Il vizio del lupo

Il vizio del lupo

IL VIZIO DEL LUPO Ero piccola ma non del tutto innocente. Nel garage di nonna avevo trovato delle vecchie riviste, nascoste sotto i cuscini di un vecchio divano. C’erano donne e uomini nudi, ne ero rimasta attratta subito. Mi ero sentita in errore, perché sapevo che non avrei dovuto guardarle, ma ero sola e nessuno lo avrebbe scoperto. Il divano era coperto da lenzuola, in genere mi sedevo sopra a quelle, quel giorno invece le avevo scostate e, muovendo i cuscini avevo trovato quel tesoro. Ossessionata, ogni volta che andavo da nonna, sgattaiolavo in garage per guardarle. Sfogliavo le pagine con trepidazione, sentendo un emozione nella pancia. Il sesso e tutte le emozioni e sensazioni che regala mi era del tutto sconosciuto. Sapevo che era un tabù, per me, che ero ancora piccola. Sapevo che la donna ha la vagina e l’uomo il pene, ma non sapevo come dovessero venire a contatto per fare sesso. Me lo spiegarono quelle riviste. Le immagini riflettevano un piacere che non sapevo spiegare. C’erano donne che prendevano bocca una forma potenziata dei piselli. Io lo avevo visto a mio padre, quando si alzava di notte per bere: accendeva la luce dell’ anticamera e andava in cucina, poi controllava che io dormissi. A volte ero sveglia, ma fingevo di dormire. Tenevo gli occhi socchiusi, che a lui parevano chiusi, nel buio della stanza, ma io potevo vedere la sua nudità con la luce del corridoio. Il pisello di papà non era dritto come quelli delle riviste. Ciondolava tra le sue gambe, cadeva verso il basso molle, per una decina di centimetri. Solo poche volte lo avevo visto bene, in estate al mare, durante il riposo pomeridiano. Lui dormiva nudo, la mamma lo lasciava dormire e andava dalla vicina. Quando lei usciva, io restavo nel mio letto aspettando di sentirlo russare o il suo respiro pesante. Quando lo sentivo mi alzavo e andavo vicini alla porta, dormiva quasi sempre a pancia sopra, quindi il pisello era in mostra. Ma era sempre molle, sdraiato tra le due gambe. Sembrava largo come quello delle riviste, ma non dritto. E la punta era rosa, non rossa o viola come gli uomini del giornale. Erano interrogativi importanti per me, perché non capivo, mi mancava un passaggio. Avendo la vagina, non potevo capire. Dai quei giornali capii che il sesso, però, doveva essere piacevole. Le espressioni delle donne, di quanto gli uomini le invadevano, erano di piacere. Poi, nella mia innocenza, pensavo che se tante donne lo facevano, doveva essere piacevole. Cominciai a toccarmi tra le gambe, esplorando il mio corpo, cercando di capire dove fosse quel buco in cui sparivano i piselli, per poi riaffiorare l’immagine dopo. Ogni tanto si aggiungeva una rivista e io la divoravo con ingordigia. Scoprii presto che toccarmi il bottoncino mi dava più piacere che il buchino stretto tra le labbra, così cominciò il mio periodo masturbatorio. Mi piacevano le immagini in cui un uomo leccava la donna tra le gambe e poi gli infilava il pene standole alle spalle. Arrivò un fumetto coi dialoghi e imparai che nel sesso il pisello si chiama cazzo e il liquido che ne esce, sborra. Che la vagina è la fica e che le donne, quando godono, amano farsi chiamare troia o puttana. Nella mia innocenza pensai fosse perché riconoscevano che fare certe cose le esponeva ad essere giudicate come poco di buono. Però solo un quei momenti. In una delle storie c’era una professoressa con degli studenti, durante il sesso le dicevano che era una puttana e lei ne gioiva, richiedenso di essere chiamata in quel modo, ma dopo aver goduto, mentre si stavano rivestendo, i ragazzi tornavano a darle del lei e a chiamarla prof. Mi toccavo da sopra i vestiti e il piacere che provavo era strano, era una sorta di brivido. Andò avanti così per un paio di anni, poi successe qualcosa che mi aprì al mondo del sesso. Diventai signorina in prima media e con le perdite arrivarono anche le prime forme. Mi sentivo a disagio, ero l’unica in classe. Io portavo il reggiseno e loro, in palestra, quando si spogliavano o avevano dei top o nulla. Erano piatte mentre io avevo già le tettine coi capezzoli esposti. Ma anche i fianchi si erano arrotondati e avevo cominciato una peluria sulla vagina. Non volevo nulla di tutto quello, ma cambiavo idea quando andavo nel garage e leggevo quelle riviste. Mi sentivo più simile a quelle donne e, in segreto, anelavo di poter fare sesso. Volevo provare quel piacere che era dipinto sui loro volti o gridare il godimento come lo leggevo nei fumetti. Quel “sììì, godo! Sto venendo!” era così eccitante. La mia masturbazione continuava e avevo notato che qualche volta, dopo averlo fatto, avevo le mutandine bagnate. Stupidamente pensai fosse pipì. Un pomeriggio, nel mese di luglio, a casa di nonna, cercavo mia cugina, di quattro anni più grande. Lei era quello che io volevo diventare da grande. Aveva belle gonne e magliette e mi lasciava provare i suoi vestiti. Chiesi a nonna dove fosse e lei mi disse che forse era nel bagno esterno, a lavare la sua biancheria. Era una lavanderia ormai ma era nato come un normale bagno, solo fuori di casa. La porta era chiusa, bussai ma non mi rispose nessuno. Entrai piano, temendo di spaventarla, ma appena aperta la porta sentii l’acqua della doccia scrociare. Si stava lavando? Pensai che forse, con il caldo… Stavo per uscire quando sentii una voce maschile dire «cazzo, sì! Succhia! Succhia! Sto venendo!» La scena sul fumetto si formò nella mia mente e feci alcuni passi avanti, troppo curiosa. Dietro l’angolo c’era la doccia ricavata nel muro, lunga e stretta, senza la tenda. Mio cugino Mario era in piedi sotto l’acqua, si manteneva con le mani alle pareti, mia cugina Nadia, sua sorella, era in ginocchio sul pavimento, con il cazzo del fratello in mano e in bocca. Non mi videro e io scappai fuori, stravolta. Era una cosa sbagliata! O no? Sapevo che tra fratelli o cugini non ci si poteva sposare, ma non mi era chiaro se quello era concesso. Mi rintanai in garage, pensierosa, poi presi uno dei fumetti e cercai la fine quando l’uomo raggiunge il piacere e grida le cose che aveva detto mio cugino. Chiusi gli occhi e rividi la scena, mia cugina con in bocca e in mano il pene del fratello. Lui che le ordinava di succhiare. Cercai un altro giornale e vidi una scena simile. Una donna con la bocca aperta e un uomo che le scaricava in gola la sua sborra. Con le dita sul clitoride venni godendo prepotentemente e subito sentii le mutandine bagnate. Pensando di aver fatto la pipì e di doverne fare altra tornai verso il bagno. Trovai Nadia davanti alla porta di casa e sperai che Mario l’avesse preceduta. La porta del bagno era aperta, significava che era libero. Mi fiondai dentro e mi sedetti sulla tazza, feci poca pipì, poi cercai la carta per pulirmi. Non ce n’era nel portarotolo quindi saltellai con le mutandine fino alle caviglie fino al cassettone, dove sapevo di trovarla. Mi pulii poi toccai le mutandine ed erano fradice, le tolsi e cercai in un altro cassetto degli slip. Sapevo di poter trovare anche qualcosa di mio. Mi piegai rovistando nel cassetto, mantenendo la gonna intorno alla vita. Poi scorsi un movimento con la coda dell’occhio e lo vidi nello specchio. Mio cugino era ancora in doccia, aveva un asciugamano sulle spalle ma non si stava asciugando, aveva le mani tra le gambe, il pisello in mano. Mi stava guardando. Ebbi paura, più che mi sgridasse in realtà e feci finta di non vederlo. Cercai le mutandine e quando le trovai le indossai. Mi voltai dalla parte opposta e gettai le mutandine sporche nella vasca del bucato. Sarei tornata a lavarle più tardi. Uscii dal bagno ed entrai in casa chiedendo a nonna la merenda. Dopo una buona mezz’ora vidi mio cugino andarsene e io tornai di sotto, andai nel bagno per recuperare le mie mutandine. Erano nella vasca ma sul lavatoio, non dove le avevo lasciate. Le presi in mano ma subito le lasciai cadere, erano zuppe di un liquido bianco, forse sapone? Ma non ne aveva l’odore. Incerta le toccai di nuovo poi mi portai le dita al naso. Era un odore strano, come di cloro, ma non era possibile. Le sciacquai pensierosa non trovando risposta. Ma la risposta la trovai la settimana dopo. Sentii lo stesso odore sulle pagine di una di quelle riviste in garage. Avevo sempre pensato fossero di mio cugino, più grande di me di una decina di anni, ma non avevo mai pensato, nella mia innocenza, che anche lui le usasse per masturbarsi. Capii subito che quelle macchie sul giornale era la sua sborra e che quello era il suo odore. Fossi stata più innocente, avrei avuto paura della conclusione a cui ero arrivata, invece… ne fui attratta.

