Io e mia sorella: capitolo 1

Io e mia sorella: capitolo 1

La vita mi ha insegnato una dura lezione: condividere il DNA non implica appartenere alla stessa famiglia; è anche vero però che per essere della stessa famiglia non serve avere gli stessi geni.Mi chiamo Sara e sono nata nel 1997. Sono quella “ragazza qualsiasi” che si nasconde tra la folla che al mattino riempie le strade; sono il volto insipido che difficilmente resta impresso nella mente; sono la prima persona di cui dimentichi il nome dopo avermi stretto la mano e avermi detto “Piacere di conoscerti!”.
Potrei sbrodolarvi addosso tante informazioni tecniche su di me: colore dei capelli, la sfumatura imprigionata nei miei occhi quando il sole li colpisce al mattino, altezza o carnagione, corporatura e persino la taglia del reggiseno che indosso. A cosa servirebbe?Mi avete già immaginata, nella vostra mente: per alcuni ho le fattezze della vostra ex, per altri impersono una cotta segreta, quel desiderio mai tramutato in passione.
Metà di voi mi ha dato una quarta abbondante di seno (o addirittura una taglia maggiore, in tal caso sappiate che mi avete anche affibbiato una schiena curva per il troppo peso), mentre ciò che avanza di quella percentuale si divide tra una misura neutra e un “Se ti mettessi una tovaglia addosso potrei dire che ho apparecchiato la tavola!” (con un conseguente risparmio nell’acquisto dei reggiseni).
Potrei essere bionda, mora o rossa a seconda delle vostre fantasie più recondite, e nulla di ciò che mi verrebbe in mente di dire vi distoglierebbe dall’immagine che vi siete fatti di me. Potrei avere un fisico snello con muscoli in vista, oppure essere atletica ma non troppo, un metro e cinquanta e un tappo di bottiglia oppure alta al punto da poter giocare a basket. Potrei avere i fianchi abbondanti, la cellulite o essere tonica con una bassa massa grassa: sono io e non sono io. Un grande del ‘900 disse che siamo Uno, Nessuno e Centomila; sono nei vostri occhi l’immagine che vi siete dati di me e al contempo nessuna di queste.Sono nata in un piccolo paesino del nord Italia. Figlia unica, probabilmente un po’ viziata, avrei potuto avere tutto ciò che desideravo. Uso il condizionale perché, svoltato l’angolo, si nascondeva nel buio la parola che qualsiasi bambino o bambina non vorrebbe mai sentire pronunciare ai genitori: divorzio.
I miei si separarono quando avevo cinque anni; l’amore, quasi sempre, ha una data di scadenza.
Mia madre decise quindi che dovevamo trasferirci nella grande città che dava il nome alla nostra provincia, nella speranza di trovare un lavoro che ci permettesse di non dipendere da mio padre. Un’altra forte scossa di assestamento per il mio piccolo mondo, già instabile per quanto successo. Trovammo un modesto appartamento in un quartiere in cui gli affitti erano bassi e ne capii con il tempo la ragione: non si trattava di una zona ricca e benestante della città. Non c’erano giardini verdi e luminosi o persone in giacca e cravatta intente nelle loro telefonate di lavoro. I marciapiedi non custodivano né Ferrari né Lamborghini (ma nemmeno le più “semplici” Mercedes o BMW).
