Una cavia per la scuola di mercenari

Una cavia per la scuola di mercenari

Avvertenze:

In questa storia si fa riferimento esplicito a torture cruente, violenze ed abusi sessuali estremi che si è cercato di raccontare con il massimo realismo e con un livello di dettaglio che potrebbero creare grave disagio.
Nel testo sono riportate alcune fantasie sessuali e feticistiche che non rispecchiano i gusti della maggior parte delle persone, in particolare: torture ed abusi sessuali praticati su donne mature ed in sovrappeso; feticismo dei piedi, degli odori e dei sapori naturali dei corpi femminili; feticismo per i peli pubici e delle ascelle; pissing e scatting.
Con l’intenzione di descrivere in modo realistico le reazioni di una donna sottoposta a situazioni estreme, come quelle narrate in questa storia, in alcune parti del racconto si riferiscono alcune manifestazioni naturali del corpo femminile che possono disturbare la sensibilità di alcuni lettori.
Se queste fantasie non sono di vostro gradimento, vi sconsiglio di leggere questa storia; se invece vorrete proseguire, sarei lieto di ricevere vostri commenti e suggerimenti all’indirizzo e-mail: [email protected].

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La triolagnia, più comunemente nota come chuckholding, consiste nel provare piacere nel guardare la propria compagna coinvolta in attività sessuali con altre persone. Ho impiegato diversi anni per prendere coscienza ed accettare il fatto di esserne affetto. Ma non bastasse questa “anormalità”, ho dovuto ammettere di essere anche un sadico attirato dalle pratiche più estreme inflitte alle donne. Un mix di perversioni, insomma, da fare impallidire molti degli psicopatici in circolazione.
Fin da quando ho avuto i primi rapporti sessuali, per raggiungere l’eccitazione dovevo immaginare che la mia partner fosse vittima di violenze e umiliazioni: denudata, seviziata, stuprata… Anche con Claudia, mia moglie, già quando eravamo fidanzati raggiungevo l’eccitazione immaginandola sottoposta ad indicibili abusi e torture che le venivano inflitti da altri uomini.
Per molti anni ho tentato di reprimere queste mie pulsioni cercando di limitarmi a fantasticare su di lei, senza nemmeno pensare di mettere in pratica quello che mi passava per la testa. Questo fino a quando non ho scoperto che Paolo, il mio vicino di casa, aveva le mie stesse inclinazioni: un sadico pervertito, divoratore di video e racconti BDSM, con una fantasia talmente fervida da sorprendere a volte anche me, che credevo aver raggiunto ogni limite.
Paolo aveva 65 anni e viveva da solo nell’appartamento prospiciente il mio. Per quanto ne sapessi, non aveva una compagna o qualche relazione, ma della sua vita privata e sentimentale non sapevo quasi nulla e non desideravo indagare più di tanto. Quando era venuto ad abitare nel mio stesso condominio la cosa che più mi aveva colpito di lui era l’evidente attrazione che nutriva per mia moglie – molto più giovane di lui – ed il fatto che non facesse nessuno tentativo per nascondere il suo interesse per lei, nemmeno quando era in mia presenza. Incontrandoci frequentemente da soli io e lui, abbiamo poi iniziato a scambiarci confidenze, trovandoci fin da subito in grande sintonia, tanto che dopo poche settimane ci scambiavamo pareri e fantasie erotiche, e mi sembrava una cosa assolutamente normale raccontargli anche i particolari più intimi della mia relazione con Claudia. Non posso nascondere che percepire la sua eccitazione quando gli parlavo di lei e osservare il suo turbamento crescere man mano che scendevo nei dettagli più piccanti, mi dava un piacere che non avevo mai provato prima. E fu così che iniziai a rubare foto e video intimi a mia moglie per poi mostrarli a Paolo, godendo al pensiero del suo godimento ed eccitandomi nell’ascoltare le situazioni estreme che elaborava nella sua mente pensando a lei.
Un giorno mi disse che doveva parlarmi di una cosa molto delicata, per cui avremmo dovuto incontrarci quella sera stessa dopo cena a casa sua. <Tu hai intenzione di passare tutta la vita a vaneggiare su Claudia, o vuoi provare a realizzare qualcuna delle fantasie che tante volte ci siamo detti?>. La sua domanda mi lasciò piuttosto sorpreso. <Cosa intendi dire? Sai che non c’è nessuna speranza che Claudia accetti di partecipare ai giochi che piacciono a noi>. <Non è necessario che lei accetti. Potrebbe essere la naturale conseguenza di una situazione>. <Cosa vuoi dire? Non parlarmi per enigmi Paolo, non riesco a capire dove vuoi andare a parare>. <Non chiedermi come, ma ho conosciuto una persona che sarebbe molto interessata alla nostra puttanella>. <E chi sarebbe questa persona? Se già mi sembra difficile coinvolgere Claudia in una rapporto a tre, convincerla a farlo con la partecipazione di un completo estraneo è assolutamente impossibile>. <Ti ho già detto che non è necessario convincerla. Ad ogni modo non posso dirti niente adesso. Se vuoi saperne di più, mi ha proposto di incontrarci domani pomeriggio, al parco di villa Oreggio, così lo conosceremo e ci dirà tutto quello che vogliamo sapere>.
La mia curiosità era più forte della mia prudenza, per cui l’indomani, insieme a Paolo, ci incontrammo in un vialetto secondario del parco con quella misteriosa persona, un uomo molto distinto ed elegante di circa 70 anni che si presentò come Mario, molto probabilmente uno pseudonimo, non volendoci rivelare la sua vera identità. Vedendoci ci venne incontro con un sorriso appena accennato e dopo un breve scambio di convenevoli venne subito al dunque: <L’organizzazione per cui lavoro si occupa di formare mercenari>. <Per mercenari intende quelli che vanno a fare la guerra al servizio di chi li paga?> chiesi perplesso. <Sì, anche quello. Però, come in tutte le professioni, al giorno d’oggi anche quello del mercenario è diventato un lavoro per specialisti. Noi formiamo specialisti nel rapire le persone e torturarle per estorcere informazioni o semplicemente per compiere spedizioni punitive su commissione>. Sia io che Paolo non riuscimmo a trattenere lo stupore per l’approccio così diretto del nostro interlocutore ad un argomento che la maggior parte delle persone considera ripugnante. La sua imperturbabilità mi fece temere che fosse un megalomane, un ciarlatano o forse un truffatore, ma quello che ci raccontò dopo mi convinse che non stava mentendo. <Guerre, insurrezioni, lotte tra bande criminali,… nel mondo ci sono migliaia di situazioni in cui rapimenti, torture e stupri sono mezzi abitualmente usati per far prevalere la legge del più forte, e coloro che si specializzano nella nostra scuola, dietro adeguato compenso, mettono al servizio del più forte le loro competenze>. <Ma noi dove entriamo in gioco in questa faccenda?> domandai sempre più scettico. <Nella nostra scuola la pratica riveste una parte fondamentale dell’insegnamento, quindi ci servono esemplari umani da mettere a disposizione degli allievi perché facciano pratica su di essi di quanto appreso a lezione>. <Lei ci sta prendendo in giro. Non è possibile che esista davvero una cosa del genere, altrimenti vi avrebbero già arrestati!> intervenne Paolo. <Lei, caro signore, sottovaluta la nostra professionalità. Muoversi nei luoghi più pericolosi del pianeta, facendo il mestiere più pericoloso del mondo senza lasciarci la pelle richiede delle competenze non comuni. Pensa che il rischio di essere arrestati possa essere un problema per noi?>. <Mi pare quindi di capire che lei sia interessato a mia moglie per usarla come cavia in qualcuna delle prove pratiche della vostra scuola>. <E io sono certo che questo nostro interesse per sua moglie la intrighi molto. Osservarla mentre viene seviziata ed abusata non la disturba affatto, non è vero, Signor Palmieri?>. Rimasi in silenzio alla sua domanda. Era come se quell’uomo mi leggesse nella mente, per cui ogni mia risposta sarebbe stata superflua. <Ma perché volete proprio lei? Con tutte le belle ragazze che ci sono in giro potevate trovarne qualcuna più giovane e anche più interessante di lei>. <Non è molto elegante da parte sua parlare così di sua moglie. Non sottovaluti le sue potenzialità. Comunque non dobbiamo fare un concorso di bellezza. In questo momento a noi serve un esemplare femmina esattamente come sua moglie. Inoltre, aspetto non secondario, la collaborazione sua e del suo amico ci renderà il rapimento e la gestione della prigioniera più agevole>. <Perché normalmente come fate a procurarvi e a gestire gli “esemplari”, come li chiama lei, da usare nei vostri corsi?> intervenne Paolo, che era rimasto in silenzio ad ascoltare quella surreale conversazione. <In passato era tutto più semplice. Bastava avere un po’ di denaro, andavi in uno dei tanti mercati di schiavi e sceglievi gli esemplari che più ti interessavano. Oggi è più complicato. Rapire una persona qui nei paesi occidentali non è facile: intercettazioni telefoniche, infiltrazioni informatiche, videocamere di sorveglianza, GPS,… La tecnologia ci ostacola notevolmente. In questi ultimi anni un modo piuttosto semplice per procurarsi esemplari umani è nei tanti campi profughi che ci sono alle frontiere dell’Europa, in Libia, in Tunisia, in Turchia… Lei non ha idea di quante ragazze e ragazzi vengono rinchiusi lì dentro e poi spariscono misteriosamente>. <Se accettassi, che cosa farete subire a mia moglie? Non voglio che le facciate troppo male>. <Noi siamo professionisti. Torturare e stuprare sono cose che chiunque può fare, senza che gli venga insegnato. Terrorizzare la vittima fino a scatenarle crisi di panico, farla sentire misera e costantemente in pericolo, sottoporla a dolori atroci e insopportabili senza procurarle lesioni permanenti, questo è invece quello che fanno i professionisti, ed è questo che insegniamo ai nostri allievi>. <Ma quando avrete finito con lei, come sarà possibile che possa tornare alla vita di tutti i giorni, come se niente fosse accaduto?>. <Qui entra in gioco la chimica. Quando avremo completato tutti gli esperimenti che vorremo fare su di lei, le sarà indotto un coma farmacologico che durerà il tempo necessario perché tutte le ferite sul suo corpo siano scomparse. Le verranno somministrate anche delle sostanze che quando si risveglierà la lasceranno per alcuni giorni in uno stato confusionale. Nel frattempo lei l’avrà riportata a casa e accomodata nel vostro letto. Quando finalmente si sarà completamente ripresa, non ricorderà nulla di quello che le è stato fatto. Forse potrà avere ogni tanto dei vaghi flashback, ma li assocerà agli incubi ed alle allucinazioni avute quando stava male>. <Perché io dovrò raccontarle che è stata male ed ha dormito per molti giorni>. <Esattamente! Di tutto quello che le sarà fatto, sua moglie non ricorderà assolutamente niente, e potrete tornare al vostro ménage quotidiano come se nulla sia mai accaduto>. <Mi sembra un programma molto interessante> mi sussurrò Paolo, evidentemente eccitato nel pregustare lo spettacolo che quell’uomo ci aveva proposto. <E io come parteciperei a tutto questo? Dovrei consegnarvi mia moglie e poi starmene tranquillo a casa in attesa che me la riportiate dopo che le avrete fatto tutto quello che volete?