Ingombrante Compagnia

Ingombrante Compagnia

Formicolio perineale. Fastidio al basso ventre, lato destro e lato sinistro. Minzioni frequenti.

E chi lo avrebbe mai detto che, dopo tanti anni di militanza anonima, il primo racconto lo avrei scritto proprio qui, ora?

È strana, la vita.

Compagna all’estero per lavoro.

Che poi, a dirla tutta, da un punto di vista prettamente narrativo-descrittivo, conta relativamente.

Giornate corte, poca luce. Ma arriverà anche sta primavera, prima o poi.

Ma soprattutto: mi hanno rotto il cazzo.

Farei prima a dire chi NON mi ha rotto il cazzo, negli ultimi due mesi: forse 3, massimo 4 persone.

E allora, sai che c’è?

Fanculo tutto e tutti.

Me ne sto a casa, e lavoro. Sere e notti incluse.

E sì che se uscissi, problemi a “combinarne” non ne ho mai avuti.

So dove muovermi, soprattutto so come muovermi.

Ma si torna al punto di cui sopra: odio tutti.

Quindi no, me ne sto a casa!

Silicone, trame telefonatissime. Ma soprattutto quel retropensiero fisso che, stringi stringi, è tutta finzione.

Apro distrattamente il solito sito porno. Anzi: automaticamente, più che distrattamente.

Che due palle.

No, non sono entrato nella sezione BBC.

Rifaccio.

Che barba che noia che barba. Così ci capiamo.

Chiudo la finestra, chiudo il pc. Non ci siamo.

“Sai che c’è?! Chiudo anche con il sesso!”

E’ nata così, in questo contesto. Dal nulla, o quasi.

E mi accompagna da quasi 3 settimane. Ogni giorno, in ogni istante.

Non ho letteralmente ricordo di un periodo analogo, dato che l’ultima volta, a occhio e croce, sarà stata 15 anni fa.

È una compagna sibillina, silenziosa.

Ti premia ogni giorno che passi con lei, ti gratifica quando conti il tempo trascorso assieme.

Ma stare con lei ha un costo. Ne ho accennato proprio all’inizio, per quanto concerne il corpo.

Costa anche perché, dopo un po’, ti va a smuovere l’inconscio.

Ti smuove dentro, oltre ad irrigidirti muscolarmente.

Ti vuole spingere a cercare, a creare situazioni. Ti spinge a scrivere, pubblicamente e privatamente.

A contattare, a provocare, a farti cercare, a metterti in mostra.

Ti spinge ad allontanarti da lei. Ma ti premia se stai con lei.

È da non capirci niente, perché fai un passo in avanti e due indietro.

“… Di getto! Mi servi un buon calcio di rigore ! …. Si potrebbe riproporre eventualmente la dinamica ! Che fai …Da portiere con un’ottima differenziazione senso-motoria, riesci a parare, o ti disarmo e il goal è mozzafiato?”

Adoro ricevere messaggi così chiari ma allo stesso tempo non volgari o, peggio ancora, banali.

Negli scorsi mesi avresti sempre fatto goal, lo sai.

Non oggi, però. Non adesso. Non ora che ho una compagnia così ingombrante.

Il tuo goal, me la potrebbe far perdere…e poi sai quanto tempo, quanto impegno per tornare al punto di prima?

“Beh stavamo in due eh, le ultime volte mica abbiamo litigato,.. che poi avevi dimostrato abilità nel portare discussioni su altri livelli, bastava solo applicarsi più spesso.”

Lei, invece, non è mai stata particolarmente briosa, nei messaggi.

Anzi, a volte preferisce di gran lunga una quasi-insopportabile boria.

Ma di certo, non perde in chiarezza.

no, No, e NO.

Non ci sono, oggi. Né domani, tantomeno dopodomani.

Serve ben altro per smuovermi, per poter far crollare le mie – oggi forti, apparentemente inattaccabili – certezze.

E pensare che basterebbe un attimo, tra l’altro.

Se solo sapessero…

Se solo capissero.

Che una vita passata a “usare” le donne, qualche segno te lo lascia.

Che una vita passata a controllare tutto, segni te ne lascia eccome.

Che a volte, hai bisogno di compensazione, nel profondo della tua anima.

Che a volte senti il bisogno di essere preso in contropiede, ed essere lasciato completamente senza fiato.

Annichilito, pietrificato.

O, come mi sentii dire dall’unica che forse aveva capito qualcosa di questa testa:

“Abusato mentalmente ed usato fisicamente”.

Semplice, ma non facile.

E allora mi trattengo. Me lo impongo.

Quantomeno fino a quando il frutto di una perversa immaginazione non diventerà, finalmente, vivo.