Il mio quartiere era, sostanzialmente, una piccola comunità dell’est asiatico: ci abitavano cinesi e giapponesi, indiani, filippini, bengalesi e pachistani. Quel pot-pourri di lingue e colori e tradizioni, quella magnifica eterogeneità di culture ed esperienze, invece di valorizzare ed arricchire il quartiere, com’è giusto che sia, l’aveva deprezzato. E, nei miei occhi di adolescente che iniziava a capire come andava il mondo, tutta questa ingiustizia faceva ribollire il sangue.Non è però dei miei interessi sociali e antropologici che voglio parlarvi.La vita in città, quando ci trasferimmo, non fu per niente facile. In mezzo a tanto buio, però, di lì a poco avremmo incontrato due piccole stelle.
C’è un piccolo parco accanto al mio vecchio appartamento: pochissime panchine (di cui la metà malferme sulle proprie gambe), un canestro senza la catenella e qualche albero a coronare il tutto. Io e mia madre eravamo solite passarci un po’ di tempo, il pomeriggio, quando la temperatura lo permetteva. A volte ci sedevamo su una delle panchine libere, se ce n’erano, e mi leggeva un libro di favole. Altre volte giocavamo a lanciarci la palla. Era il nostro momento speciale, qualcosa che condividevamo solo io e lei. Uno di quei pomeriggi però, si avvicinò a noi un signore giapponese (poteva avere l’età di mia mamma) che teneva per mano una bambina timida e impacciata. Chiese a mia madre se le andasse bene che io e sua figlia giocassimo un po’ a palla insieme e così fu.Con Nami – quasi mia coetanea, solo un anno in più pesava sulle mie spalle rispetto al carico che portava lei – fu amicizia a prima vista.
Ricordo che ogni pomeriggio, quando mia madre tornava dal turno di lavoro, chiedevo con insistenza di andare al parco per incontrare la mia migliore amica (l’unica amica che hai diventa per forza di cose la tua migliore amica). Quell’appuntamento giornaliero divenne un po’ la roccia intorno alla quale iniziammo a ricostruire le nostre vite. Né io (com’ebbi modo di capire una volta più grande), né mia madre eravamo più sole. Ciò di cui non mi stavo accorgendo è che, di pari passo all’amicizia tra me e Nami, anche qualcos’altro stava crescendo tra mia mamma e il signor Maeda.Dopo due anni, gli incontri al parco divennero inviti a pranzo la domenica. Dopo qualche avvicendarsi di stagione, gli inviti a pranzo mutarono in “Vi andrebbe di passare il pomeriggio da noi e restare poi a cena?”.
Io e Nami ci vedevamo quasi ogni giorno. Crescevamo insieme, incontravamo e lasciavamo per strada le prime cotte per gli attori famosi o i cantanti delle boyband, ci disperavamo per i compiti che non riuscivamo a completare mentre l’uno o l’altro genitore ci facevamo da babysitter. Discutevamo di favole e di sogni, di desideri, di principi e principesse, di “Io da grande farò la ballerina” e “Nami, fare la ballerina fa schifo, io voglio guidare il camion!” (sì, ammetto che avevo sogni modesti all’epoca).Fu all’incirca intorno ai miei dieci anni che mamma e Masafumi (che da tempo aveva insistito perché non lo chiamassi più “signor Maeda”) ci dissero che si erano innamorati.
Io ne fui contentissima: mi ero abituata alla loro presenza costante nelle nostre vite e, dopo tutto quello che avevamo passato (soprattutto dopo il vuoto lasciato da un padre assente la cui unica presenza era di fatto data dal mucchio di regali di compleanno che accumulavo senza interesse in cantina), quella notizia mi riempì di gioia. Nami, d’altro canto gelosissima di suo padre, non la prese benissimo.
