Storia della mia vita 1

Storia della mia vita 1

CAPITOLO 1. I TURBAMENTI DI UN GIOVANE RAGAZZO
Non ho mai conosciuto i miei genitori, perché fui abbandonato subito, appena nato.

Gli abbandoni di neonati sono sempre esistiti e se ne verificano ancor oggi. Non so certo il motivo per cui fui rifiutato dalla mia madre naturale. Forse era la classica ragazza che aveva portato a termine di nascosto una gravidanza indesiderata e non poteva far conoscere alla famiglia di essere madre non sposata; o forse era una donna troppo indigente per potermi allevare; o forse per chissà quale altro motivo.

Non mi preoccupai mai, nella mia vita, di cercare i miei genitori, anche perché non avrei avuto la benché minima idea di dove cominciare, ammesso che ne avessi sentito il bisogno, per trovare qualche indizio che mi facesse scoprire qualcosa di più sulla mia famiglia di origine.

Fin dalla più tenera età fui allevato, cresciuto ed educato da una donna straordinaria che, a un certo punto della sua vita, decise di adottare un neonato trovato chissà dove, riuscendo non solo a saltare qualunque ostacolo burocratico, ma anche ingannando chiunque. Non so come la spuntò; forse, addirittura, ci riuscì dichiarando semplicemente a tutti che ero figlio suo.

La mia mamma adottiva si spese veramente tanto per me, nonostante conducesse un’esistenza modesta e povera di gioie. Mi educò, mi insegnò tante cose, mi fece da madre e da padre e mi fece persino studiare come un ragazzo di buona famiglia fino alle scuole superiori.

Fin da piccolo, quando riceveva visite, mi chiudeva nella mia stanza con qualche giocattolo che, comunque, per me era sufficiente, visto che giocavo molto con la fantasia. Più grandicello, invece, si raccomandava che fossi io a chiudermi dall’interno nella stanza, perché, diceva, non voleva che i suoi visitatori si accorgessero di me e ponessero domande a cui lei, molto riservata, non gradiva rispondere.

A volte riceveva molti visitatori e allora, per un po’ di tempo, si godeva di un relativo benessere economico: si andava a mangiare la pizza fuori e poteva anche saltar fuori un giocattolo in più. Periodicamente, invece, si ammalava di qualcosa che non capivo, ma che la debilitava moltissimo e per un lungo periodo. Durante quel tempo non poteva ricevere visitatori. Erano i momenti più difficili e io mi sentivo tanto in ansia per lei perché sentivo la sua angoscia e la sua paura di non riuscire a continuare a mantenere entrambi.

Il ricordo di quella mamma stupenda mi riempie ancora il cuore di gratitudine e di affetto, oltre che lasciarmi un nodo inestricabile di commozione in gola.

Ero un bambino timido, molto riflessivo, solitario. Mi piaceva leggere e studiare la storia antica. Avevo avuto un’educazione rigorosa al rispetto per il prossimo, all’attenzione alle regole e alla deferenza verso chi mi era superiore. All’asilo e alle elementari ero oggetto di scherno e talvolta vittima di scherzi sgradevoli da parte di altri bambini che formavano bande di piccoli bulletti, come sempre avviene a scuola nei confronti di chi è estraneo ai vari gruppi. E questo proprio perché mi isolavo ed ero caratterizzato da un’indole conciliante, anche se, talvolta, lo facevo per paura.

Questi episodi mi avevano portato a detestare l’aggressività e talvolta la rozzezza degli altri bambini maschi. Ero molto più portato ad apprezzare i modi gentili e morbidi delle femminucce, talvolta rimanendo colpito dai comportamenti vezzosi di qualche compagna. Tuttavia non provavo attrazione verso le ragazze, neppure quando, uscito dall’infanzia, cominciavo ad avvertire i primi vaghi segni di rimescolamento ormonale.