Fino a quando non mi chiederai, con quel sesso che sai di avere addosso, di versarti un Franciacorta, mentre ti accomodi sul tuo enorme divano beige.

Che poi, a pensarci bene, il tuo chiedere, chiedere non è.

E ti accendi una sigaretta.

Ammiccante, rilassata, divertita.

Compiaciuta e soddisfatta, dal fatto di avere un manzo trentatreenne disposto a tutto, davanti a te.

“Toglimi le scarpe.”

Ora sei altezzosa, fredda e ferma. La sigaretta vicina alla bocca, con classe.

Non è un ordine, è uno status quo.

Mi prodigo nel toglierti queste eleganti 12 con cura, perché di certo non posso immaginare quanto sia stancante fare l’ape in centro a quell’altezza.

Con questa altezza.

Faccio fatica ad inginocchiarmi per svolgere il mio compito, la situazione mi è tutto fuorché indifferente.

Non serve che dici nulla, il prossimo step lo conosco già.

Lo conosco dalla prima volta che ti ho vista.

Hai la pianta tutta tesa.

Non ti preoccupare, me ne occupo io.

Forse è proprio per via della mia meticolosità, che alla fine scegli sempre me…quando ti vuoi rilassare.

O dare sfogo alla tua

SBAM.

“Non azzardarti più a guardarmi le tette.”

Sgrano gli occhi.

Ci metto qualche, lunghissimo, istante a capire, cosa sia successo.

Inizio a riordinare la sequenza.

“Intesi?”

Sento dolore alla guancia sinistra.

“Non è che se sono scollata, allora puoi guardarmi le tette a tuo piacimento.”

Quanto sei perfidamente sottile, nell’usare due volte quella parola.

Nel sapere che strutturando abilmente un crescendo di turpiloquio, potrei fare per te ogni cosa.

Riabbasso lo sguardo, e mi concentro sul tuo splendido 40, mentre tu torni – giustamente – a rilassarti.

Certo, non puoi farmene una colpa, se a meno di un metro da me, sfoggi una quarta piena, in bella mostra, con scollo a V.

Abbronzata, con quello stacco petto-seno definitissimo.

E quelle piccole macchie, che rimandano al nostro delta d’età.

A ribadire, ancora una volta, che non siamo sullo stesso piano.

Sto processando quello che è successo.

Più ci penso, e più mi eccito.

SBAM.

Più forte, lato destro stavolta.

“Ancora?! Pensa ai piedi, e non guardarmi le tette, non sono per te.”

Il cazzo spinge forte sulle mutande.

Un “Mi scusi” esce, automatico.

Riabbasso di nuovo la testa, con guancia dolorante e orgoglio colpito. Ancora.

Mentre tu assapori, beata, la bollicina.

So bene che il punto non è “guardare”.

Tant’è che né dopo il primo, né tantomeno ora, hai nascosto ciò che, visceralmente, mi attrae.

Lasci volutamente strada libera. Dritto per dritto.

Il punto è che tu ti vuoi sfogare.

Vuoi essere adulata, e con me cadi bene. Anzi, benissimo.

Ma vuoi anche avere il pieno controllo, ed essere irraggiungibile, inaccessibile.

Ti da forza, ti da potenza. Alimenta il tuo insaziabile ego di Donna, Donna vera.

Ti senti una gran figa.

Sai benissimo, quanto soffra le tutte tette. Quanto non mi facciano più capire nulla, quando le ho davanti.

Se poi, prendi in mano la situazione lo sai che

“Adesso mi hai stancato.”

Rumore di bicchiere che si appoggia.

Sento la nuca che tira.

“Sei proprio fissato, eh.”

Mollo il piede. I capelli tirano.

“Ma sei così sfigato che non riesci neanche a controllare dove guardi?”

Non voglio, è diverso.

Sono in ginocchio, ma proteso verso l’alto. La tua mano non molla la presa.

Fa male, ma solo fuori.

“Tu sei qui per massaggiarmi, non per altro.”

Sì, è vero. O forse no.

“Se voglio essere guardata, ho molto di meglio.”

Godo nel non sentirmi abbastanza.

“…Vuoi queste tette?”

Nel sentirmi inferiore.

“Eh?! Le vuoi o no?”

Tiri di più.

Sono bloccato. Prego perché tu non smetta.

“Rispondimi, piccolo pervertito”.

“S-sì, signora”

E’ un attimo.

“E allora prendile.”

Sento tirare dalla nuca.

“E che sia finita questa sceneggiata patetica”

Con una mano, scosti in un secondo il top.

Buio. E calore. E Profumo. E morbidezza.

“Sei patetico. E sfigato.”

Battiti forti. Salivazione. Il cazzo mi fa male.

Quanto mi eccita sapere che sei così, divinamente, disinibita.

E così, volutamente, irraggiungibile.