Ci volle un po’ per convincerla della bellezza di quello che era successo; come biasimarla, d’altronde? Da quanto mi fu rivelato durante l’adolescenza venni a sapere che la madre li aveva abbandonati pochi anni dopo averla data alla luce; Masafumi, incapace di credere a quanto successo, dopo i primi vani tentativi non s’era più dato molto da fare per cercare di rintracciarla. Era più che ovvio che Nami avesse paura di avere una “nuova mamma” nella sua vita. Non so nemmeno immaginare a quali domande della figlia dovette rispondere Masafumi, né il modo in cui giustificò o meno l’operato della madre.L’anno seguente i nostri genitori decisero che sarebbe stato economicamente più conveniente vivere insieme. A dodici anni, la mia migliore amica divenne mia sorella.
Ci trasferimmo nell’appartamento di Nami perché era un po’ più largo del nostro monolocale ma, tuttavia, con una sola stanza per noi ragazze.
Sembra quasi scontato dire che, dopo un breve periodo di quasi freddezza, Nami iniziò nuovamente a “ricordarsi” chi fossi. Superammo i momenti di difficoltà e, com’era prevedibile, ci ritrovammo. Da quel momento in poi, giorno dopo giorno, iniziai veramente a sentire di far parte nuovamente di una famiglia: io e Nami non ci consideravamo più semplici amiche che condividevano i pomeriggi, le cotte o i compiti. Le nostre menti ancora giovani stavano incubando l’idea che vi ho esposto poco fa: “per essere della stessa famiglia non serve avere gli stessi geni”.Spero mi perdonerete se mi sono dilungata troppo sull’inizio della mia vita e, al contrario, se adesso salto a piè pari gli anni dell’adolescenza. Ciò che vi ho raccontato era fondamentale per comprendere la mia storia e quanto accadde gli anni seguenti non è di particolar rilievo. Noi quattro diventammo una famiglia a tutti gli effetti. Questa è l’unica cosa che conta.La svolta accadde in tempi più recenti: due anni fa, a ventiquattro anni suonati io e ventitré Nami.Entrambe studentesse universitarie, da pochi mesi io e lei ci eravamo trasferite in una casa tutta nostra. Il desiderio di indipendenza dai nostri genitori si era fatto forte e, con qualche sacrificio ulteriore, mamma e Masafumi ci avevano accordato l’affitto di una piccola abitazione un po’ più in centro città rispetto all’estrema periferia del nostro appartamento. Non che la situazione fosse comunque variata di molto: cambiammo un bilocale per un altro, avremmo continuato a condividere l’unica camera da letto disponibile (dove, quantomeno, la proprietaria di casa ci aveva accordato di sostituire il letto matrimoniale con due letti singoli).
Quella “fatidica sera di luglio”, passata da poco la mezzanotte, eravamo di ritorno da una piccola festa con pochi intimi a casa di una nostra amica.
Avevamo bevuto entrambe un po’ (sì, forse io un po’ più di Nami) e ricordo vagamente che iniziai a blaterare a ruota libera, come sempre faccio quando sono un po’ ubriaca, sulle questioni “pratiche” del mio orientamento sessuale. Potrei riassumere in:“… parole che non ricordo… sproloqui vari… Elisa era una stragnocca con quel vestito stasera, ma anche Luca non scherzava. Hai visto quando si è tolto la camicia perché se l’era macchiata? A volte invidio tutto il resto del mondo che ha deciso di parteggiare per una sponda o per l’altra. Non hai confusione! O ti piace il pene, o ti piace la vagina – potrei non aver usato questi esatti termini – . Non hai confusione! No, invece io dovevo per forza farmi piacere…”Non so se mi fermò proprio in quel punto mentre stavo esprimendo la mia invidia per le persone non bisessuali e la loro mancanza di confusione, comunque mi interruppe e disse solo due parole: “Sono gay!”.