In seconda media ero incuriosito da un bambino dai lineamenti fini, dolci e oserei definire pacati, quasi traslando sull’aspetto fisico caratteristiche proprie invece del comportamento. Anche lui era molto riflessivo e tranquillo ed era preso di mira molto più di me dai bulletti della scuola per questa sua accentuata femminilità e modi gentili. Mi stupiva la sua grande serenità di fronte a questi attacchi e queste prese in giro, che, a volte, degeneravano persino in soperchierie fisiche.

Poiché frequentava un’altra sezione non avevo molte occasioni di vederlo. Tuttavia riuscii in qualche modo a fare amicizia, anche se inizialmente riscontrai una certa diffidenza nei miei confronti, forse proprio perché abituato a non avere molta fiducia nelle intenzioni dei ragazzi che lo avvicinavano, se esterni alla sua cerchia di conoscenze.

Condividevamo alcuni interessi come la storia e la pittura, di cui lui era veramente appassionato, e ci trovavamo talvolta per andare insieme a una mostra o per andare in biblioteca, quando le nostre madri ci davano il permesso. Solo dopo alcuni mesi che ci conoscevamo ebbi occasione di parlare delle nostre cose più intime.

Mi confessò candidamente che si sentiva davvero come una bambina e lungi dal mascherare il suo aspetto femminile, tendeva invece a curarlo e a seguire senza problemi le sue inclinazioni che si erano manifestate già da quando aveva sei o sette anni. La tranquillità e serenità con cui passava sopra all’ostracismo e alla quasi ostilità di certi altri ragazzi a scuola le erano dati non solo dal fatto che frequentava una piccola cerchia di amici e amiche al di fuori della scuola che la trattavano come se fosse una ragazza, ma, soprattutto, dal fatto che, caso allora più unico che raro, i suoi genitori l’avevano accettata fin da subito per come era e, anzi, ne incoraggiavano lo sviluppo come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Mi sentivo vagamente attratto da Stefi (questo era il suo nome), ma non osavo assolutamente lasciare trapelare nulla delle mie sensazioni nei suoi confronti. Tuttavia, la voglia di avvicinarla, stare con lei, magari toccarla, cresceva di giorno in giorno.

Eravamo arrivati alla fine dell’anno scolastico e Stefi mi invitò a casa sua. Fu come un colpo basso quando me lo propose e io riuscii a malapena a nascondere il fermento che quell’invito mi provocò dentro. Il giorno stabilito mi recai a casa sua con il cuore che mi batteva all’impazzata.

Mi aprì sua madre e mi fece accomodare in salotto. Ci sedemmo insieme intorno al tavolinetto centrale: Stefi, sua madre e io. La signora era molto gentile, sorrideva e cercava di mettermi a mio agio.

“Sai, Stefi mi ha parlato di te e del fatto che avete fatto amicizia. Sono contenta che vi siate conosciuti perché so che sei un ragazzo ammodo e molto educato e Stefi si trova bene con te.”

Inizialmente ero un po’ teso e imbarazzato per la presenza della mamma di Stefi, ma le sue parole e la sua cordialità mi avevano rilassato ed ero contento che ci fosse anche lei.

“Vedi, Stefi è un ragazzo molto sensibile e, ovviamente permettimi di dirlo come madre, anche molto intelligente. Io e mio marito siamo sempre stati convinti che l’educazione di un figlio passa attraverso l’insegnamento di alcuni principi fondamentali che definiscono l’etica del vivere e la convivenza con gli altri, ma sempre nel rispetto delle caratteristiche dell’individuo. Scusa se utilizzo queste frasi un po’ ampollose per esprimere un concetto molto terra terra. Che è quello di sottolineare che Stefi è un ragazzo del tutto normale, anche se le sue tendenze appaiono diverse dalle tue o da quelle di altri ragazzi. E noi, mio marito ed io, fin dall’inizio lo abbiamo aiutato a essere ciò che si sentiva, pur educandolo in base ai principi di cui ti dicevo prima. Ti sto dicendo queste cose perché, sia da ciò che mi ha raccontato Stefi di te, ma anche dall’averti conosciuto ora di persona, vedo che sei un ragazzo molto intelligente e sei in grado di comprendere molte cose e capire meglio Stefi”.

