IL VIZIO DEL LUPO 2

IL VIZIO DEL LUPO 2

Erano le feste di Natale e come ogni anno la famiglia si riuniva. Pranzo a casa di nonna.
Da quell’episodio le mie visite al garage non erano diminuite ma non avevo più avuto modo di beccare i miei cugini insieme né di parlare con mia cugina. Non sapevo che dirle, ammettere di averli visti mi sembrava sbagliato.
I pranzi delle feste durano tutto il giorno, ad un certo punto, nel pomeriggio, mio cugino se ne andò. Ero incapace di non gettargli occhiate, anche se innocenti e vederlo andare via mi intristì. Poco dopo se ne andò anche mia cugina. Lei era un adolescente, forse in prima o seconda superiore, mi chiesi dove potesse andare nel giorno di Natale. La vidi entrare nel bagno in cortile e pensai si stesse cambiando per uscire. Scesi di sotto per vedere cosa avrebbe indossato e per vedere se aveva vestiti nuovi, o magari qualcosa che non le andava più e che poteva darmi.
Entrai in bagno piano, sempre per non spaventarla ma non la vidi, mi guardai attorno poi vidi nello specchio mio cugino. Ci guardammo ed ebbi un pensiero squassante: che mi avesse vista anche quella volta?
«È solo il vento, continua» disse e sentii dei rumori strani, poi un respiro concitato.
I miei occhi erano fissi nello specchio, in quelli di Mario.
«Aspetta fammi appoggiare» disse poi si mosse, il suo viso uscì dalla mia visuale ma vidi mia cugina di schiena che muoveva la testa all’altezza della vita del fratello.
«Ah, sei proprio brava a succhiare il cazzo sorellina»
Lei fece un verso, mi sembrò volesse alzarsi ma lui le tenne la testa ferma.
«Fammi sborrare, dai, poi ti scopo»
Le tenne la testa e vidi il bacino di lui muoversi, ansimò pesantemente poi disse «Ingoia tutto, si che ti piace!» poi fece un verso prolungato.
Poi gli tolse il cazzo di bocca, la fece alzare e appoggiare al muro, girata di schiena verso di lui.
«Lavati altrimenti mi metti incinta» lo riprese lei.
«Dopo non devi vedere il tuo ragazzo?»
«Sì, ma che c’entra!»
«Fatti scopare così se ci resti dai la colpa a lui!»
Lei si stava lamentando ma lui agguantò il suo pisello e lo spinse tra le sue gambe.
Nadia fece un gridolino, poi vidi i fianchi di Mario muoversi con frenesia.
«Fai piano! Ma cosa hai oggi?»
«C’è tutta la famiglia! Siamo a rischio… ce l’ho durissimo»
«Porco» disse Nadia ridendo.
«Sai credo che la nostra cuginetta abbia trovato le nostre riviste» ebbi un brivido, sapendo parlava di me.
«Te lo avevo detto che non era sicuro lasciarle sotto i cuscini.»
«Mi piace che le guardi»
«E se lo dicesse a qualcuno?»
«Saremmo già nei casini non credi? Secondo me si tocca la fichetta»
«Ma va! È troppo piccola! È ancora una bambina!»
Sentirmi definire bambina fece scattare qualcosa in me, nervoso e dissenso.
Non ero una bambina, sapevo cos’era il sesso!
Mi misi una mano tra le gambe, sollevai la gonna e toccai la mia intimità. Guardare loro era eccitante, avevo subito sentito un prurito tra le cosce, come quando ripensavo a quella scena nella doccia, ma non mi ero mossa temendo di fare rumore.
Ma ora erano loro molto rumorosi sentivo chiaro il rumore dei loro corpi che si schiantavano e il piacere di entrambi nelle loro voci.
«Secondo me no. Siamo porcelli di famiglia! Lo sai che lo zio si scopava la ragazzina che aiutava la zia, quando aveva appena partorito. Una ragazzina che viveva con le suore…» quando lo disse, diede due colpi forti.
«Ma cosa vuol dire…» provò a dire in un gemito Nadia.
«Quando ti ho mostrato il cazzo duro la prima volta, due anni fa, non ti ha fatto schifo, lo hai subito preso in mano, non ti sei spaventata perché siamo fratelli.»
«Ma lei è più piccola»
«Potrei provare a farglielo vedere, che dici? Magari le piace.»
«Sei un porco pervertito!»
«E tu che mi succhi il cazzo da due anni cosa sei? Hai voluto fossi io il primo a scoparti! Avevi solo quattordici anni, sorellina!» ancora le diede dei colpi decisi.
«Cosa sei, sorellina? Dimmelo!»
«Dimmelo tu» uggiolò lei.
«Sei la mia puttana, la mia sorellina puttana! Cr**to Dio P***o!» poi fece quel verso come prima e mia cugina cercò di divincolarsi.
«Ma sei un coglione? Mi sei venuto dentro?»
Lui le strappò i calzoni e la spinse in doccia «Ti lavo dentro, dai!»
Appena aprirono l’acqua io me ne andai.
Restai il resto del pomeriggio con un fastidio tra le gambe. Avevo le mutandine bagnate ma non era solo quello. Era come se il prurito fosse rimasto, anche se mi ero toccata.