Io la guardai in faccia e, per quanto i fumi dell’alcool me lo concessero, capii che le era costato parecchio dirmi ciò che io avevo comunque intuito già da tempo. Le diedi un piccolo scappellotto in testa come tantissime volte in passato avevo fatto e le dissi “Perché ci hai messo così tanto a dirmelo?”.
Non le diedi nemmeno il tempo di rispondere, l’abbracciai stretta. Su certe cose eravamo quasi telepatiche e so che, in quel preciso momento, tutto ciò di cui aveva bisogno era un abbraccio da parte mia e la rassicurazione che niente sarebbe cambiato.La abbracciai forte per diversi secondi, sentendo quasi le lacrime rigare il suo volto e appiccicarsi al mio (cosa che effettivamente vidi quando mi separai da lei). Le diedi un fazzoletto e le dissi che era una deficiente. Per quel che mi riguardava, la notizia per me equivaleva a un “Mi piace quel libro piuttosto che quell’altro”. Non mi importava se le piacesse il pene, la vagina o l’ascella (sì, dissi proprio “l’ascella”, cosa che la fece alquanto ridere, per fortuna): era mia sorella, e qualunque scelta avesse fatto, per me andava bene.Poi successe.Le diedi un bacio a stampo sulle labbra. Era già capitata, in passato, una cosa del genere. Scherzi fra sorelle, gesti d’affetto nei momenti di difficoltà, era solo questo. Lei sorrise, io sorrisi, ma dentro di me intuii che quel bacio a stampo aveva una nota nascosta che non mi era familiare. Diedi la colpa agli effetti dell’alcool e non ci feci caso.Rientrammo a casa; pigiama, dentifricio e spazzolino e a nanna.
Non riuscii però a prendere sonno, troppi pensieri mandavano a quel paese Morfeo e lui, indispettito, aveva deciso di lasciar perdere.
Decisi allora di ricorrere alle maniere forti per stancarmi.Infilai una mano sotto i pantaloni del pigiama, dentro gli slip, e tastai: di rimando, la mia Ornella mi disse che il tempo lì sotto era umido ed erano attese enormi precipitazioni. Non mi ci volle molto per rendermi conto che le “enormi precipitazioni” erano più vicine di quanto pensassi.
Sentii il clitoride voglioso sotto le mie dita e iniziai ad accontentare i suoi desideri, schiava di pensieri morbosi senza forma che si amalgamavano con i resti di una sbronza e un bacio che forse non doveva essere dato, ma che ormai aveva lasciato un’orma nella mia mente. Le dita si misero in coda per entrare nell’ufficio di Ornella: il primo dito entrò subito, il secondo seguì poco dopo e arrivò anche il terzo prima che la campanella suonasse l’orario di chiusura e non ne ammettesse altri (com’avrei potuto infilare il quarto, non saprei).
Volevo fare piano per non farmi sentire da Nami, volevo correre per seguire l’impeto del momento, quindi scelsi un mix tra i due. Infilai il lenzuolo in bocca per impedire a qualsiasi gemito o vocalizzo insolito di interrompere la continuità dei sogni su cui, ne ero certa, Nami stesse ispezionando la qualità.
Decisi di tirar fuori le dita, troppo frementi, e assecondare nuovamente un massaggio. Sentivo i capelli di Ornella attorcigliarsi tra di loro mentre martellavo un clitoride ormai prossimo a urlarmi contro “Sono stanco, sconquassato, ma continua, per favore!”
Venni. Ancora e ancora. E con l’alzarsi della marea nei miei slip, arrivò anche Morfeo che accettò quasi subito di darmi un passaggio sulla sua barca, per cavalcare insieme le onde che il mio corpo aveva generato.– continua