Acciuffo goffamente il tuo grosso capezzolo.

Mugolo.

Ciuccio.

Poppo.

Non è facile, spingi come una matta.

Sento violenza.

E il cazzo pulsa.

Non me ne rendo conto, ma sto soffocando.

Dolore, sempre la nuca.

Mi allontani.

Ma non ti sistemi il top.

Inspiro forte come quando esci dall’apnea.

Sei calma, ma salda.

Controlli.

Sei a trenta centimetri da me.

Ho il collo tutto all’indietro.

Secondi, interminabili.

Cambi tono. Profondo, fermo, risoluto.

Quasi calmo.

“Apri la bocca.”

Lo dici con quel misto di sensualità e severità che mi manda ai matti.

Vuoi farmi arrivare tranquillità. Vuoi farmi arrivare il più classico dei “Andrà tutto bene”.

Eseguo, con un accenno di titubanza.

Ti avvicini lenta.

Entrasse uno adesso, penserebbe che siamo sull’orlo di un bacio particolarmente appassionato.

Ma gli mancano, evidentemente, dei passaggi.

Sento il tuo fiato, il tuo odore di vino sa di vero.

Un colpo di fucile.

Secco.

Dritto.

In bocca.

Nell’orgoglio.

Nell’anima.

Sono immobile.

Ansimo.

E tu, anche se provi a nasconderlo, hai sospirato. Ti ho sentita.

Quasi un mugolo.

Me ne compiaccio alla grande.

Perché il tuo piacere, è semplicemente il mio.

Ma resto fermo.

“Chiudi.”

Non posso fare altro.

“Deglutisci.”

Non aspettavo altro.

Sapere di averti dentro, mi annebbia totalmente.

Ormai la mia volontà è uno 0. Assoluto.

Istanti. Ancora. Immobili.

“Apri.”

Lo dici sempre più lentamente, e perentoriamente.

Questa volta riempi i polmoni d’aria.

Ci metti molta più forza, vuoi umiliare profondo.

Ricevo. E godo.

Ormai il cervello è andato.

“Giù tutto.”

Ti accolgo in tutta la tua essenza di Donna.

“Bravo.”

E sorridi. Come una serpe.

“Ma guarda qui cosa abbiamo…”

Brivido forte. Su per la spina dorsale.

“Ti sputo in bocca e ti ecciti come un ragazzino…sei proprio irrecuperabile.”

Mi esce un lamento, mentre premi il glande col tuo piede.

Molli i capelli.

“Forza, alzati.”

Lo faccio.

Tu accavalli le gambe e distendi le braccia sullo schienale.

“Ops! Che sbadata!”

Sorridi, fai l’ingenua e la sbadata.

Il tono è tra il serio e il faceto.

Divertita, con l’espressione costruitissima da bimba monella, ti copri quella fonte di peccato.

Ti piace proprio prenderti gioco di me.

Cambi tono ancora. Torni quella di prima.

“Forza, adesso spogliati.”

“Ma”

“Ho detto, spogliati.”

Ennesimo colpo al cazzo.

Di quelli che partono dal basso e ti percorrono tutta l’asta.

Non ho scelta.

Non mi stacchi gli occhi di dosso.

Anche se i miei occhi, non li guardi.

E sei palesemente compiaciuta.

Ti piace, quello che vedi.

Spazi da spalla a bicipite, da pettorali ad addome.

Mi fai sentire un giocattolo.

Mi fai essere, il tuo giocattolo.

Abbasso i pantaloni, finalmente un po’ di pace per il cazzo.

“Ahahahahahah!”

Stronza.

“Ahahahahahah!”

Vuoi umiliarmi ancora.

“Ma quindi tu, con quel cazzo lì, dimmi…cos’è che pensavi di fare?!”

E’ assurdo come anche quando mi ridicolizzi, tu riesca a farmi godere.

E ridi. Ridi.

“Forza, togliti tutto che non ho tutta la giornata.”

Smettila. Ma non smettere.

Con un tocco ti rimetti i tacchi.

Ti alzi.

“Girati.”

Non faccio in tempo a recepire, che mi stai già facendo ruotare, spingendomi le spalle.

“Guai a te se fai qualcosa.”

Mi ero dimenticato dello specchio del salotto.

Mi guardo per un attimo.

Non mi riconosco.

Non mi ero mai visto con questa faccia.

Totalmente annullato.

Dura poco, perché poi i miei occhi ricadono su di te.

Spunti da sopra la spalla destra.

Sento la tua mano sinistra sul fianco omologo.

Ti guardo, ancora.

Mi guardi, ora negli occhi.

Mi ghiacci, quando mi guardi.

“Stai fermo…”

Sento la stoffa del tuo top sulla schiena.

Le tue tette, sempre più ingombranti, addosso.