>. <Assolutamente no. Anzi, saremmo onorati se anche lei ed il suo amico voleste partecipare come auditori alle lezioni in cui i nostri allievi faranno pratica su sua moglie. Vi potrete accomodare nelle ultime file, dove lei non potrà vedervi e godervi lo spettacolo>. <Quante persone saranno presenti oltre a noi?>. <Innanzitutto, le devo precisare che l’aula in cui effettueremo la dimostrazione ha uno spazio centrale di forma ellittica nel quale stanno il docente ed i praticanti. Tutto intorno, disposti in ellissi concentriche, ci sono i banchi dove siedono gli altri allievi e gli eventuali auditori. L’aula non è molto grande, ma può ospitare comodamente una trentina di persone>. <Il pubblico ed i praticanti saranno solo uomini?>. La domanda di Paolo mi colse di sorpresa. Davo per scontato che a un corso come questo partecipassero soltanto uomini, perché le donne sono troppo sensibili per torturare e violentare un altro essere umano. <Il corso è frequentato da 27 allievi, di cui diciannove ragazzi e otto ragazze>. <Non avrei mai creduto che fosse un mestiere per donne>, commentai stupito. <Le assicuro che le donne sono spesso più abili degli uomini in questi lavori, soprattutto quando la vittima è un’altra donna. Del resto chi meglio di una donna conosce il corpo e le emozioni femminili? Inoltre le donne hanno una fantasia che noi uomini ci sogniamo. Sono capaci di inventare tormenti talmente sofisticati che se la Santa Inquisizione le avesse avute al suo servizio al posto di tanti stupidi monaci e preti, in Europa sarebbero scomparse tutte le foreste per quanti roghi di streghe si sarebbero accesi. Se ci consegnerà sua moglie avrà modo di verificare di persona quanto può essere sadica e spietata una donna quando tortura un’altra donna>. <E come farò a consegnarvela?>. <Il garage sotterraneo. Il giorno che decideremo, al posto della vostra auto ci sarà parcheggiato un furgone insonorizzato e con i vetri oscurati con tre nostri uomini. Sua moglie aprirà il basculante e prima che abbia il tempo di accendere la luce i miei uomini le tapperanno la bocca con un nastro adesivo, la legheranno mani e piedi e la caricheranno di peso sul furgone. Per non farla agitare troppo le inietteranno della chetamina che la stordirà per un po’ di ore, il tempo necessario per raggiungere la scuola e prepararla per la lezione>. <E dove sarebbe questa scuola?> intervenne Paolo. <Vi darò indicazioni precise quando sarà il momento, così che possiate raggiungerci qualche minuto prima dell’inizio della lezione. Ad ogni modo, si trova a circa due ore di strada da qui, in un luogo piuttosto isolato, lontano da sguardi e orecchi indiscreti. La si potrebbe scambiare per un anonimo stabilimento industriale al centro di in un grande parco recintato, ma all’interno riserva molte sorprese che avrete modo di apprezzare>. <Come dovrò preparare mia moglie? Devo farla lavare o vestire in un modo particolare?>. <No no, assolutamente. Sua moglie dovrà essere esattamente come è in un giorno normale. Non è necessario che sia vestita bene o che sia lavata. Anche perché, con quello che le faremo, non rimarrà vestita e pulita per molto tempo>. Nel dire ciò, il volto di quell’uomo, che fino ad allora non aveva espresso la minima emozione, fece trasparire un velato sorriso di compiacimento a cui Paolo rispose con una risata sguaiata, nella quale manifestò tutta la sua eccitazione per il programma proposto.
Si organizzò il rapimento per il mese successivo. Si andava ormai per la fine di novembre ed iniziava a fare freddo anche nelle giornate di sole, come era quella. Erano passate da poco le 9 del mattino e Claudia era scesa in garage indossando i soliti jeans, un golf a girocollo di maglia leggera e sopra un altro golf di lana più pesante. Ai piedi calzava le sneakers bianche che erano le scarpe che indossava praticamente tutti i giorni, quando non faceva troppo freddo. I ragazzi erano già a scuola da più di un’ora e lei aveva a disposizione tutta la mattina per fare un po’ di commissioni che rimandava da tempo.
Tutto accadde in un attimo: le mani che l’afferravano per tenerla ferma, il nastro adesivo sulla bocca che quasi le impediva di respirare, le corde che le stringevano le caviglie ed i polsi dietro la schiena. Caricata di peso dentro quel furgone nero, sentì una lieve puntura sulla spalla sinistra, il motore che si accendeva ed il furgone che lentamente usciva dal garage e senza dare nell’occhio si allontanava per portarla chissà dove. Lei si divincolava e tentava inutilmente di urlare. Vedeva la testa dell’uomo alla guida del furgone ed altri due uomini vicino a lei che la osservavano, senza dire una parola. Poi sentì la testa che le girava ed una spossatezza infinita. Chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo.
Dopo aver superato decine di controlli e verifiche biometriche, finalmente Paolo ed io riuscimmo ad accedere a quell’anonimo stabilimento sperduto in mezzo al nulla. All’interno l’ambiente era sorprendentemente moderno ed elegante. Entrati nel salone principale trovammo Mario ad accoglierci. Fornendoci le istruzioni per raggiungere quel luogo, ci aveva avvisati che sarebbe stato la nostra guida per tutto il tempo che avremmo trascorso all’interno della scuola, e che lì dentro non avremmo potuto fare nemmeno un metro senza che lui ci accompagnasse. Lo seguimmo a breve distanza lungo i labirintici corridoi della palazzina principale, che dopo alcuni minuti di cammino ci condussero finalmente nell’aula in cui si sarebbe tenuta la lezione. Non allontanandoci mai da lui, ci facemmo largo tra diversi ragazzi ed alcune ragazze che erano già seduti nelle prime file per raggiungere tre poltroncine che ci erano state riservate nella parte più defilata della sala.
Faceva piuttosto freddo e lo feci notare a Mario. <La temperatura qui dentro è impostata a 17 gradi, per questo le ho suggerito di non togliersi il giubbetto>. <Volete risparmiare sulla bolletta?>. <Ogni cosa qui dentro ha la sua logica, e presto lo capirà>.
L’aula non era molto grande e poco dopo che fummo seduti tutti i posti erano occupati. Noi eravamo indubbiamente i più anziani, dato che gli altri presenti avevano un’età che non superava i 25 anni. Quasi tutti erano in silenzio, qualcuno bisbigliava sottovoce con il vicino, qualcun altro sfogliava degli appunti sul tablet, qualcun altro ancora guardava immobile lo spazio al centro dell’aula in mezzo al quale era posto uno strano banco metallico con la forma di una grande X. Guardai il soffitto e notai quattro catene che scendevano da due carriponte che si potevano muovere per tutta la lunghezza dello spazio centrale. Il pavimento era rivestito di linoleum grigio chiaro e lucido, che emanava il caratteristico odore delle palestre. Inseriti nel pavimento si intravvedevano quattro anelli che quando utilizzati potevano essere estratti e ruotati all’occorrenza. Quello che doveva essere un inserviente entrò spingendo un grande carrello d’acciaio, che lasciò poco distante dallo strano banco di lavoro. Quando si allontanò potei vedere che sul carrello erano disposti molti strumenti, che evidentemente sarebbero stati utilizzati durante la lezione: forbici, pinze, alcune punte acuminate di varie dimensioni simili a spiedi, cavi elettrici e poi altri oggetti di cui non riuscivo a capire il possibile utilizzo. Vedendo tutto quell’armamentario, iniziai a dubitare della sincerità di Mario quando mi aveva assicurato che dopo qualche giorno Claudia non avrebbe conservato sul corpo nessuna traccia di quello che le avrebbero fatto.
Passò ancora qualche minuto, dopo di che il bisbiglio di fondo dell’aula cessò improvvisamente ed un uomo in giacca e cravatta entrò nell’aula seguito a breve distanza da due ragazzi ed una ragazza. Questi indossavano delle tute bianche, simili a quelle usate dagli imbianchini. <Come mai quei tre sono vestiti in quel modo?> chiesi a bassa voce a Mario, che era seduto al mio fianco. <Le tute servono per non sporcarsi con i fluidi corporei della prigioniera quando verrà torturata: saliva, sangue, urina, feci,…>. A quelle parole i timori che mi aveva suscitato la vista degli strumenti predisposti per la lezione si accrebbero, ma ormai non potevo fare nulla per tornare indietro.
<Buongiorno a tutti>. <Buongiorno Professore> risposero quasi all’unisono i presenti. Solo Paolo ed io rimanemmo in silenzio. Sicuramente sentivamo entrambi il disagio di essere in quel luogo così assurdo, ma io, in particolare, iniziavo anche a temere di avere fatto un’immensa sciocchezza ad avere consegnato Claudia ad un destino che avrebbe segnato per sempre la sua esistenza e inevitabilmente compromesso la nostra relazione. <Oggi abbiamo un lungo programma da svolgere, per cui non perdiamo tempo e iniziamo immediatamente la lezione. Andate a prendere la prigioniera> disse il docente rivolto ai tre praticanti. Mentre la ragazza restò immobile, i suoi due compagni si allontanarono, uscendo dall’aula. Rientrarono poco dopo scortando Claudia, la quale, con i polsi ancora legati dietro la schiena e trattenuta con poco sforzo per le braccia dai due ragazzi, molto più alti e robusti di lei, venne trascinata in malo modo al centro della sala, vicino a quello che avevo ormai capito essere un banco di tortura>.
Era vestita esattamente come la mattina, quando era stata rapita, ma ora le avevano inserito un morso di gomma tra i denti, assicurato con una cinghietta regolabile chiusa dietro la nuca, che le divaricava la bocca impedendole di parlare ed ancora più di urlare. Due rivoli di saliva le uscivano dagli angoli della bocca divaricata, bagnandole le guance e gocciolandole sul collo. I suoi occhi mostravano tutto il suo terrore mentre cercava di capire dove si trovasse, chi fossero tutte quelle persone, perché l’avessero rapita e che cosa volessero farle.
Senza concederle altro tempo per orientarsi, i due ragazzi le slegarono i polsi da dietro la schiena, ma soltanto per costringerla immediatamente a sdraiarsi supina sul banco, allargarle a forza le braccia e le gambe e vincolarle i polsi e le caviglie alle estremità dei quattro rami della X con delle cinghie di cuoio ben strette che le rendevano inutile ogni tentativo di fuga.