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19 thoughts on “Io e mia sorella: capitolo 1

  1. lumachina

    una volto glielo feci un bocchino al suo compleanno se mi avesse ricambiato bacinadomi e leccadomi, mi piacque ma capivo che non poteva essere troppo pericoloso anche per l’innamoramento quindi troncai subito dopo.

  2. teresina

    in astinenza si possono fare cose impensabili, io spompinai mio fratello più piccolo, non lo avessi mai fatto, mi ha rotto l’anima per i giorni successivi, ma glielo dissi che era una volta sola e basta mai più, non sapevo più come togliermelo di torno, così convinsi una mia amica a fidanzarsi con lui, ci riuscii per fortuna, devo dire che mi piacque spompinarlo per sentire il suo nettare, non sono ninfomane ma sono curiosa di natura, però meglio evitare i fratelli.

  3. piggy

    che dire i maschi sono porci ma non ne possiamo fare a meno, mio fratello mi accarezzo tra le cosce e mi sfiorò le grandi labbra, mi piaceva e ridevo soddisfatta, ma non pensavo minimamente che quel dito se lo leccasse come se lo avesse immerso nel miele, da quella volta non sono stata più la stessa ragazzina, volevo un ragazzo altrettanto porco, ma non mio fratello, volevo un estraneo che mi confermasse d’essere bella e gustosa, dopo vari tentativi ne trovai uno veramente porco, oltre a leccarmi direttamente fin dove poteva con la lingua voleva anche che gli facessi la pipì sulla faccia, sbigottita ma curiosa mi convinse e gliela feci tutta, era eccitato e turgido sembrava scoppiasse, si smanacciò un poco e poi venne con degli schizzi sulla mia schiena, cazzo esclamai ma che ahi un idrante? Mi disse ti amo dammene ancora, mi sforzai ma non ne avevo più, mi lecco e succhiò la farfallina bagnatissima procurandomi un orgasmo, pensai sarà un porco ma io mi sento una maiala!

  4. frank

    la prima figa assaggiata è stata quella di mia sorella, mi riempì di schiaffi e calci insultandomi, ma che esperienza elettrizzante assaggiarla, ne sentivo l’odore invitante e d’istinto gliela bacia e leccai, ma le botte che mi diede ancora le sento, non reagii e presi e zitto senza nemmeno scappare, mi resi conto della stronzata fatta, però glielo dissi che aveva un buon profumo era buona gustosa e non ho resistito a quel richiamo, mi diede altre botte dicendomi ma adesso è pure colpa mia? Porco! Non lo dico a mamma e papà perché ti voglio bene, ma non ci provare più o ti massacro di calci alla palle intesi? Finì tutto li, ma poi trovai una ragazza mi presi una cotta per lei, oggi è mia moglie e me la posso leccare quando voglio senza prendermi botte e insulti, anzi è il contrario se non gliela bacio e lecco mi prende a schiaffi.

  5. tiziana.K

    per me è stata una cosa naturale segare mio fratello, come per lui farsele fare, mi piaceva vederlo godere e smaniare, mi piaceva tenerlo in pugno e farlo venire a mio piacimento, lo accontentavo era mia premura farlo anzi dovere visto che con me era sempre gentile e disponibile, iniziò tutto quando gli chiesi se mi massaggiarmi un pochettino la schiena e le gambe, si dimostrò bravo e paziente ma vedevo in lui una certa eccitazione quando mi accarezzava, un paio di volte mi baciò i glutei, non lo rimproverai, capivo che io lo eccitavo, allora mi son sentita in dovere di aiutarlo facendolo sfogare, fu facilissimo e molto bello tenerlo su con le mani fino a farlo eiaculare con più schizzi, mi bagnavo la mano ne sentivo il calore e la delicatezza come seta oltre a quel particolare odore che non è paragonabile a null’altro ma si insinua nel cervello come un forte desiderio di piacere, poi una volta mentre andavo in bagno e senza farmi vedere lo assaggiai, viscoso e dal sapore salato e acidulo ma molto intrigante che mi ha disinibita.

  6. carlotta

    ma infatti tiziana.k i maschi sembrano hanno una concezione strana arcaica di noi femmine come se fossimo prive di istinti e desideri forti quanto loro, a me i maschi sono sempre piaciuti anche troppo, tant’è che non mi sono fatta mancare anche mio fratello, mi piacciono per la virilità e quell’attrezzatura particolare che si vantano d’avere tra le gambe, mi piace eccitarli e giocare con loro per farli scoppiare di liquido seminale a mio piacimento, non sono ninfomane ma trovo molto piacevole intrattenersi con un maschio virile e pieno di sorprese come mio fratello per esempio, che non pensavo minimamente potesse avere quelle dimensioni poco sopra la norma e con un potenziale seminale ragguardevole, la prima volta rimasi sorpresa da chiedergli da quanto tempo non fiottava, mi sbigottì asserendo che era da poche ore lo aveva fatto con la sua raga, rimasi basita ma non convinta, troppa roba per così poco tempo, ho abbastanza esperienza per sapere quanto tempo occorre ad un maschio ricaricare il bazooka, così lo misi alla prova e 5 ore dopo ripresi per mano mio fratello per portarlo nella mia camera da letto e li constatai non solo l’efficienza e virilità ma la quantità di crema in grado di emettere con più fiotti, cazzarola che spettacolo pirotecnico, ma poi ci siamo guardati negli occhi con serietà e quasi contemporaneamente ci siamo detto: ora ci siamo rovinati la vita, ma vedrai troveremo una soluzione, prima o poi ci stancheremo, non avrà futuro questa smania tua e mia, infatti la tresca tra noi durò circa due anni, poi tutto fini scemando, ma in quel periodo che scorpacciate di crema alla frutta, a volte salata a volte acidula con un odore pungente ma invitante e soprattutto per me aveva un potere calmante e rassicurante.