Verso sera arrivammo al dolce, finalmente.
Mia cugina era ancora fuori, da qualche parte, con un ragazzo sapevo, mio cugino tornò.
Venne servito il pandoro con la crema al mascarpone, lui prese posto accanto a me sul divano.
«Cosa ti ha portato Babbo Natale?»
«Non esiste! Non sono più una bambina!» lo dissi con certezza spavalda, ma ero ancora troppo innocente per capire che lo aveva chiesto apposta. Sapeva che avevo sentito tutto, anche se non ero più stata a vista, ma sapeva che non me ne ero andata. E facendo quella domanda aveva suggerito quella risposta.
«E quindi chi li porta i regali?»
«Mamma e papà!» risposi scocciata.
«E se ne avessi io uno per te? Lo vorresti?»
Lo guardai stranita e lui continuò sottovoce.
«Ti faccio vedere da vicino quello che hai visto oggi e che vedi sui giornali in garage. Ti va?»
Avessi detto no, sarebbe finita lì, non avrebbe insistito, ne sono quasi certa.
Ma ero curiosa e non volevo pensasse fossi ancora una bambina.
Annuii e lui si leccò le labbra guardandomi in un modo che mi fece scoppiare il cuore.
Disse alla madre che aveva lasciato il portafoglio dal suo amico, che doveva andare a prenderlo, poi chiese a mio padre se potevo accompagnarlo: se il suo amico e la sua famiglia mi avessero vista, non lo avrebbero trattenuto e magari in un oretta saremmo tornati, in tempo per una partita a tombola.
Appena in macchina mi chiese cosa avevo provato a guardare lui e Nadia ma io non seppi rispondere.
«Avresti voluto vedere di più?»
Annuii senza nemmeno sapere a cosa si riferisse.
Guidò fino a casa sua, poi apri il garage e parcheggiò. Io aprii la portiera ma lui mi trattenne.
«No stiamo in macchina, è più intimo»
Forse le sue parole volevano dire “non puoi scappare” ma io non lo capii.
Intimo, quella parola mi diede piacere e sicurezza. Mi fece sentire importante.
Mi prese per mano, la accarezzò, misuro il suo palmo con il mio, dicendo che sembravo così piccola. Ma poi aggiunse «ma so che sei già signorina, quindi non sei piccola. Hai il ciclo come le donne che possono fare bambini»
Ora, con il senno di poi, quelle parole hanno un sapore diverso, allora gongolai. Era come se avesse sancito che ero grande.
Poggiò la mia mano sulla patta dei suoi pantaloni, sentii subito che sotto c’era qualcosa di duro.
«Se io ti faccio vedere il mio pisello, tu mi fai vedere la tua patatina?» ebbi paura. Non avevo pensato dovessi spogliarmi.
Probabilmente vide il mio timore e disse «Non voglio forzati, sono solo curioso»
«Ma anche Nadia… la sua non l’hai vista?» intendendo che vista una, viste tutte.
«Si, ma vorrei vedere anche la tua, credo sia diversa. Non vuoi farmi vedere?»
Mi guardai attorno, spogliarmi in macchina…
«E se poi ho freddo?»
Mario si fece pensieroso, poi sfregò la mia mano sul suo pisello duro e gemette.
«Se andiamo in camera mia me la fai vedere? Ti spogli, ti siedi nuda sul letto a gambe aperte e me la fai vedere?»
«E tu me lo fai vedere?» chiesi pensando di essere in una trattativa.
«Sì e se vuoi puoi anche toccarlo.»
Appena in camera si tolse le scarpe e il maglione poi mi chiese cosa stessi aspettando.
Iniziai a spogliarmi ma non tolsi la canottiera né il reggiseno e le mutandine. Lui era in maglietta e boxer. Ma sotto il tessuto vedevo il cilindro di carne.
«Siediti sul letto. Prima ti guardo io poi mi guardi tu, in fondo tu lo hai già visto. Non da vicino, ma lo hai visto.»
Ero agitata ma dovetti dargli ragione, mi sedetti sul letto e lui si inginocchiò sul tappeto.
Ero rossa in viso, ero pentita, non che non volessi più farlo ma mi vergognavo. E se non gli fosse piaciuta?
«Facciamo così: sdraiati, chiudi gli occhi, te le tolgo io le mutandine.»
Neanche quello mi dava più sicurezza ma lo feci, e una volta nuda lo sentii imprecare.
«Sei bellissima, mi viene voglia di leccarti, posso?»
«No» risposi con timore. Non mi ero ancora potuta lavare ero sicura di non essere pulita.
Aprì un cassetto e prese un fumetto, uno come quelli in garage dalla nonna.
«Non ti piace?» indicò un uomo che leccava affamato la vagina di una donna. Sul viso di entrambi c’erano espressioni goduriose.
«Si ma non sono pulita»
«Ti pulisco io, tu chiudi gli occhi»
Vedendo che continuavo a guardarlo chiese «se ti dà fastidio smetto subito ok? Ci rivestiamo e ce ne andiamo e facciamo finta che non sia mai successo»
«Non me lo fai vedere? Avevi detto…»
«Certo che sì, quello puoi vederlo sempre, quando vuoi. Mi chiami mi dici che vuoi il biscotto e io vengo per fartelo vedere. E toccare se vuoi. Puoi dargli baci o leccarlo come fosse un cono gelato, quando vuoi»
Desiderare quelle cose doveva essere sbagliato. Ma le desiderai.
Mi sistemai sul cuscino, chiusi gli occhi e li riaprii quando sentii la lingua di Mario leccarmi. Era calda e viscida, piacevole. Leccò il bottoncino e gemetti, era più bello di quando mi toccavo io. Poi lo prese in bocca e lo succhiò piano. Mi toccò con i pollici, mi guardò per un attimo, imprecò poi mi appoggiò la bocca contro e sentii la sua lingua entrare dentro di me, dove sospettavo dovesse entrare il pisello.
Sentii una scarica di piacere attraversarmi, quello che era un prurito si trasformò in altro. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare.
Ebbi il mio primo orgasmo con la lingua di mio cugino, più grande di quasi dieci anni, che esplorava la mia patatina.