<Bene ragazzi. La procedura di cattura e di gestione della prigioniera è stata eseguita perfettamente. Visto che non vi è stata riferita nessuna notizia al suo riguardo, provate a fare un’analisi dell’esemplare in base a quello che potete vedere e percepire di lei>. <Allora… si tratta di un esemplare femmina di razza bianca, presumibilmente europea, o comunque occidentale. I capelli scuri e gli occhi verdi fanno pensare ad un’origine spagnola, greca o forse italiana, in ogni caso mediterranea. Potrebbe avere un’età compresa tra i 45 e i 52 anni>. <Cosa mi sapreste dire del suo lavoro, della sua condizione sociale… Signorina Frescobaldi, mi racconti lei quello che riesce a capire guardando la prigioniera>. <Il suo abbigliamento, semplice e di buon mercato indica una donna di classe sociale medio-bassa o inferiore. Il fatto che non porti nemmeno un accenno di maquillage fa presumere che svolga un lavoro piuttosto umile: operaia, donna di servizio o forse semplicemente casalinga>. Forzandola ad aprire le mani che Claudia teneva serrate a pugno, dopo averle osservate attentamente continuò: <Più probabilmente è una casalinga, perché le mani sono piuttosto curate e non mostrano callosità o lesioni normalmente riscontrabili in operaie e in donne che fanno lavori manuali>. <Molto bene, ottima analisi Signorina Frescobaldi. Allora proseguiamo con il prossimo step>. <Per prima cosa dobbiamo togliere alla prigioniera l’orologio che ha al polso, orecchini, anelli, collanine ed ogni altro orpello che eventualmente indossa>, spiegò uno dei ragazzi mentre si accingeva ad eseguire quanto enunciato. Man mano che le venivano tolti, gli accessori indossati da Claudia venivano riposti in una cassetta di plastica che venne infine consegnata ad uno degli inservienti. L’ultima cosa che il ragazzo le tolse fu la fede nuziale, e quando lo fece ebbi la sensazione che lei guardasse nella mia direzione, incrociando per alcuni istanti il mio sguardo. <Ora dobbiamo rimuovere gli indumenti alla prigioniera in modo da denudarla> intervenne il secondo ragazzo, ravvivando l’attenzione dell’aula che si era intanto un po’ sopita. <Dato che è legata e che non intendiamo liberarla, eseguiremo questa operazione utilizzando delle forbici per tagliare i vestiti e rendere agevole la loro asportazione>. <Procedete> ordinò il docente.
Mentre i tre ragazzi eseguivano quanto annunciato, Claudia mugugnava e si irrigidiva nel vano tentativo di sottrarsi a quelle mani estranee che la stavano spogliando. Piangeva e per quanto riusciva si dimenava mentre le toglievano le scarpe e le sfilavano le calze dai piedi. Se il morso che aveva nella bocca non glielo avesse impedito, avrebbe urlato mentre con le forbici le tagliavano i jeans ed i maglioni. Se avesse potuto, avrebbe supplicato quei ragazzi di lasciarla stare mentre le rimuovevano il reggiseno e le mutandine, lasciandola completamente nuda. Se non fosse stata legata, avrebbe cercato di coprirsi con le mani e le braccia i seni e il pube per occultare la vista del suo corpo agli occhi famelici di tutte quelle persone estranee che osservavano la terribile umiliazione a cui era sottoposta.
Tutti i presenti avevano assistito in silenzio alla spoliazione della prigioniera, ma sebbene tutti si sforzassero di mostrare un contegno distaccato e professionale, l’eccitazione di molti di loro nel vedere Claudia così indecentemente esposta era evidente. Paolo, in particolare, non riusciva a contenere il tremolio delle mani mentre osservava quella che in quel momento non era più la sua amica vicina di casa, ma soltanto un corpo denudato da torturare e abusare. Intanto io, conoscendo l’estrema ritrosia di mia moglie nel mostrarsi nuda, addirittura nella nostra intimità, mi chiedevo se in quel momento il sentimento in lei più prevalente fosse la paura per ciò che le stava accadendo oppure la vergogna di essere esposta completamente nuda in presenza di tanti estranei. Quasi certamente entrambe queste emozioni convivevano nella sua mente, provocandole uno stato di terrore che rapidamente si stava trasformando in panico.
<Adesso che l’avete spogliata, mettetela bene in tensione> suggerì il professore ai tre apprendisti. I ragazzi si misero ad armeggiare con delle leve poste ai due lati del banco metallico sul quale Claudia era stata adagiata. Le quattro sezioni alle quali le erano stati vincolati i polsi e le caviglie si allungarono e si distanziarono, tendendole gli arti in direzioni opposte e costringendola ad inarcare l’addome, sollevare il petto e a divaricare le gambe ancora di più di quanto già non fossero. Messa così in trazione, gli unici movimenti che le erano ancora consentiti erano quelli del capo e quelli delle dita delle mani e dei piedi. Il divaricamento delle gambe faceva in modo che la zona pubica risultasse perfettamente accessibile, e la vulva dischiusa consentiva agli occupanti dei banchi posti dalla parte dei suoi piedi (tra i quali eravamo anche Paolo ed io) di scorgerle il roseo vestibolo vaginale. <Scommetto che tua moglie così nuda non l’avevi mai vista nemmeno tu prima d’ora> mi bisbigliò Paolo all’orecchio.
<Per quale motivo le procedure che abbiamo studiato prevedono che la prigioniera venga spogliata completamente?> chiese il docente rivolto ai tre apprendisti, che nel frattempo si erano disposti attorno a Claudia in modo da osservarla meglio. <Si tratta innanzitutto di una questione di praticità> rispose uno dei due ragazzi. <Se la prigioniera è nuda, l’accesso ad ogni parte del suo corpo quando viene torturata è certamente più agevole. Altrettanto importante è però l’aspetto psicologico, perché essere nuda di fronte a degli sconosciuti genera nella prigioniera uno stato di estremo disagio che accentua la sua sensazione di vulnerabilità. Questa è una cosa da tenere particolarmente presente quando si ha a che fare con degli esemplari femminili, perché per loro l’imbarazzo derivante dalla nudità del proprio corpo è generalmente maggiore rispetto a quello che si riscontra nei maschi>. Nel fare questa precisazione, il ragazzo scambiò uno sguardo con la sua compagna di corso, come a cercare un suo cenno di approvazione. <E come è possibile accentuare la sensazione di disagio della prigioniera dovuto al fatto di essere nuda?>, insistette il professore. <Ci sono diversi espedienti. Uno è ad esempio quello di porre nella sala di tortura degli specchi che costringano la prigioniera a vedere la propria nudità, così come la vedono gli altri>. <E’ per questo che in quest’aula ci sono specchi dappertutto, anche sul soffitto>, mi sussurrò Mario all’orecchio. Guardai in alto e vidi il grande specchio ellittico a cui si riferiva la nostra guida. Copriva quasi completamente la sala e rifletteva l’immagine di Claudia, nuda e legata in mezzo al folto pubblico che affollava l’aula. <Un altro espediente è quello di tenere la temperatura della sala bassa, così che la prigioniera, nei momenti di attesa come è questo, a causa della sensazione di freddo percepisca più intensamente la sua nudità>. <Ha capito adesso perché fa così freddo qua dentro?> mi bisbigliò ancora Mario. Sebbene in tensione per come era stata saldamente legata al banco di tortura, mi accorgevo che il corpo di Claudia era scosso da frequenti tremori. Sarà forse stato per l’agitazione che pervadeva il suo animo, ma sicuramente Claudia stava tremando anche per il freddo.
<Bravo. Davvero un’eccellete spiegazione. Signorina Frescobaldi, vorrebbe proseguire l’analisi della prigioniera che aveva iniziato poc’anzi, ora che la può osservare completamente nuda?>. La ragazza si avvicinò a Claudia e con le mani e con le dita iniziò ad esplorarne il corpo nudo, soffermandosi a toccarla con maggiore insistenza nelle zone più intime. La ispezionò tra le dita dei piedi e all’interno dell’ombelico. Le palpeggiò il collo, le ascelle e i fianchi. Si soffermò a lungo a comprimerle col palmo della mano ed i polpastrelli l’addome ed il basso ventre, così come le tastò più volte l’interno delle cosce, in prossimità dell’inguine. Qui giunta, sfiorò i peli pubici, ne afferrò tra le dita una ciocca e tirò lentamente e sempre più forte, fino a strapparne un gran numero dalla cute. Il dolore fu inaspettato e terribile, come una scossa di corrente. Claudia reagì inarcando il busto ed emettendo un prolungato lamento, trattenuto dal morso che le occludeva la bocca impedendole di urlare. Divertita da quella reazione, la ragazza afferrò un’altra ciocca di peli, li rigirò più volte tra le dita e poi strappò anche questi. Ancora una volta Claudia si irrigidì, capovolse di scatto la testa e tentò di urlare per contenere il dolore, ma dalla sua bocca non uscì che un soffocato mugugno. Martina, evidentemente eccitata dal quel nudo, a sua completa disposizione, che iniziava a tremare per la tensione e ad imperlarsi di sudore, volle ripetere questo gioco con i peli delle ascelle, che però si limitò a rigirare tra le dita e a tirare dolorosamente, arrivando a strapparne soltanto qualcuno, prima di scendere di nuovo ad accarezzarle i seni, il costato e il ventre. Quindi le divaricò i glutei per osservarle con particolare attenzione la rosetta anale, che tastò più volte con il dito indice prima di sospingerglielo all’ingresso dell’ano, forzandole l’apertura dello sfintere. Posizionatasi dalla parte del capo, le afferrò i seni e glieli impastò con vigore tra le mani per saggiarne la consistenza. Le afferrò con le dita i capezzoli turgidi, glieli tirò verso l’alto, glieli torse e glieli strizzò, incidendoli senza pietà con le unghie. Sottoposta a quelle brutali manipolazioni di parti così delicate e sensibili del suo corpo, Claudia ribaltò il capo all’indietro, sollevò il petto ed emise un lungo gemito di dolore, che ancora una volta venne soffocato dal morso che le serrava la bocca. Spesse volte vedevo che quando la ragazza inseriva le sue dita negli interstizi più intimi del corpo di Claudia, ne annusava con avidità l’odore rimasto su di esse. Ad un certo punto, le annusò con insistenza gli spazi tra le dita dei piedi. Si spostò quindi ad annusarle le ascelle che poi leccò avidamente. Scendendo lungo il petto, le succhiò i capezzoli e la leccò fino a raggiungere il pube. Qui le divaricò con le dita le piccole labbra e dopo avere assaporato l’odore intenso emanato dalla vagina che si mescolava con quello proveniente dall’orifizio anale, le iniziò a leccare l’interno del vestibolo vaginale e a succhiarle il clitoride. Martina proseguì quella invasiva ed umiliante perlustrazione per diversi minuti che a Claudia dovettero sembrare infiniti. Sopraffatta dalla vergogna per quella sconcia esplorazione in pubblico del suo corpo nudo e indifeso, aggravata dalle molestie lesbiche a cui non era avvezza e che le risultavano estremamente sgradite, Claudia piangeva, tentava inutilmente di urlare, scuoteva la testa e si irrigidiva, mentre era scossa da brividi incontrollabili, provocati dal freddo e forse ancor di più dalla tensione.