  7. marika

    se fossero meno stronzi e violenti sarebbe molto meglio per noi, ma secondo me non impareranno mai ad esserlo nei nostri confronti, a me non dispiaceva scopare con mio cugino, solo che diventava energumeno e poco incline a trattarmi con rispetto, se certe cose maialesche me le avesse chieste con garbo le avrei fatte per godere insieme, invece lo stronzo mi ha forzata ad avere un rapporto anale doloroso, è vero che poi dopo ho goduto ma se mi avesse dato il tempo non avrei provato dolore schifo e un senso di abuso quasi da denunciarlo, poi dopo mi sono calmata e gli dissi che non avremmo avuto nessun tipo di rapporto nemmeno una carezza, e che se non lo denunciavo era solo per i buoni rapporti tra cugini e il rispetto verso gli zii a cui voglio bene. Peccato perché mi piaceva molto fino a quando quella smania tutta maschile di confondere la virilità con la sopraffazione sessuale verso la donna che si desidera sessualmente.

  8. ada24

    hai ragione sapessi quante seghe ho fatto a mio fratello nemmeno ai mie ex ne facevo così tante, mia avesse mai ricambiata con un cunnilingus, stronzi egoisti i fratelli

  9. dalia

    vero confermo, mio fratello di tre anni più piccolo mi corteggiava ma non mi aspettavo che fosse feticista, mi voleva baciare e leccare i piedi rimasi sbigottita ma anche incuriosita perché è come se sapesse della mia fantasia così acconsentii, poi però mi resi conto che dovevo placare la sua eccitazione e con i piedi lo masturbavo, insomma un maiale ma a me piaceva perché nessuno dei mie raga mi realizzava questo sogno e piacere particolare.

  10. Camelia

    se foste meno egoisti voi maschi e meno stronzi sarebbe un mondo quasi perfetto, ho sempre avuto un ottimo rapporto con mio fratello e non mi sono mai negata quando mi chiedeva di segarlo per farlo godere, mi piaceva farlo, mi piaceva averlo in pugno, mi piaceva vederlo godere, ma mai una volta mi ha ricambiata con un cunnilinguo come desideravo facesse, voleva ricambiare penetrandomi cioè scopandomi come un femmina qualunque ma io non volevo e non glie l’ho mai permesso.

  11. Carla

    non esiste nulla di male se si ha rispetto uno dell’altra, con mio fratello ho sempre avuto molta intimità e non stato difficile accontentarlo per farlo diventare un bravo ragazzo, praticamente è cresciuto nelle mie mani, ho iniziato a placare i sui istinti animaleschi fin dall’età di 14 anni, mi diceva che ero io ad eccitarlo con la mia bellezza profumo di femmina, rimasi sconcertata ma capivo cosa suscitavo in lui, mi sentivo un pochettino in colpa e quando mi chiedeva di potermi toccare o annusare mi piaceva mi dava coraggio mi faceva tenerezza e quindi tra una confessione e l’altra una carezza e l’altra ho iniziato a segarlo con molto piacere

  12. Sandra

    ciao sono Sandra, per mio fratello sono stata la prima passera baciate e leccata, ne fui fiera e estasiata per la maestria di come lo faceva, pensavo che i ragazzi fossero tutti bravi invece con il passare degli anni l’unico capace di farmi volare era mio fratello, lo adoro!!!