“Fermo…da bravo.”

Metti la mano destra sul mio fianco destro.

Non stacchi gli occhi dai miei.

Mi apri l’anima.

“Fermo…”

Non mi muovo.

Tu invece, con la destra non ti fermi.

Mi sembra di sentire i capezzoli spingere sulle scapole.

Sai benissimo dove andare, con quella mano…

E non mi molli con gli occhi.

Come a dire “guarda qua, non guardare giù, non ti riguarda.”

Adesso me lo stringi forte.

Me lo aspettavo, ma è come se fosse un fulmine a ciel sereno.

Sospiro.

“Zitto…”

Lo stringi. Potente.

Comandi tu, lo so. Me lo stai comunicando inequivocabilmente.

È mezz’ora che sono tuo.

Ma adesso sono solo tuo.

Socchiudi quelle labbra rosse come il fuoco.

Ruoti la testa verso sinistra, ma il contatto visivo no, non lo molli mai.

La apri di più.

Sei spudorata, nel palesare la lingua.

Ho un brivido, quando la appoggi decisa sullo spigolo duro del mio viso da ragazzo.

Sei lenta, sei sexy.

Sei porca.

Risali, e Dio quanto vorrei si fermasse il mondo qui.

Mi bagni tutto.

Adori essere così oscena. E così in controllo.

Arrivi quasi all’occhio, incurante di me.

Ti interessa solo fare quello che vuoi tu.

Ti stacchi senza allontanarti, e sembrano ore.

“Mio.”

Lo sussurri.

“Tutto, mio.”

Non ho la forza di reagire.

Sono imbambolato.

Accenni un sorriso perfido, e sento caldo.

Non posso guardare, non me lo permetti, con quel ghiaccio negli occhi che strega.

Ma capisco subito.

Sali, lenta, fino a lambire la cappella.

Mi guardi.

Ora scendi, pianissimo.

E sorridi, perfida e stronza come solo tu sai.

Perché lo sai, che sono tuo.

Colpo su colpo, aumenti la velocità dello sfregamento.

Sei ruvida. E questo mi fa vibrare di sesso.

Faccio per abbassare lo sguardo, ma la scena non la vedrò mai.

“Non puoi guardare.”

Il tono è di chi non ammette repliche.

Aumenti il ritmo del tuo dominio.

Ansimo.

“Shh…buono.”

Ansimo ancora.

“Zitto…”

Mi stringi quasi da far male, ma sto impazzendo.

Ansimo forte.

Con quella mano mi stai scopando.

Sento un lamento ovattato.

Ci metto qualche istante a capire che è il mio lamento.

Che mi hai tappato brutalmente la bocca.

“Ho detto zitto, maiale.”

“Mmmmm, mmmmm!”

“Zitto, da bravo.”

Non smettere di usarmi, ti prego.

E quanto sei scafata, con quel pollice sulla cappella.

Sento i coglioni fremere.

Sento piacere che viene da dentro, dal profondo.

Non ragiono più.

È solo, sporco, piacere.

Togli la mano.

Torno a respirare con la bocca.

Ma il fiato dura poco. Un secondo, e anche anche.

Urlo forte. Come non urlavo da anni.

Abbasso lo sguardo, stavolta al petto.

Unghie, lunghe e rosse. Appuntite.

Dita affusolate, esperte. Abili.

No, l’attacco su due fronti proprio non me lo aspettavo.

Urlo ancora.

E mi scende una lacrima di piacere dalla cappella.

Mi vedo in un flash, allo specchio.

Sono allucinato. Sconvolto.

Lo giuro, non mi riconosco.

Ma godo, nel vedermi così.

Ti vedo stringere i denti, serrare le labbra.

“Godi, puttanella.”

È troppo.

Sono un animale.

Cedono le ginocchia, contraggo l’addome.

Se non allenti la presa, credo imploda.

Lo capisci al volo.

Rilasci, ma non stacchi.

E roba tua, fino alla fine.

E continui a muovere.

Uno. Due. Tre.

Potenti, dritti.

Finiscono sullo specchio.

Gli altri, per terra.

C’è un lago.

Odore di sborra.

Suona una sveglia.

Continua.

Suona la mia sveglia.

Apro gli occhi. Entra luce dal balcone.

Ma che ore sono?

Guardo a destra. Sono solo.

Vero, torna tra una settimana.

Mi giro a sinistra, e stacco questa cazzo di sveglia.

Porca puttana, sono in ritardo.

Mi alzo.

Nel semibuio, mi intravedo allo specchio.

Sorrido, beffardo e barzotto.

Forse non ti ritroverò mai.

Forse ti incontrerò domani.

Ma fino a quel momento, sto solo lei.

Ingombrante.

Compagna.

L’Astinenza.

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