Martina si accostò con movenze ostentatamente languide al volto di Claudia bagnato di lacrime e paonazzo per la vergogna. <Lo sai che come una capretta selvatica, vero?. Ti puzzano i piedi, e anche la figa, il culo e le ascelle ti puzzano da far vomitare. Perché non ti depili la figa e le ascelle? Forse faresti un po’ meno schifo, lurida troia… Scommetto che è almeno una settimana che non ti fai la doccia, vero schifosa puttana? Però devo dire che le tue intimità hanno dei sapori piuttosto sensuali, e scommetto che il tuo corpo avrà un sapore ancora più gustoso dopo che ti avremo battuta per bene e ti avremo fatto sanguinare>, le sussurrò in un orecchio. Poi, rivolta al Professore: <Confermo l’ipotesi che la prigioniera ha un’età compresa tra i 45 ed i 52 anni. E’ alquanto in sovrappeso ed i muscoli dei glutei, delle braccia e delle gambe sono piuttosto flaccidi, per cui escludo pratichi sport regolarmente. L’addome piuttosto molle e prominente e le numerose smagliature che le segnano il basso ventre indicano che ha partorito, probabilmente più di una volta. Le mammelle sono piuttosto abbondanti e ancora abbastanza sode, ma iniziano a mostrare i primi segni di cedimento e anch’esse presentano diverse smagliature in prossimità delle areole, chiaro indizio che deve avere allattato al seno. L’orifizio anale è compatto ed il perineo ancora sodo, quindi si può dedurre che non viene abitualmente sodomizzata. La rosetta di carne che incornicia l’ano è piuttosto sporgente e le emorroidi sono un po’ gonfie, il che fa presumere una certa predisposizione alla stitichezza. Si dovrà tenere conto di questo prevedendo un abbondante flussaggio del colon-retto prima di un eventuale utilizzo>. <Non ho capito l’ultima cosa che ha detto>, mi bisbigliò Paolo accostandosi al mio orecchio. <Intende dire che si deve farle un clistere prima di infilarle qualcosa nel culo>, gli risposi ridendo. Martina continuò la sua esposizione: <Gli odori che emana il suo corpo indicano che la prigioniera non fa un bagno o una doccia da almeno una settimana, il che conferma il fatto che non lavora fuori casa e non ha una vita sociale molto attiva. La sua fortuna è quella di avere degli odori di base non particolarmente intensi, che risultano percepibili chiaramente solo sottoponendo il suo corpo nudo ad un’approfondita ispezione, come ho fatto io. La pigmentazione della sua pelle – decisamente più chiara sul petto, sul ventre e sui glutei rispetto al resto del corpo – indica che in estate indossa abitualmente costumi da bagno interi, forse perché si vergogna del suo corpo e tende ad occultarlo il più possibile. La presenza di peli sotto le ascelle e nell’inguine evidenziano inoltre che non si depila da almeno due-tre mesi, quindi si desume che abbia cura di farlo soltanto in estate, dovendo indossare indumenti succinti>.
Mentre Martina evidenziava tutti i suoi difetti fisici ed infieriva sulla sua scarsa pulizia e cura del corpo, il volto di Claudia diveniva sempre più paonazzo mentre i suoi occhi si gonfiavano di lacrime. Il suo corpo completamente nudo ed esposto allo sguardo indagatore di tanti sconosciuti, le sue intimità oscenamente esibite, ispezionate, palpeggiate e giudicate senza alcuna pietà… cosa poteva esserci di più terribile da subire per una donna pudica e piena di complessi com’era mia moglie?
<Certo che Martina è proprio una stronza>. I due ragazzi seduti nella fila davanti alla nostra bisbigliavano tra loro, commentando l’esposizione della loro compagna di corso. Sebbene a fatica, riuscivo ad udire quello che si stavano dicendo. <Se non stessimo guardando anche noi quella donna, ascoltando la descrizione che ne ha fatto Martina penseremmo che sia un mostro. Io onestamente non la trovo poi così male>. <Sì, anche a me non dispiace. Ha un viso fine e degli occhi molto belli. Certo non ha un fisico da modella, ma a me non dispiace l’idea di giocare con una donna matura e con un corpo un po’ abbondante come il suo>. <Sono d’accordo. Deve essere molto divertente torturarla. Ha un corpo che si presta bene a diverse sevizie. E ti dirò che, dopo averla seviziata, non mi dispiacerebbe farmela in tutti i suoi buchi questa lurida troia>.
<Signori, direi che abbiamo chiacchierato abbastanza. Adesso i nostri praticanti ci mostreranno cosa sanno fare. Ragazzi, io mi accomodo tra il pubblico ad assistere allo spettacolo. La prigioniera è tutta vostra, fatele quello che volete>. Il Professore andò ad accomodarsi in una poltrona libera della prima fila mentre il bisbiglio di sottofondo dell’aula scemava. Martina Frescobaldi si accostò al viso di Claudia parlandole con una voce forzatamente suadente. <Quando prima ti comprimevo l’addome non sei riuscita a trattenerti e hai spruzzato fuori un po’ di pipì, te ne sei accorta vero? Tastandoti il ventre ho sentito che hai la vescica gonfia che sta per esplodere. Da quante ore è che non fai pipì, lurida puttana? Adesso farò in modo di farti pisciarti addosso, qui in pubblico, mentre tutti ti stanno guardando>. <La Signorina Frescobaldi è la migliore del corso. Una vera sadica, senza alcuno scrupolo. Nelle prossime ore farà passare a sua moglie le pene dell’inferno, glielo posso garantire>, mi bisbigliò Mario all’orecchio.
Rimasi stupito della qualità dell’acustica di quella sala. Pur essendo seduti nell’ultima fila, le parole della ragazza ci giungevano nitide, come se fosse vicino a noi.
<Mettetela in posizione ginecologica> comandò Martina ai suoi due compagni. Ubbidendo prontamente, uno dei due ragazzi manovrò uno dei carroponte fino a portarlo sopra i piedi di Claudia; quindi fece calare le due catene che l’altro ragazzo assicurò con dei moschettoni agli anelli fissati alle cinghie di cuoio che erano state strette attorno alle caviglie della prigioniera. Una cinghia che le avevano fatto passava sopra l’addome venne stretta in modo da tenerle il dorso aderente al banco. Dopo di che le catene furono di nuovo alzate, portando in questo modo verso l’alto le gambe di Claudia che vennero messe in tensione e divaricate fino a quanto le sue articolazioni potevano sopportare. In questo modo, sia l’ano che la vagina risultavano perfettamente esposti ed accessibili.
<Signorina Frescobaldi, le chiedo la cortesia di avviare la telecamera frontale. Al contempo, invito il pubblico ad accendere i monitor dei banchi di fronte a voi> intervenne il professore. Mario premette un pulsante e dal nostro banco uscì uno schermo, tramite il quale sia noi due che Paolo potevamo osservare quello che la telecamera posta sul frontalino della ragazza stava inquadrando. <Si tratta di una telecamera in 8K. In questo modo potremo vedere nei dettagli quello che verrà fatto a sua moglie, come se fossimo a pochi centimetri da lei> mi precisò Mario con un certo compiacimento.
<Le vedi le mie mani?> chiese Martina a Claudia, che la guardava sempre più spaventata. <Avrai notato che ho le unghie lunghe ma non uso lo smalto, e lo sai perché? Perché quando ti torturo voglio vedere il tuo sangue che mi bagna le dita e se avessi le unghie smaltate, il rosso del tuo sangue si confonderebbe con il colore dello smalto>. Un ghigno canzonatorio accompagnò le parole minacciose della ragazza, ma Claudia era già talmente terrorizzata che impaurirla ulteriormente non sembrava necessario.
Martina si pose tra le gambe divaricate di Claudia e noi potemmo contemplare sullo schermo il suo ano e la sua vulva perfettamente esposti.
<Signorina Frescobaldi, prima di proseguire, a beneficio delle matricole del corso, facciamo un breve ripasso dell’anatomia pubica femminile>, intervenne il professore. Martina prese una bacchetta dal carrello e per mostrare meglio al pubblico le parti che menzionava, le toccava ogni volta con la punta di questa.
<Iniziando dal basso, possiamo vedere l’orifizio anale, coronato da questa rosetta di carne marrone che è separato dalla vagina tramite il perineo. Questa linea di pelle in rilievo che corre lungo il perineo è il rafe perineale. Arrivando all’apertura vaginale, queste più esterne, ricoperte di peli, sono le grandi labbra, mentre queste rosee più interne sono le piccole labbra, che delimitano il vestibolo della vagina, al centro del quale si trova l’orifizio vaginale. Se guardiamo bene al suo interno possiamo scorgere la cervice dell’utero. Se questa troia fosse ancora vergine, in questo punto si vedrebbe l’imene. Poco sopra l’orifizio vaginale si trova l’orifizio uretrale, e ancora sopra c’è il clitoride. Qui, alla congiunzione delle piccole labbra c’è il frenulo del clitoride, mentre questa specie di ghiandola sporgente, che assomiglia molto ad un glande maschile in miniatura, è invece il glande del clitoride che, quando non è stimolato, è nascosto da questo lembo di carne chiamato prepuzio del clitoride>.
<Eccellente Signorina Frescobaldi. Ora può proseguire con la sua dimostrazione>.
<Preparati lurida puttana. Adesso iniziamo lo spettacolo. Facciamo vedere a tutte queste persone che ti stanno guardando come fai a fare pipì> sussurrò Martina accostandosi al volto rigato di lacrime di Claudia, prima di porsi nuovamente tra le sue gambe sconciamente divaricate. Sullo schermo vedemmo inquadrato l’orifizio uretrale di Claudia e qualche istante dopo il dito indice di Martina che lo sfregava con la punta dell’unghia, mentre con il palmo e le dita dell’altra mano le comprimeva con forza il basso ventre, appena sopra il monte pubico. Claudia mugugnava e si irrigidiva, ma non poteva fare nulla per sottrarsi ai rudi palpeggiamenti a cui era sottoposta. La osservavo mentre sempre più frequentemente ruotava il capo all’indietro e serrava con tutta la forza che aveva le dita delle mani e dei piedi, nel vano tentativo di strappare le cinghie di cuoio che la trattenevano e fuggire da quell’incubo. Certamente lo sfregamento dell’unghia di quella ragazza su una parte così delicata e sensibile del suo corpo le procurava dolore, ma era evidente anche il suo sforzo per resistere al bisogno di mingere che diventava sempre più intenso, man mano che Martina proseguiva quella brutale palpazione. Il suo disperato sforzo per trattenere la vescica durò diversi minuti, ma alla fine, vinta dalle manipolazioni di Martina e stremata dalla fatica, Claudia cedette a quel bisogno impellente ed un fiotto di urina stillò copiosamente dalla sua uretra, andando a bagnare la mano di Martina per poi gocciolare sul pavimento in un’ampia pozzanghera.
