrillo, Marco senza alcuna delicatezza mi aveva infatti forzato l’anello dello sfintere ed era sprofondato in me con la cappella e i primi cinque – sei centimetri del cazzo, facendomi un male tremendo. Tuttavia non volevo più tornare sui miei passi, ero lì per quello, volevo prendere finalmente il mio primo cazzo nel culo e Marco stava continuando lentamente ma inesorabilmente ad affondare centimetro dopo centimetro nelle mie budella.
Fino a che sentii il suo corpo contro il mio. Era fatta. Ce l’avevo tutto dentro, avevo il cazzo di Marco tutto nel mio culo. Gli chiesi di stare fermo, per permettere ai miei muscoli di abituarsi a quella presenza insolita, e quando sentii che il dolore diventava sopportabile e lasciava il posto ad una strana sensazione di pienezza, fui io a iniziare lentissimamente a muovermi in avanti per farlo scivolare fuori da me, e poi indietro per riaccoglierlo nel mio culo non più vergine.
Anche Marco prese a muoversi come un pistone su e giù nel mio ano, prima lentamente e poi, quando il mio sfintere cessò ogni resistenza, con sempre maggiore irruenza.
Quant’era diverso dalle mie masturbazioni solitarie! Dimensioni a parte, sentivo finalmente un vero cazzo e non una fredda candela inanimata che mi sfondava il culo, e godevo, dio se godevo.
“Che troia che sei… ti piace il cazzo in culo, eh, puttana?” mi apostrofò Marco, ormai in piena trance erotica, e quelle parole causarono il crollo definitivo di ogni diga, di ogni barriera. Innanzitutto sentirmi chiamare al femminile mi liberava definitivamente dalla mia parte maschile. Ero femmina, una femmina cazzuta, E una femmina troia e puttana, come mi aveva appena chiamato il mio… amante?
“Sì… mi piace… mi piace… e sono una troia… la tua troia… sono la tua puttana rottainculo… “ presi a vaneggiare mentre mi tenevo aperte le natiche con le mani come se sperassi, così, di ricevere ancora uno o due centimetri di cazzo in più dentro di me.
“Sei la mia troia… però ti serve un nome da troia, non posso certo chiamarti Luca… “ disse Marco sfilandosi da me per cambiare posizione. Si sedette infatti sul divano e io mi misi a cavalcioni del suo basso ventre, afferrando il cazzo e dirigendolo dentro al mio buco ormai sfondato.
Aveva immediatamente ripreso a scoparmi, e in quella posizione lo sentivo ad ogni colpo arrivarmi fino allo stomaco. Alzai gli occhi e, casualmente, notai sulla mensola davanti a me alcuni libri. Per uno scherzo del destino, il nome di un’autrice mi colpì fra tutte quelle costine esposte. Lucy. Che dopotutto, pensai, non era così distante dal mio nome maschile.
Lo guardai negli occhi e mormorai: “Lucy… mi chiamerai Lucy” e prima di permettergli una qualsiasi reazione, afferai il suo viso tra le mani e lo baciai. Appassionatamente, avidamente, con tutta la mia lingua a cercare la sua.
Sorpreso da quel bacio, mi diede ancora un paio di colpi di reni e raggiunse l’orgasmo riempiendomi il culo di sperma, mugolando nella mia bocca qualcosa che somigliava a quel nome di donna che mi ero appena scelta.
Quello stesso pomeriggio non mi ero solamente fatta rompere il culo come desideravo, ma avevo finalmente liberato la mia personalità nascosta…

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