Non so quanto tempo passò, ne quante volte quella sensazione potente mi investì, ma dopo un bel po’ alzai la testa incuriosita dal movimento del letto. Appena alzai la testa Mario mi guardò e io notai il movimento del suo braccio.
«Mi sto segando. Hai un sapore dolcissimo e la tua fichetta mi manda fuori di testa. Mi piace così tanto che non riesco a smettere di segarmi, sono già venuto due volte ma il cazzo mi resta duro.»
Ci guardammo, io non ci avevo capito molto, non capivo cosa intendesse. Dai giornali avevo visto che dopo che usciva la crema bianca il pisello perdeva la sua durezza. Lui stava dicendo di aver sborrato due volte e il pisello era ancora duro.
«Lo vuoi vedere?» annuii e lui si tirò su.
Era liscio, lungo, aveva la punta più grossa del tronco, di un colore porpora. La mano era sull’asta, si muoveva su e giù, sembrava stringerla in una morsa dolorosa.
Allungai la mia mano e dal buchino sulla punta uscì un getto di liquido bianco, mi finì su una gamba. Mario invocò il Signore ma la sua mano continuò a muoversi.
«Toccalo, ti prego toccalo. Prendilo con due mani»
Appena chiusi le mani sul suo pisello, uscirono altri schizzi. Finirono sul letto e sulle mie gambe. Quando finirono mi tolse le mani e si lasciò cadere sul letto, sembrava esausto.
«Non ho mai avuto un orgasmo così potente»
«È una cosa buona?»
«Buonissima. A te è piaciuto?»
«Sì»
«Ti va di rifarlo qualche volta?»
«Sì»
«Anche a me piacerebbe, ma non puoi dirlo a nessuno. Nemmeno a Nadia o alla tua migliore amica»
«Come un segreto»
«Solo nostro. Se Nadia lo viene a sapere non potremo più farlo. Ok? E non le dire che tu sai che io e lei… nulla.»
Mi portò un asciugamano umido, mi pulii tra le gambe e ci rivestimmo.
In macchina stabilimmo che avremmo chiamato Cucciolone, quel gioco.
Come un nome in codice.
Tornammo a casa di nonna e giocammo a Tombola, lui seduto accanto a me, di tanto in tanto mi accarezzava una gamba da sotto il tavolo.

Mi stupii scoprire che ogni volta che lo chiamavo chiedendogli un Cucciolone, lui si liberava da ogni impegno e trovava il modo per darmi quello che volevo.
Che non era il suo cazzo duro in mano, ma avere la sua lingua che invadeva la mia intimità e mi faceva godere.
Nessuno sospettò mai che quel rapporto unito tra me e mio cugino fosse incentrato sul piacere sessuale che mi dava ad ogni incontro.

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