<GUARDA CHE SCHIFOSA PUTTANA CHE SEI!> le urlò la ragazza, mentre la pipì di Claudia continuava schizzarle sulla mano con la quale insisteva a rovistarle l’interno della vagina, sebbene il suo scopo fosse già stato ampiamente raggiunto. <Alla tua età ti stai pisciando addosso come una bambina>. Quindi estrasse dalla vagina di Claudia le sue dita grondanti di urina e se le ripulì sfregandogliele sulle cosce e sul petto, insozzandole l’addome e le mammelle.
Sbirciai i volti dei presenti, nessuno dei quali riusciva ormai più a nascondere l’eccitazione. Tutti erano in silenzio e attenti. Un ragazzo seduto poco distante da me, pensando di non essere visto da nessuno, si sistemò con una mano il membro che gli si era gonfiato dentro i pantaloni, mentre una ragazza poco più in là si accarezzava con le dita il pube nascosto dai jeans e si mordeva il labbro inferiore per trattenere l’orgasmo. Anche Paolo era evidentemente turbato dallo spettacolo a cui aveva appena assistito ed il tremolio delle sue mani era sempre più evidente. Gli unici che rimanevano apparentemente impassibili erano Mario ed il docente.
All’improvviso una voce si alzò da un angolo della sala. <FATELA SOFFRIRE. VOGLIAMO VEDERLA SANGUINARE E SENTIRLA URLARE PER IL DOLORE>. Insieme a molti dei presenti mi voltai a guardare chi era stato così temerario da rompere in quel modo l’ostentata asetticità di quella classe. Era un ragazzo di circa vent’anni, che si era alzato in piedi per formulare quella richiesta tanto esplicita.
<Signor Venturi, lei è sempre il solito impaziente> lo redarguì il professore. <Penso che però questa volta lei sia portatore di una richiesta condivisa dalla maggior parte dei suoi compagni. Signori praticanti, siamo tutti curiosi di vedere come la prigioniera reagirà ai supplizi che le farete subire>.
<Lorenzo, toglile il morso dalla bocca, e tu Leonardo dalle una lavata alla faccia con quella bottiglia d’acqua>. I due ragazzi eseguirono le indicazioni della compagna, la quale era evidente fosse la leader carismatica del gruppo. Quando l’acqua le asperse la bocca, Claudia bevve con avidità le poche stille che riuscì a trattenere. Dopo tante ore trascorse con quel morso inserito in bocca e senza poter bere, era disidratata e divorata dalla sete. <Basta così! Non dargliene troppa, voglio che muoia di sete. Tra qualche ora ci dovrà supplicare per avere un po’ di acqua>.
<Vi prego… lascetemi andare… perché mi state facendo questo?> mormorò Claudia con la bocca ancora impastata dalla lunga costrizione impostale dal morso. <TU DEVI STARE ZITTA, PUTTANA!>, le urlò Martina mollandole un vigoroso ceffone sul volto. <Non ti abbiamo tolto il morso per ascoltare le tue chiacchiere, ma soltanto per sentirti piangere e urlare quando ti torturiamo>. Senza concederle altro tempo, la ragazza prelevò dal carrello uno spiedo dalla punta estremamente acuminata e, senza alcun preavviso, glielo conficcò nella pianta del piede, poco sotto il tallone. <AAAAAAHHHH…>, un urlo disperato squarciò la sala mentre la punta penetrava lentamente nella carne di Claudia. Vedendo il sangue sgorgare dalla ferita inferta alla sua vittima, Martina estrasse lo spiedo dal piede di Claudia, ma soltanto per trafiggerla un po’ più in alto. Quando anche qui la punta era penetrata sufficientemente in profondità da far sanguinare abbondantemente la lacerazione, l’estrasse nuovamente per andare a torturarle un’altra parte della pianta del piede. <AAAAAAHHHH… NOOO…. BASTA BASTA…>. Mentre la ragazza la torturava, Claudia continuava ad urlare e a irrigidirsi nel vano tentativo di liberarsi e sottrarsi a quel supplizio. Nonostante il freddo, il suo corpo era ora madido di sudore. Copiosi rivoli di sangue le colavano lungo la pianta del piede martoriato e lungo i polpacci per gocciolare poi sul pavimento, quando Martina si spostò a torturarle anche l’altro piede. Notavo come ogni suo gesto fosse compiuto con estrema lentezza, in modo che la sua vittima – potendo osservare ogni dettaglio di quello che le veniva fatto attraverso gli specchi presenti nella sala – avesse il tempo di comprendere le intenzioni della sua carnefice e così anticipare nella sua mente il dolore che dopo qualche istante avrebbe patito. Anche l’inserimento della punta acuminata nelle carni di Claudia era eseguito con estrema lentezza, in modo che lei percepisse il dolore provocato dalla lacerazione dell’epidermide che diveniva poi sempre più intenso ed insopportabile man mano che la punta affondava nella carne viva fino a raggiungere il tessuto muscolare.
Martina si posizionò tra le gambe divaricate di Claudia e dopo averle mostrato lo spiedo insanguinato, in modo che lei potesse rendersi ancor meglio conto dell’atrocità della tortura che aveva appena subito, avvicinò la punta all’interno della sua coscia sinistra e lentamente, come aveva fatto sui piedi, glielo fece penetrare in profondità nella carne. <NOOO… BASTAAAA… ti prego ti scongiuro, basta… AAAAAAHHHH..>.
Dopo averle estratto la punta sanguinante dalla coscia sinistra, senza alcuna esitazione Martina ripeté quella tortura sulla coscia destra. Se non fosse stata sdraiata e con le gambe sollevate, quasi certamente Claudia avrebbe perso i sensi. Ma anche questo dettaglio era evidentemente calcolato: la prigioniera avrebbe sofferto il supplizio fino alla fine, senza che le fosse nemmeno concesso di svenire quando sopraffatta dal dolore.
<Adesso, lurida puttana, passiamo a tormentarti dove sei più delicata e sensibile al dolore. Anziché questo spiedo, che ti rovinerebbe troppo, userò questo ago>. Martina mostrò a Claudia un ago da siringa da 8 centimetri avvicinandoglielo al volto, in modo che potesse vederlo bene e rendersi conto di quanto fosse grande. <Lo vedi quanto è lungo e quanto è grosso. Riesci ad immaginare il dolore atroce che sentirai quando te lo infilerò nel buco del culo, nella figa e nelle tette? Per iniziare, però, proviamo a vedere se qui sotto le ascelle ti fa abbastanza male>. Martina accostò la punta dell’ago al centro dell’ascella sinistra di Claudia, quindi iniziò a spingerlo perpendicolarmente alla superficie, facendolo penetrare lentamente nell’epidermide e poi in profondità fino a raggiungere il tessuto adiposo. <AAAAAAHHHH…. BASTAAAA… basta, ti prego basta…>, ma le suppliche di Claudia sembravano sortire come unico effetto quello di aumentare la determinazione della sua torturatrice e l’eccitazione del pubblico che assisteva al suo supplizio.
Dopo aver praticato quella tortura anche nell’ascella destra, Martina decise che era arrivato il momento di tormentarle i capezzoli, quindi si leccò il pollice e l’indice della mano destra e con le dita bagnate della sua saliva si mise a trastullare le areole ed i capezzoli di Claudia che, complice l’aria fresca della sala, divennero rapidamente turgidi. Senza indugiare ulteriormente, la sadica ragazza prima le trafisse l’areola, dopo di che le trapassò il capezzolo da parte a parte, muovendo l’ago infilzato all’interno della carne per procurare ancora più sofferenza nella sua vittima. <AAAAAHHHH… TOGLILO TOGLILO… ti scongiuro, toglilo…>. Claudia continuava ad urlare disperata e a supplicare invano la pietà di quella crudele ragazza. Le sue urla diventavano sempre più acute ogni volta mentre Martina passava a torturarle l’altro seno per poi ricominciare a tormentarle quello già torturato in precedenza. Rivoli di sangue fuoriuscivano dalle lacerazioni inferte dall’ago e dipartendosi dai capezzoli scendevano lungo i seni ed il costato per poi gocciolare sul banco di tortura.
<Trafiggere l’ombelico è doloroso?> chiese Lorenzo un po’ intimidito a Martina. <Credo sia meno doloroso che i capezzoli, però possiamo provare>. Dopo avere divaricato con le dita il foro ombelicale di Claudia in modo da metterne in luce il fondo, la ragazza inserì la punta dell’ago e lo premette con decisione facendolo penetrare in profondità nella pancia della sua vittima. <AAAAAAH… BASTAAA… basta… basta…>. <Sembrerebbe che faccia molto male…> commentò sarcastico Leonardo, il terzo apprendista.
<E adesso aumentiamo ulteriormente il livello del dolore. Portatemi uno sgabello>, chiese Martina ad un inserviente affacciato sulla porta d’ingresso alla sala. Questi ricomparve dopo poco portando uno sgabello di acciaio che porse alla ragazza. Lei lo posizionò tra le gambe divaricate di Claudia e ci si accomodò, come se dovesse sottoporla ad un’esame ginecologico. Prelevato dal carrello l’ago già usato poco prima, con le dita della mano sinistra le divaricò l’orifizio anale, così da mettere bene in evidenza la rosetta di carne che lo coronava, e con la punta dell’ago iniziò a trafiggergliela ripetutamente. Claudia urlava e si irrigidiva, ma ogni suo sforzo per liberarsi ed ogni sua supplica erano vani. Da ogni nuova ferita che le veniva prodotta dall’ago, il sangue iniziava a fuoriuscire copioso, colando lungo i glutei ed i fianchi per poi gocciolare sul pavimento e mescolarsi con l’urina che nessuno aveva ancora ripulito.
Martina passò quindi a trafiggerle il rafe perineale, spostando l’ago un po’ più in su ad ogni puntura che le praticava, fino a raggiungere la parte inferiore delle piccole labbra ed entrare nel vestibolo vaginale. <AAAAAAHHHH…>, qui le urla di Claudia divennero ancora più acute. Il suo corpo era fradicio di sudore, come se fosse appena uscita dall’acqua, e nei pochi istanti in cui i muscoli non erano in tensione era scosso da tremori incontrollati.
Martina, per nulla impietosita dalle suppliche della sua vittima, ma anzi compiaciuta per il risultato ottenuto attraverso le sevizie che aveva escogitato, si soffermò a lungo a pungerle ripetutamente le piccole labbra, il vestibolo e l’orifizio vaginale. Essendo una regione del corpo femminile particolarmente irrorata dai vasi sanguigni, ogni lacerazione produceva una copiosa emorragia. Come tutto il pubblico presente, Mario, Paolo ed io osservavamo nello schermo davanti a noi ogni istante ed ogni dettaglio della tortura a cui era sottoposta Claudia. Le zone più intime del suo corpo erano oscenamente offerte agli sguardi indiscreti di una moltitudine di estranei, i quali non solo non provavano alcuna pietà per le crudeltà alle quali era sottoposta, ma godevano della sua sofferenza ed assaporavano ogni suo lamento.