Mentre la mamma mi parlava, Stefi si era allontanata ed era andata in camera sua. Rimasi a lungo a parlare con la signora, esprimendo il mio rammarico sul fatto che Stefi fosse talvolta presa di mira a scuola da altri ragazzi proprio per la sua diversità, e sottolineando il fatto che lei ed io, invece, avevamo allacciato la nostra amicizia grazie ad alcuni interessi che avevamo in comune.

L’assenza di Stefi si stava prolungando e a un certo punto cominciai a provare un certo imbarazzo. Ero contento di aver conosciuto la madre e avevo molto apprezzato l’atmosfera serena della famiglia, ma ora stavo perdendo interesse in quella conversazione e ardevo dal desiderio di stare da solo con Stefi.

Improvvisamente, Stefi ricomparve. Era una stupenda ragazza. Il caschetto di capelli biondi lisci le incorniciava il viso bellissimo, il naso piccolo e regolare, la pelle liscia e appena ambrata. Il trucco molto leggero (certamente appreso dalla mamma) sottolineava la forma delle labbra e della bocca e gli occhi dallo sguardo vagamente intrigante. Indossava una maglietta che lasciava scoperte le spalle e le braccia e seguiva morbidamente le curve non ancora formate del suo petto, ambiguamente appena arrotondato in corrispondenza dei seni. La gonna leggera sopra il ginocchio sottolineava le forme sottostanti ed evidenziava le sinuosità di fianchi ancora acerbi ma chiaramente già abbozzati come quelli di una ragazza.

Rimasi assolutamente sconvolto. Fissavo Stefi senza riuscire a dire nulla. Non udii neppure ciò che la mamma di Stefi mi stava dicendo. Cercai di riprendermi e dire qualcosa anch’io per non fare una brutta figura. Ma avevo la bocca impastata, le labbra secche e il respiro più affannoso. Dopo qualche minuto Stefi si alzò e mi chiese se volevo vedere la sua “tana”. Sorrise per quel termine. Mentre la seguivo nel corridoio mi prese per mano.

Ormai non capivo più nulla. Quel gesto molto intrigante di condurmi per mano e il contatto fisico del suo palmo e delle sue dita che stringevano le mie stavano provocando una tempesta incontrollabile dei miei ormoni. Stefi stava guidando, non so quanto consapevolmente per un’adolescente come lei, un gioco sottilmente erotico che il suo istinto femminile, già in via di pieno sviluppo, la stimolava a fare. E, indubbiamente, il visibile effetto che avevano su di me i suoi modi provocanti la gratificava molto come femmina.

Ma anche sua madre si era accorta di tutto e si era resa conto che il suo intento molto innocente di farmi conoscere meglio suo figlio stava scivolando lungo una china pericolosa che rischiava di farle perdere il controllo della situazione.

Permise a Stefi di farmi vedere alcune cose della sua stanza: i quadri, un album di stampe antiche e altre cose su cui non riuscii assolutamente a concentrami, anche perché Stefi si era messa un profumo che, standomi così vicino, mi inebriava e mi rendeva incapace di articolare anche la più semplice considerazione su ciò che mi stava mostrando. Potei notare soltanto di sfuggita che sulla sua piccola scrivania incassata nell’armadio c’erano varie riviste femminili, oltre ai libri di scuola.

Vidi anche che gli oggetti sul comodino e i vari soprammobili, così come l’arredamento nel suo complesso, mostravano che l’occupante della stanza era provvisto di una natura senz’altro più femminile che maschile.

La mamma di Stefi era tanto indulgente verso le tendenze di genere del figlio, quanto rigorosa nell’impedire che chiunque potesse approfittarne facendogli del male soprattutto psicologicamente. Era molto presente per evitare ogni contatto del figlio con adulti o con altri ragazzi più grandi non sufficientemente conosciuti.
Ma era anche molto attenta a vigilare che non facesse esperienze sessuali a quell’età e, forse, per questo, anche io dovevo essere tenuto sotto controllo. Mentre eravamo nella camera, lei rimase in piedi sulla soglia per tutto il tempo, osservandoci; poi prese la decisione di rompere gli indugi.

