Puttano (prologo)

Puttano (prologo)

Ormai non ce n’erano molti.
I cinema a luci rosse stavano chiudendo anche se quello dove io andavo io, lungo una via molto trafficata verso la periferia della città, era ancora ben frequentato. Dodici euro all’ingresso e un tempo illimitato per scegliere la scena giusta con la quale venire.

Il posto era sempre quello. Lato destro, ultima fila, in cima alla relativa scalinata. Con soli tre posti a disposizione mettersi in quello di mezzo significava non correre rischi di essere disturbato.

Non l’avevo visto arrivare se non quando si era seduto sul primo sedile subito al di là della scala.
Ma non ci avevo messo molto a notare che aveva tirato fuori l’uccello mentre io ancora mi stavo massaggiando il pacco chiuso nei jeans.
All’improvviso mi era diventato difficile seguire le scene senza voltarmi, cercando di non farmi notare, di lato a guardare come procedevano le cose per lo sconosciuto.
Sempre senza preavviso, mentre la tizia bionda sullo schermo, lavorava di bocca un paio di grossi cazzi neri, l’uomo si affacciò al mio orecchio chiedendomi se poteva sedersi al mio fianco. Non ricordo bene cosa risposi, probabilmente feci solo un cenno di assenso, ma pochi secondi si era accomodato alla mia destra.
Con il cazzo in mano.

Magro, vestito normalmente. Ad occhio e croce sulla cinquantina.
Il suo uccello divenne un polo magnetico che mi impediva di seguire il film mentre la mia eccitazione aumentava di livello ad ogni minuto.
“Lo vuoi in bocca?”. Lo disse con un sussurro che mi rimbombò nella testa.
Non risposi, cercando di fissare lo schermo. La tizia aveva fatto sparire uno dei due bastoni neri dentro la gola.
Rimasi in silenzio anche al successivo tentativo fatto con un semplice monosillabo.
La terza volta, però, fu devastante.
“Dai…dimmi quanto vuoi per un pompino.”
Ormai il film non esisteva più. C’era solo il buio della sala e la luce dello schermo che fiocamente illuminava quella mano e quel cazzo.
“Dieci vanno bene?”. Silenzio. “Facciamo venti?.”
Si mosse nel sedile prendendo il portafogli dalla tasca dietro. Contò e mi diede due banconote.
Le presi. Feci appena in tempo ad infilarmele in tasca. “Per trenta la bevi tutta” disse mentre con la mano sinistra invitava la mia testa a piegarsi in mezzo alle sue gambe.
Ne avevo voglia. Erano passate due settimane dalla prima volta e volevo riprovare. Il fatto che mi stesse pagando, poi, aggiungeva qualcosa di nuovo che mi eccitava. Mi ero fatto pagare…come una puttana.
O puttano, come si diceva a quei tempi.

Il sapore intenso e potentemente maschile mi impregnava la lingua mentre salivo e scendevo lungo l’asta di carne. L’odore muschiato e stantio del suo bosco ispido unito ai suoni del cinema erano inebrianti. Pensai perfino che gli avrei concesso il culo se me lo avesse chiesto.
Capii che stava sborrando perché le sue mani mi tennero ferma la testa ti colpo. Sulla lingua sentivo il pulsare del cazzo mentre la bocca mi si riempiva.
“Mandala giù” disse alla fine e io deglutii. Il sapore di quel bolo denso e viscoso non mi sembrò male. Vagamente dolciastro e con delle note acidule. Un fremito mi scosse mentre mi tornavo a sedere.

Con la stessa rapidità con cui si era materializzato il tizio si chiuse la zip e se ne andò giù per la scala. Rimasi a guardare il film con il sapore dello sperma che persisteva sulla lingua e le narici che non volevano dimenticare l’odore di sesso.

Per una buona mezz’ora cullai il desiderio di rifarlo con qualcun altro.
Alla fine chiusi gli occhi e mi masturbai sborrandomi sul palmo della mano.
La guardai qualche secondo, con l’uccello ancora in tiro. Poi leccai tutto. Fino all’ultima goccia.

Erano circa le sei di sera quando uscii per strada con la consapevolezza che mi piaceva lo sperma.

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