<Sa qual è la cosa peggiore per sua moglie?>, mi chiese Mario. Di cose “peggiori” gliene avrei potute elencare molte, ma la sua osservazione mi confermò ancora una volta quanto quell’uomo conoscesse bene il suo mestiere. <Se fosse sottoposta ad un interrogatorio sotto tortura, sua moglie avrebbe la possibilità di far cessare il suo supplizio rivelando ai suoi aguzzini tutto quello che vogliono sapere, ma in questo caso viene torturata per un motivo che lei non conosce, che potrebbe essere anche il semplice divertimento dei suoi torturatori. Lei inoltre non può minimamente prevedere quando e se i suoi aguzzini smetteranno di tormentarla: potrebbe essere tra un minuto come tra una settimana. Dopo qualche ora – che a lei sembrerà un tempo infinito – inizierà a pensare che verrà torturata fino alla morte, ed arriverà il momento in cui la morte la invocherà come una liberazione, perché sarà l’unica sua speranza per far cessare gli insopportabili supplizi a cui è sottoposta>.
Mentre Martina infieriva sulla vagina di Claudia, Lorenzo e Leonardo iniziarono ad essere irrequieti. La loro eccitazione era evidente, e se fossero stati soli con la prigioniera a questo punto l’avrebbero già stuprata almeno una volta. Per dare sfogo alla loro smania di usare anche loro quel corpo così offerto e vulnerabile, Leonardo prese dal carrello due aghi simili a quello che stava usando Martina e ne porse uno a Lorenzo. Dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa incominciarono a tormentare con estrema crudeltà i seni ed i capezzoli di Claudia, così come aveva fatto poco prima la loro compagna. Mentre uno le trafiggeva ripetutamente il seno sinistro l’altro faceva la stessa cosa sul seno destro. Martina intanto aveva ora concentrato la sua attenzione sull’orifizio uretrale ed il clitoride che si divertiva a trapassare con l’ago da parte a parte e da varie angolazione. In quel modo Claudia era torturata contemporaneamente dai tre ragazzi nelle zone del suo corpo più delicate e sensibili al dolore.
Andarono avanti così per più di quaranta minuti, mentre Claudia continuava ad urlare disperata e a supplicare invano la pietà dei tre aguzzini. Il suo corpo nudo era ricoperto da una patina umida di sudore, sangue, lacrime e saliva, che cocciolavano sul banco di tortura e sul pavimento di linoleum. I suoi muscoli erano ormai costantemente in tensione. Era stremata e disidratata ed aveva perso la cognizione del tempo: quante ore erano passate da quando era stata rapita? Da quanto tempo quei ragazzi la stavano torturando? Erano ore oppure giorni?
Finalmente i tre ragazzi si fermarono. Anche loro sentivano il bisogno di una pausa dopo tante ore di lavoro. Il professore concedette venti minuti di intervallo, nel quale il pubblico poteva sgranchirsi le gambe, fare un giro alle toilette ed anche concedersi un caffé o uno snak al bar interno.
Per tutto il tempo dell’intervallo, Claudia restò immobile e con gli occhi chiusi, abbandonata in un sonno profondo. Se non fosse stato per il suo petto che si alzava ed abbassava ad ogni respiro, si poteva pensare che fosse morta. Come alcuni altri spettatori curiosi, anche Paolo ed io ci avvicinammo al banco sul quale era immobilizzata. Quando mi trovai a pochi centimetri da lei, percepii l’odore pungente proveniente dal suo corpo sporco e sudato, ed in particolare dalle sue intimità così indecentemente esibite. Sebbene gli schermi ad alta risoluzione ci avessero mostrato il dettaglio delle torture che le erano state inflitte, vedere il suo corpo nella sua interezza ed osservare le innumerevoli ferite ancora sanguinanti che lo segnavano, dava il senso dello crudeltà che i tre aguzzini avevano impiegato per torturarla. Ebbi l’impulso di accarezzarla e di baciarla, ma mi trattenni e mi allontanai, tornando a sedere al mio posto.
I tre praticanti ripresero il loro posto al centro della sala, facendo capire ai presenti che l’intervallo era finito. Leonardo aveva con sé una bottiglietta di acqua, la stappò e riversò nella bocca di Claudia un stilla che la fece risvegliare repentinamente. Dopo un primo istante di paura e smarrimento, assetata come mai lo era stata prima di allora, bevve avidamente l’acqua che il ragazzo le riversava nella bocca, cercando di trattenerne il più possibile, sebbene la gran parte le bagnasse il viso per poi cadere a terra. Come mi confermò anche Mario, quello non era un gesto di pietà nei confronti di una prigioniera stremata e disidratata, ma solo un accorgimento per far sì che potesse resistere senza svenire alle numerose torture che ancora l’attendevano.
<Appendete questa lurida puttana al carroponte>, ordinò Martina ai due ragazzi. I due praticanti liberarono i polsi e le caviglie di Claudia e la costrinsero ad alzarsi dal banco di tortura. Quando fu seduta sul bordo, con le gambe ciondolanti, la testa le girava vorticosamente, e non appena appoggiò i piedi sul pavimento, il dolore provocato dalle ferite sulle piante ancora sanguinanti si riacutizzò. Se i due ragazzi ai suoi lati non l’avessero trattenuta saldamente per le braccia, si sarebbe accasciata a terra. Venne quindi trascinata di forza alcuni metri più in là, fino a portarla sotto il carroponte dal quale pendevano le due catene usate in precedenza per trattenerle le gambe. Le strinsero ai polsi ed alle caviglie delle cinghie di cuoio che portavano degli anelli metallici dotati di moschettoni tramite i quali le vincolarono le braccia e le gambe alle due catene che pendevano sopra la sua testa e ai due golfari posti sul pavimento. Manovrando il carroponte, le vennero sollevate in alto le braccia fino a farle staccare i piedi dal pavimento, dopo di che vennero tirate anche le catene che le trattenevano le caviglie in modo da divaricarle le gambe. Martina si occupò personalmente delle ultime regolazioni, cercando di mettere il più possibile in trazione le braccia e le gambe della prigioniera, fino a farla gemere per il dolore che quella tensione le provocava alle giunture. Quando ebbero finito, il suo corpo si mostrava come una “X” sospesa a mezz’aria. Singhiozzante e con il volto solcato dalle lacrime, Claudia teneva il capo reclinato sul petto, mentre quattro telecamere fisse poste su dei cavalletti la inquadravano da varie angolazioni mostrando impietosamente sugli schermi il suo corpo nudo e sporco, scosso dai tremori e segnato dalle torture subite fino a quel momento.
Martina si mise davanti alla prigioniera e senza preavviso le sferrò due vigorosi ceffoni sul viso seguiti da un cazzotto sul plesso solare. <UUUUUUGH…>, il dolore lancinante allo stomaco tolse il respiro a Claudia per diversi secondi, ma non si era ancora ripresa da quel primo pugno che un secondo ed un terzo ancora più forti la colpirono ai fianchi, facendola piegare in avanti, per quanto le catene le permettessero. Martina si scostò di qualche passo per lasciare spazio ad uno dei due ragazzi, il quale sferrò dei pugni violenti sui fianchi di Claudia, appena sotto le ascella. Il secondo ragazzo, che prese il posto del primo, la colpì con svariati pugni sui reni, prima che Martina tornasse ancora all’assalto della prigioniera inerme con una violenta ginocchiata sulla vulva, che le strappò un urlo straziante. Non lasciandole il tempo di dissipare il terribile dolore all’inguine, Martina iniziò a colpirla sulle mammelle con pugni laterali, dal basso verso l’alto e centrali, mentre i ragazzi continuavano a colpirla da dietro con energici calci sui glutei e sulle gambe. Ai calci e ai pugni sul corpo si alternavano violente sberle sul viso che le spaccarono il labbro superiore e le provocarono un copioso sanguinamento da entrambe le narici. Per quasi un’ora una tempesta continua di pugni, calci e sberle si abbatté sulla prigioniera inerme, che veniva picchiata senza pietà dai tre ragazzi come fosse un sacco da kickboxing. Quando finalmente le percosse cessarono, il volto di Claudia era una maschera sanguinante, mentre il suo corpo era segnato ovunque da lividi, abrasioni e tumefazioni.
Osservavo Claudia mentre teneva il capo mollemente reclinato sul petto ed era scossa dai singulti di pianto. Appesa nuda con le braccia e le gambe divaricate, il corpo ferito e bagnato di sudore, sangue e saliva, appariva ancora più vulnerabile. Ma il suo supplizio era appena incominciato. Martina scelse dal carrello una frusta lunga e sottile, che Mario mi spiegò essere terribilmente dolorosa, sebbene non avrebbe lasciato che delle abrasioni o al massimo delle piccole lacerazioni sul corpo di Claudia. <Del resto, una tortura per essere davvero efficace deve durare a lungo, per cui è nostro interesse che la prigioniera non si rovini troppo>, mi precisò. Intanto Martina si pose alle spalle di Claudia, che continuava a restare immobile ed in silenzio, ad eccezione dei mugugni di pianto. Martina distese la frusta sul pavimento e la fece oscillare per testare la flessibilità della corda inguainata, arretrò di qualche passo così da porsi alla distanza giusta, sollevò il braccio dietro la sua testa e schioccò con forza e decisione la prima frustata. Il sibilo della corda che fendeva l’aria immobile ruppe il silenzio della sala, seguito dopo un istante dallo schianto della frustata che si abbatteva sulla schiena nuda di Claudia, poco sopra i glutei, e dal suo urlo acuto e prolungato: <AAAAAAAAHHHHHH…>. Una seconda frustata le colpì entrambe i glutei, seguita rapidamente da una terza che si abbatté sulla schiena, all’altezza delle scapole e poi da una quarta frustata che la colpì nella parte posteriore delle cosce. <AAAAAAAAHHHHHH…>, Claudia urlava disperata mente le frustate continuavano a colpirla in rapida successione, ferendola ogni volta in una zona diversa dalla precedente. Osservavo i muscoli delle sue braccia e delle sue gambe mentre si contraevano nel vano tentativo di sfuggire ai morsi di quella corda crudele che lei sentiva dilaniarle le carni, tanto era atroce il dolore che ogni frustata le procurava. Gli schermi in alta risoluzione e gli specchi presenti nella sala moltiplicavano l’immagine del suo corpo nudo, di nuovo madido di sudore e sempre più segnato, dopo ogni frustata che la colpiva, da striature rosso-violacee in rilievo, a tratti punteggiate da goccioline di sangue. Come il resto del pubblico assistevo sempre più eccitato al supplizio di Claudia, godendo del suo strazio, delle sue urla di dolore, del suo pianto disperato e delle sue invocazioni di pietà. Ma quando pensavo che fosse stato raggiunto il massimo della crudeltà, i due praticanti presero ognuno dal carrello una frusta molto simile a quella che stava usando la compagna, si piazzarono uno sul lato sinistro e l’altro sul lato destro di Claudia, in modo che con Martina formassero i vertici di una stella a tre punte avente per centro il corpo della prigioniera. Martina, interpretate le intenzioni dei compagni, rallentò la frequenza delle frustate inflitte a Claudia. Allora Leonardo iniziò anch’egli a frustarla, seguito pochi istanti dopo da Lorenzo. In questo modo, i colpi inferti dai tre fustigatori si susseguivano a distanza di pochissimi istanti l’uno dall’altro, abbattendosi ora su ogni parte del suo corpo, anche sui seni, sull’addome, sul pube, sulle cosce, sulle braccia, sotto le ascelle, sui polpacci… nessun centimetro del suo corpo veniva risparmiato, ad eccezione del volto, e la rapida successione con la quale le frustate la colpivano non le dava quasi il tempo di respirare.