  13. ulderica

    a volte in famiglia si hanno delle piacevolissime sorprese come per il mio fratellino, lo vidi nudo a 13 anni e già mostrava un bel pacco, quando poi a 15 lo rividi nudo con un pisello da porno attore non me lo feci scappare, dissi tra me e me: ma chissenefrega degli aspetti morali, dobbiamo solo godere uno dell’altro, infatti non fu difficile poi per un ragazzo figuriamoci non pensava ad altro che ala sesso, tutto più facile e tutto meravigliosamente svolto tra le mura domestiche in camera mia o sua a scopare come due conigli in amore, averlo in casa un maschi di quelle dimensioni a propria disposizione rende felici.

  14. Gianni

    per la mia vita adolescente si fatte tante masturbazioni nel vedere sorelle e cugine di nascosto ma quello che mi a insegnato la vita e ne sono assolutamente sicuro nel rispettare il gentil sesso essendo .siete le colonne di questo mondo molto maschilista

  15. lavitavagoduta

    vero anzi verissimo io ho un fratello sportivo e ben messo la in mezzo alle gambe e quindi sapevo che mi spiava e poi si segava, una volta lo sorpresi mentre aveva in mano dei miei collant annusandoli, gli dissi cosa facesse e lui senza scomporsi mi disse che gli piaceva il mio odore naturale, un pochettino sorpresa ma molto compiaciuta sorrisi dicendogli che non avrebbe dovuto per motivi igienici, la risposta mi sorprese veramente, disse che sapeva benissimo della maniacale pulizia e igiene che sarebbe stato capacissimo di baciarmi i piedi o bere del prosecco dalle mia scarpe con tacco! Rimasi imbambolata mentre sorrideva con soddisfazione, mi balenavano per la testa cose strane pensando che nessuno dei miei ex mi aveva mai confessato nulla di così sensuale ed erotico, ma non stetti zitta e per istinto gli dissi che lo avrei messo alla prova appena possibile, successe e fu un delirio di godimento, gli dissi ad alta voce che la falsa moralità poteva andare affanculo che tra noi l’affetto non era un peccato nemmeno un reato.

  16. alessietta

    ho segato talmente tanto mio fratello che mi slogai gomito, poi provai con la sinistra ma non gli piaceva e non sapendo più come accontentarlo gli proposi di farlo con i piedi, impazzì di gioia specialmente quando smaltavo le unghie, mi venne persino paura che gli prendesse un coccolone, invece godeva da urlo, e pensare che la mio ragazzo non piacevano i miei piedi, a mio fratello invece moltissimo credo ne fosse feticista, sono stata fortunata ciò che non piaceva al mio raga piaceva a mio fratello.

  17. Brennet

    chi vi capisci a voi femmine, mia sorella si faceva leccare la farfallina fino all’orgasmo ma mi ricambiava con una sega, volevo lo stesso trattamento ma nemmeno se mi mettevo in ginocchio a leccarle i piedi come ho fatto diverse volte, a lei piaceva la mia lingua ma non mi ha mai ricambiato con un pompino, ero disposto a tutto ma nulla la convinceva, glielo dicevo che prima o poi lo avrebbe fatto ad un suo fida, perché non farlo a me? Ma nulla da fare, la servivo come una principessa, l’accarezzavo, leccavo piedi e quel paradiso in mezzo alle cosce dalla carne rosa e succulente riuscivo perfino a farla venire nella mia bocca per farle capire quando fossi succube della sua femminilità ma niente solo seghe al massimo con i piedi.

  18. sally

    ho visto mio padre che leccava la passera a mia madre che godeva moltissimo, allora io ho convinto mia fratello a fare lo stesso con me, che goduria pazzesca, non sapevo si potesse fare, poi però mio fratello voleva essere ricambiato ma non avevo il coraggio allora lo segavo con mani e piedi così lo accontentavo

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