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9 thoughts on “Il vizio del lupo

  1. Pauler

    Spero di leggere il continuo al più presto, l’ho trovato molto eccitante, anche perché mi ricorda tutto il racconto di mia moglie della sua adolescenza e i primi contatti con il sesso e tutto quello che ha fatto prima di conoscerci e innamorarsi, non pensare che siamo anziani, siamo giovani, ma a me questa cosa eccita molto

  2. Pauler

    Buongiorno, senz’altro nel tuo, poi col passare delle varie esperienze di qualche anno si è trovata ad essere tua cugina con la figlia della vicina

  3. Franco

    Racconto inverosimile,. Il padre al mare d’estate dorme NUDO con a figlioletta in giro? e poi è da s*** farlo, credibile invece se avesse avuto le mutande . Quando leggo queste assurdità, mi fermo e lo ignoro.

  4. Qualchetrasgressione

    se la tua famiglia era chiusa, non so che dirti, non hai cmq diritto di giudicare la mia
    in casa non c’è mai stato il tabù della nudità
    forse sei troppo giovane o ripeto, di famiglia bigotta
    non sei il primo/a che incontro che resta scioccato/a, ma da qui a dire che è falso o giudicare s*** (che non so cosa sia ma non credo sia un complimento) non è giusto, è solo diverso da come sei cresciuto tu.
    inoltre non ho detto che mio padre andava in giro con il cazzo in mano o che tutto il giorno girava nudo
    era nel suo letto, nella sua stanza, ero io che andavo a vederlo per saziare la mia curiosità
    se non ti senti libero di stare nudo in camera tua .. che brutta vita che fai

    e ora non rispondere che anche io giudico, tu lo fai a me e facendolo mi dai il diritto di farlo
    cmq, se il racconto ti fa schifo e non lo hai letto tutto, evita di commentare

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