Andarono avanti a frustarla in questo modo per più di mezz’ora, senza darle un attimo di respiro, fino a quando, stremata dal supplizio e sopraffatta dal dolore, Claudia cadde in uno stato di catalessi. Non essendo più in grado di trattenere gli sfinteri, un copioso fiotto di pipì, schizzando dall’uretra, le colò lungo le cosce ed i polpacci, per poi gocciolare sul pavimento a formare un’ampia pozzanghera. Quando il flusso di pipì si fu quasi esaurito, Claudia emise una prolungata flatulenza, subito seguita da uno scroscio di feci liquide che colò lungo le sue gambe prima di cadere sul pavimento. <Sei proprio una lurida puttana!>, <Guarda che schifo che hai fatto. Hai sporcato tutto il pavimento con la tua lurida piscia e la tua merda schifosa>, <Adesso puzzi ancora di più di quanto puzzavi prima, lurida troia puttana…>. I tre aguzzini infierivano su di lei con parole volgari, per umiliarla ancora di pù di quanto già non fosse e farla sentire ancora più misera di fronte al pubblico che osservava impietosamente ogni dettaglio del terribile supplizio al quale era sottoposta. <Date per cortesia una lavata a questa lurida troia e una spazzata al pavimento>, ordinò Martina rivolta agli inservienti che stavano affacciati curiosi sulla porta dell’aula. Questi tornarono poco dopo portando due secchi di acqua che gettarono addosso a Claudia, uno sul petto ed uno sulla schiena. L’improvviso contatto con l’acqua gelida fece bruscamente riprendere i sensi alla prigioniera. Claudia si irrigidì tirando le catene che la trattenevano ed emise un lungo gemito sofferente. Inzuppata d’acqua, con i denti che le battevano ed il corpo scosso da violentissimi tremori incontrollati, venne lasciata lì appesa ancora per diversi minuti, fino a quando gli inservienti non ebbero ripulito il pavimento.
Martina si avvicinò a Claudia. Il freddo della stanza e l’acqua gelata che ancora la bagnava facevano sì che le sue areole fossero corrugate ed i suoi capezzoli duri ed eretti. Martina iniziò a trastullarglieli con le dita e con le sue unghie sottili, dopo di che li prese in bocca succhiandoli avidamente. I gemiti di Claudia accrescevano l’eccitazione che quello spettacolo stava provocando a tutta la sala. Il tremore sempre più intenso delle mani di Paolo tradiva la sua inquietudine mentre fissava i seni di Claudia che venivano ripetutamente risucchiati nella bocca vorace di Martina e ne uscivano inumiditi della sua saliva. Mentre con la bocca le divorava le mammelle, le dita di Martina affondavano nella vagina dell’inerme prigioniera per poi tormentarle il clitoride. <Mmmmmmm… basta, ti prego smettila…>, le invocazioni di Claudia, anziché far cessare quel tormento saffico, avevano l’effetto di intensificare l’impegno della sua aguzzina e di incrementare l’eccitazione degli spettatori, sia uomini che donne. <Ti piace vero sentire le mie dita che trastullano la tua passerina bagnata e la mia bocca che ti succhia le tette>, sussurrava Martina alla sua prigioniera con voce suadente, ben sapendo quanto gli abusi a cui la stava sottomettendo la stessero umiliando. <Sei solo una lurida troia. Una puttana che sia gli uomini che le donne possono fottersi a loro piacimento>. Mentre Martina demoliva psicologicamente la prigioniera, il suo compagno Leonardo prelevò dal carrello degli attrezzi uno spago lungo circa un metro e mezzo e ne annodò le estremità realizzando due piccoli cappi. Quindi si avvicinò al petto di Claudia ed inserì i due cappi sopra ognuno dei suoi capezzoli turgidi, stringendo poi i nodi in modo da intrappolarle le sue due piccole protuberanze in una morsa dolorosa. Afferrò quindi l’estremità inferiore dello spago sotteso tra i due seni e la tirò verso il basso. In questo modo anche i seni di Claudia vennero tirati verso il basso facendola urlare per il dolore e lo spavento. Infatti i suoi delicati capezzoli, già crudelmente martoriati dalle torture precedentemente subite, oltre ad essere stretti dallo spago col quale erano stati annodati, venivano ora tirati con forza, procurandole l’orrenda sensazione che le si stessero strappando dalle mammelle. Per infierire ulteriormente sulla sua vittima, Leonardo le fece passare lo spago tra le piccole labbra della vagina e tra i glutei. In questo modo, tirandolo con forza verso l’alto, oltre a torturarle i capezzoli lo spago le sfregava crudelmente contro il clitoride, il perineo e la rosetta anale. Quando Leonardo smetteva di mettere in tensione lo spago, Martina sollevava con le sue mani le mammelle di Claudia per poi rilasciarle quando il compagno ricominciava a tirare lo spago verso l’alto. In questo modo, la ruvida corda sfregava alternativamente avanti e indietro sulle delicate mucose di Claudia, provocandole un dolore di intensità crescente man mano che le sue morbide carni venivano abrase da quel ruvido strofinamento. <AAAAAAAAHHHHHH… BASTAAAA… vi prego basta, basta, basta…>. Le pareti vaginali di Claudia, per tentare di limitare i danni provocati da quegli sfregamenti, aumentarono la secrezione di muco che dopo avere impregnato la rozza corda iniziò a colarle lungo le cosce. <Guarda come gocciola questa lurida puttana. Si vede che le piace tanto farsi strofinare la figa>. Era evidente che Martina provasse un perfido piacere nell’umiliare la sua vittima: più ancora che le sofferenze fisiche che le stava infliggendo, ciò che le procurava maggiore godimento era la totale mortificazione della prigioniera, la quale veniva inesorabilmente degradata fino a farla sentire soltanto un corpo da usare, senza più alcuna dignità.
Quando finalmente i due ragazzi si furono stancati di quel gioco, Martina liberò i capezzoli di Claudia dai cappi in cui erano stati imprigionati e mostrò agli spettatori la corda impregnata dei suoi succhi vaginali. Lorenzo, che aveva assistito a quella tortura senza prendervi parte, decise che era arrivato il momento di fare anche lui qualcosa. Prelevò quindi dal carrello due spilli da cucito che avevano sulle capocchie delle piccole sferette rosse. Claudia era sempre appesa al carroponte con le braccia e le gambe divaricate, il capo reclinato sul petto, gli occhi chiusi dai quali stillavano copiose lacrime che le bagnavano il viso. Il suo corpo era frequentemente scosso da brividi e solo i gemiti che provenivano dalla sua bocca dischiusa rivelavano che non aveva perso conoscenza. Lorenzo afferrò uno dei capezzoli martoriati di Claudia e lo rigirò tra le sue dita fino a farlo tornare turgido, quindi gli avvicinò la punta di uno degli spilli e, senza alcun indugio, la spinse al centro del globo, facendo affondare completamente lo spillo nella carne, fino a lasciare sporgere soltanto la capocchia sferica. <AAAAAAAAHHHHHH…>, Claudia ruotò di scatto il capo all’indietro ed emise un urlo atroce. Ma Lorenzo non le diede molto tempo per prendere coscienza di ciò che le aveva fatto, ripetendo immediatamente quella crudeltà anche sull’altro capezzolo. <AAAAAAAAHHHHHH…>, ancora una volta Claudia si contorse tra le catene che la trattenevano, prorompendo in un urlo di dolore. Lorenzo si allontanò di qualche passo per ammirare il risultato della sua opera. I capezzoli di Claudia, che avevano assunto un colore violaceo in seguito allo stritolamento provocato dallo spago, erano ora sormontati dalle capocchie rosse dei due spilli che erano conficcati in profondità nei suoi seni e dai quali fuoriuscivano due rivoli di sangue che le gocciolavano sull’addome. <Vi piace come ho decorato la nostra prigioniera? Non trovate che il rosso sui capezzoli le doni?>. Martina e Leonardo, ma anche alcuni degli spettatori, risero smoderatamente a quella battuta idiota di Lorenzo, ma era evidente che il loro scopo fosse quello di infierire su Claudia ridicolizzando la sua drammatica situazione.
<Adesso mettiamola a testa in giù>, propose Martina ai due compagni. Questi sapevano esattamente cosa fare, per cui non ebbero bisogno di ulteriori indicazioni. Comandando il carroponte, calarono le catene che sostenevano le braccia di Claudia, fino a che lei non riuscì ad appoggiare i piedi a terra. I suoi arti, dopo tante ore in trazione, erano completamente privi di forza, tanto che i due ragazzi dovettero sostenerla ed adagiarla lentamente a terra mentre veniva abbassata. Dopo che le ebbero liberato i polsi e le caviglie, Claudia portò le mani ai seni doloranti, tentando di rimuovere gli spilli che le erano stati conficcati nei capezzoli e che le provocavano un dolore lancinante, ma venne immediatamente bloccata. Le cinghie di cuoio che le cingevano le caviglie vennero immediatamente agganciate alle catene che calavano dal carroponte (le stesse che erano state usate in precedenza per trattenerle le braccia), mentre quelle fissate ai polsi furono agganciate tramite dei moschettoni alle corde che in precedenza le trattenevano le gambe. Comandando ancora il carroponte, le catene vennero sollevate e con esse le gambe, il busto e poi il resto del suo corpo, fino a farla restare sospesa a testa in giù, con le gambe e le braccia divaricate. <UUUUUUUUHHHHHH…>, Claudia emise un gemito sofferente quando si sentì appesa in quella posizione così innaturale. I suoi capelli sfioravano il pavimento, ma ciò che più rendeva quella posizione particolarmente umiliante era la sensazione provocata dalle parti molli del suo corpo che venivano attirate per gravità verso il basso, facendo assumere al suo corpo un aspetto grottesco, con le mammelle protese verso il suo viso, ed anche i glutei, le cosce, il ventre ed i fianchi cadenti nella direzione opposta a quella che era la loro normale postura. Percepiva inoltre il suo battito cardiaco rallentato e già dopo pochi minuti in quella posizione il senso di stordimento ed il ronzio alle orecchie causati dall’elevata pressione sanguigna le provocavano un malessere insopportabile, mentre il suo volto appariva sempre più gonfio e livido. <Nooo… vi prego, lasciatemi andare… basta…>, anche i suoi lamenti e le sue suppliche risultavano smorzate per la fatica con la quale la posizione capovolta le consentiva di parlare e di respirare.