“Stefi, ricorda che dobbiamo preparaci per andare in piscina. Purtroppo non abbiamo più molto tempo per stare con il tuo simpatico amico.”

“Ma mamma,” protestò Stefi con un tono infantile che accentuava la sua femminilità “manca ancora più di un’ora!”

“Si, lo so. Ma a quest’ora il traffico è molto intenso e la piscina non è vicina. Bisogna prepararsi per tempo. Scusami,” disse rivolgendosi a me “non è per mandarti via. Anzi, è stato molto piacevole averti conosciuto e sono molto contenta perché sei un ragazzo veramente educato e gentile, ma purtroppo abbiamo questo impegno.”

“Si, signora, mi scusi” riuscii a balbettare “vado via subito. Non voglio che facciate tardi per causa mia.”
Salutai tutti con la morte nel cuore e corsi subito a casa.

Mi rinchiusi nella mia stanza in preda a una eccitazione indescrivibile e dopo essermi rapidamente spogliato cominciai a toccarmi pensando a Stefi mentre era vestita da ragazza, mentre mi prendeva per mano, mentre mi lanciava le sue occhiate maliziose, mentre mi stava molto vicina inebriandomi con il suo profumo. Mi ero già masturbato più volte in passato, ma quella volta fu un orgasmo lunghissimo, intenso e talmente profondo che mi lasciò completamente svuotato. Mi infilai sotto le coperte e mi addormentai.

Nei giorni seguenti Stefi fu un mio chiodo fisso. Non riuscivo assolutamente a non pensare a lei. Sperai di incontrarla mentre girovagavo intorno all’isolato della sua casa, spiando di nascosto le finestre e la porta. Non me ne ero reso conto, ma mi ero pazzamente innamorato di lei.

Purtroppo, però, quell’incontro fu il primo e l’ultimo con Stefi e dovetti seppellire per sempre i desideri che lei mi aveva acceso così intensamente. Al padre era stato proposto un avanzamento di carriera in una sede lontana e decise di accettarlo proprio in quei giorni. La famiglia si trasferì in meno di una settimana. Non vidi più Stefi e non la incontrai mai più.

Negli anni seguenti maturai sempre più le mie preferenze sessuali. Non ero assolutamente attratto dai maschi e le ragazze non mi stimolavano più di tanto. Ero invece straordinariamente eccitato dai trans e dai travestiti femminili.

Cercavo di nascosto riviste che parlassero di transessuali oppure decisamente pornografiche. Poi, quando scoprii internet, mi eccitavo tantissimo guardando le foto di transessuali nudi sempre in pose procaci e cariche di lussuria. Non mi piacevano i filmini, perché mostravano quasi sempre rapporti troppo vigorosi, quasi violenti, mentre io cercavo la tenerezza, l’erotismo, l’intrigo. Mi masturbavo spessissimo pensando a tutte le cose che avrei potuto fare con una transessuale.

Poi, in una fase successiva, cominciai a chiarire meglio la natura delle mie voglie. In realtà, desideravo fortemente di essere io stesso oggetto di desiderio di una transessuale più grande di me. Mi intrigava sempre di più la situazione nella quale subissi l’iniziativa di qualcuno che voleva dominarmi, come, d’altra parte, aveva fatto Stefi sul piano psicologico. Se avessi potuto continuare a frequentarla, infatti, Stefi mi avrebbe reso totalmente succube e chissà dove sarebbe arrivata esercitando un potere sempre più completo sulla mia mente.

Per parecchio tempo non osai mai cercare di concretizzare i miei sogni erotici: avevo troppa paura. A volte cercavo di passare con la mia bicicletta di sera nelle zone dove si prostituivano i transessuali. Ovviamente non potevo andarci troppo tardi e raramente ne vedevo. Quando mi capitava di scorgerne uno in abiti discinti e molto provocanti, anche se molto spesso decisamente volgari, scappavo poi a casa il più velocemente possibile per andarmi a masturbare.

Seguirà STORIA DELLA MIA VITA 2

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