Martina prese dal carrello un frustino corto da equitazione, quelli con la linguetta di cuoio all’estremità, e avvicinatasi a Claudia iniziò con questo ad accarezzarle il corpo: dai polpacci scese lungo le cosce fino a sfiorarle il perineo e la vulva. Proseguì l’ungo l’addome ed il costato per raggiungere le ascelle ed i seni. Osservavo Claudia che si irrigidiva mentre la linguetta di cuoio si insinuava nel solco tra i suoi glutei, le lambiva la rosetta anale per poi scendere lungo la schiena. Quando sembrava che tenerla legata in quella posizione insana fosse l’unico tormento a cui i suoi aguzzini avevano previsto di sottoporla, il rumore secco del frustino ruppe il silenzio della sala, seguito subito dalle sue grida di dolore: <AAAAAAAAHHHHHH…>. Martina le aveva colpito con violenza l’interno delle coscia sinistra e nel punto in cui la frustata si era abbattuta comparve quasi subito una linea rossa ed in rilievo. Ma questa era soltanto la prima delle frustate che si abbatterono sul corpo inerme di Claudia: i polpacci, i glutei, la schiena, il costato, l’addome, le ascelle, i seni,… nessuna parte del suo corpo fu risparmiata dalle dolore frustate. Per la posizione in cui era legata, con le gambe divaricate e rivolte verso l’alto a disegnare una V ed il pube posto all’altezza del petto della sua aguzzina, la sua vulva, il perineo e la regione anale erano perfettamente esposti e raggiungibili, per cui proprio in quelle parti così delicate e sensibili del suo corpo le frustate si concentravano maggiormente. <AAAAAAAAHHHHHH… NOOO… basta, basta… ti prego, basta>. Claudia urlava, implorava e piangeva disperata, ma le sue grida, le sue invocazioni di pietà e le sue lacrime non solo non facevano cessare il suo supplizio, ma eccitavano ancora di più la crudeltà della sua aguzzina che infieriva con ancor più furia sul suo corpo così oscenamente esposto e vulnerabile.
Le frustate si susseguirono per quasi mezz’ora prima che Martina fosse abbastanza stanca da decidere a cedere il turno ai suoi compagni, i quali proseguirono a frustare Claudia ancora per molto tempo, con tutta la forza e la cattiveria che riuscivano a sprigionare, fino a quando i suoi pianti e le sue urla si affievolirono, mentre lei perse i sensi.
Non le venne però concesso nemmeno un minuto di tregua da quel supplizio che durava ormai da molte ore: una secchiata di acqua gelida la fece rinvenire di soprassalto. La sua completa nudità, la posizione innaturale in cui era ancora legata (a testa in giù e con le braccia e le gambe divaricate), il dolore che si sprigionava dalle numerose ferite e contusioni che segnavano ovunque il suo corpo le fecero svanire immediatamente l’illusione che si trattasse soltanto di un incubo. Uno dei ragazzi, intanto, le si avvicinò con in mano un bastone che portava ad un’estremità un grosso dildo di gomma. Si pose dietro di lei, tra le sue gambe, con il viso a pochi centimetri dalla sua vulva oscenamente divaricata, e senza darle nemmeno il tempo di capire cosa stava per farle iniziò ad affondarle il dildo nella vagina. Claudia trovò ancora l’energia per emettere un urlo di dolore, che divenne ancora più lancinante quando il bastone penetrò ancora di più dentro le sue viscere fino a raggiungerle la cervice dell’utero. Il ragazzo affondava il bastone più in fondo che poteva, poi lo estraeva bagnato di sangue misto agli umori vaginali di Claudia per poi tornare a spingerglielo dentro di lei, più e più volte. Claudia non era mai stata penetrata così brutalmente prima di allora e ancor mai da un oggetto lungo e grande come quello, che sentiva farsi strada sempre più in profondità nella vagina e nell’utero, sentendolo la pressione che arrivarle fino agli intestini, quasi a dilaniarla. <Guardate questa lurida puttana come sta godendo… Ti piace essere impalata così in profondità, vero?>. Martina prelevò dal carrello degli attrezzi un altro bastone che era sormontato da un dildo di gomma dalla forma più affusolata. Il compagno, intuendo le sue intenzioni, si portò davanti a Claudia continuando a penetrarla in profondità con il grosso fallo vaginale; nel mentre Martina si mise dietro di lei, sputò della saliva sulla rosetta anale forzando le sue dita all’interno dell’ano. Quindi, accostò il bastone allo sfintere e lo spinse con forza, facendo affondare per tutta la sua lunghezza il dildo di gomma dentro la cavità anale. Claudia non aveva mai subito prima di allora una penetrazione con oggetti e men che meno una doppia penetrazione, in cui sia la sua vagina che il suo ano venivano contemporaneamente violati.
Io osservavo come in trans quella scena, quasi come se ciò a cui stavo assistendo fosse solo un sogno, frutto delle mie perverse immaginazioni. Ma poi scorgevo gli sguardi libidinosi del pubblico, sentivo i lamenti disperati di Claudia, osservavo il volto stupito di Paolo che vicino a me non riusciva più a trattenere la sua inquietudine…
Martina e l’altro ragazzo continuavano a forzare i due bastoni nell’ano e nella vagina di Claudia, che si irrigidiva, gridava e piangeva nel vano tentativo di sottrarsi a quella dolorosa ed umiliante tortura. Quando finalmente li estrassero, i due falli di gomma erano bagnati di muco e di sangue. L’ano di Claudia, avendo subito una prolungata dilatazione, impiegò alcuni minuti per richiudersi completamente e tornare alle sue dimensioni originarie.
<Va bene ragazzi. Direi che può bastare>. Il professore si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò ai tre praticanti al centro della stanza. <Assistenti. Liberate la prigioniera e adagiatela a terra>.
Quando Claudia venne deposta sul pavimento di linoleum sembrava priva di sensi. Era inutile tenerla ferma e ancor più legarla, perché non aveva più nemmeno la forza per mettersi in ginocchio. La osservavo nuda e inerme, distesa sulla schiena, con le braccia lungo i fianchi e le gambe leggermente aperte.
<So che la lezione è stata molto lunga e probabilmente siete tutti molto stanchi, ma vorrei chiedervi se c’è qualcuno di voi che desideri partecipare allo stupro della prigioniera. Vi chiedo cortesemente di alzare la mano>. Una selva di braccia si alzarono immediatamente, e inaspettatamente anche il braccio di Paolo si alzò. <Cosa fai? Sei impazzito?> gli domandai sottovoce. <Non mi interessa niente. Anch’io voglio scoparmi quella grandissima di troia di tua moglie. È da anni che desidero farmela e non c’è occasione migliore di questa>. <Ma se ti riconosce?>. <Non si preoccupi. Quando avremo completato il trattamento di ripristino, sua moglie non ricorderà nulla di quello che le è successo. Se vuole, può approfittarne anche lei…>.
Lo stupro fu violento e brutale. Decine di mani e di bocche che impastavano, succhiavano, strizzavano, leccavano, pizzicavano, mordevano le sue carni già martoriate dalle tante torture subite. Dita, falli, lingue penetravano contemporaneamente tutti i suoi orifizi. Sdraiata sulla schiena, carponi, sollevata in piedi e premuta contro una parete, rivoltata sulla pancia, con le gambe sollevate in alto… nessuna posizione le venne risparmiata. Sia donne che uomini abusavano in ogni modo del suo corpo indifeso. Lei pareva una marionetta senza vita, provata da tutte le torture e gli abusi subiti e rassegnata a tutto quello che ancora avrebbe dovuto subire. Il suo corpo era fradicio di sudore, di saliva, di lacrime e di sperma che fluiva copiosamente dalla sua vagina, dal suo ano e dalla sua bocca ogni volta che il pene che l’aveva penetrata veniva estratto esausto dall’orifizio che aveva appena abusato. Lei che fino ad allora era stata posseduta soltanto da me era ora in balia di decine di giovani uomini che riversavano abbondantemente il loro sperma dentro di lei. Mi chiedevo che cosa potesse passare nella sua mente se fosse stata pienamente cosciente di ciò che stava subendo: orrore, disgusto, terrore… O forse anche un po’ di piacere?
Le violenze si protrassero per molte ore, durante le quali Claudia più volte perse i sensi ed altrettante venne risvegliata a forza, per costringerla a vivere ogni istante di quell’inferno a cui era stata condannata. Come molti ragazzi, anche Paolo abusò più volte del suo corpo, penetrandola nella vagina, nell’ano ed anche nella bocca. Osservando gli occhi spalancati e persi nel vuoto di Claudia mentre lui la violentava, era chiaro che anche vedendolo non sarebbe stata in grado di capire.
Era ormai notte fonda quando la folla di stupratori, uomini e donne, si fu finalmente saziata di lei e la abbandonò priva di sensi al centro della stanza. Distesa a terra sulla schiena, come addormentata in un sonno profondo, il capo reclinato di lato, le braccia distese lungo i fianchi e le gambe dischiuse. Rimasi lì ad osservarla per alcuni minuti. Il suo corpo nudo, così sporco e martoriato, era l’oggetto più eccitante che avessi mai visto fino ad all’ora. “Sei proprio una lurida puttana Claudia. Da quanti giovani stalloni ti sei fatta chiavare oggi? Quante lesbiche hanno goduto di questo tuo corpo da troia così generosamente offerto? Mi piacerebbe vedere la tua faccia se ti dicessi che anche Paolo oggi ti ha fottuta come una schifosa sgualdrina. Non sai quanto ho goduto nel vederti soffrire mentre venivi torturata senza pietà; quando nuda e legata ti dimenavi per tentare di sottrarti alle frustate che ti laceravano le carni. Non sai quanto mi sono eccitato sentendoti urlare e vedendoti piangere disperata mentre supplicavi di smettere quei ragazzi che ti seviziavano e ti stupravano senza nessuna pietà…”. Mentre questi pensieri affollavano la mia mente, quasi senza accorgermene mi calai i pantaloni e le mutante, mi sdraiai sopra di lei e la penetrai con una brutalità tale che mai avrei pensato di poter usare su di lei. Mentre il mio pene affondava nella sua vagina calda e fradicia di umori, ad ogni spinta percepivo sul mio viso il soffio del suo respiro caldo che veniva forzato fuori dai polmoni per il peso del mio corpo che gravava sul suo petto. Con le mani le afferrai i seni e glieli strinsi con forza, col desiderio di farle male, ma il risultato di quella mia crudeltà furono soltanto dei lievi gemiti. Al culmine dell’eccitazione, eiaculai un copioso fiotto di sperma nelle profondità del suo canale vaginale che andò a mescolarsi con quello rimasto ancora dentro di lei dei tanti uomini che quel giorno l’ebbero posseduta prima di me.

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