Il salumiere dal grosso salame

Il salumiere dal grosso salame

“Secondo me ti piace prenderlo nel culo”.
Gino il salumiere, mi apostrofò in quel modo non appena entrai nella sua bottega.
In effetti non davo certo un’impressione di virilità, avevo compiuto diciotto anni da qualche giorno, ero un bel ragazzo, bello nel senso più ambiguo del termine, tant’è che il mio aspetto efebico poteva confondere, avevo i capelli neri corvini, lisci, che mi arrivavano sulle spalle, il fisico snello, le gambe lunghe e diritte, un bel culo un po’ all’infuori, le labbra carnose, gli occhi scuri, grandi e profondi, le ciglia lunghe, senza un pelo superfluo addosso. Gli abiti succinti che indossavo in quel momento, boxerini da mare fucsia, stretti stretti, una canottierina nera corta, con su scritto “love”, le Havaianas gialle e celesti, completavano la sensazione di ambiguità.
Con Gino ci conoscevamo da sempre, andavo al mare lì fin da piccolo, i miei nonni, che acquistarono la grande casa almeno cinquant’anni fa, erano clienti del negozio della sua famiglia fin da allora.
Ero tornato in quel posto sulla costa toscana dopo un paio d’anni nei quali i miei avevano preferito passare le vacanze da un’altra parte. Era l’estate fra la quarta e la quinta liceo. In questo periodo ero cresciuto, però nel modo che ho descritto sopra, talmente efebico da potersi definire effemminato.
Gino, invece, era sempre lui, quello che si può definire un bell’uomo, ora sulla quarantina, alto e robusto, un po’ di pancetta, i baffi neri. Un gran figaiolo, era sposato ma aveva la fama di scopatore, confermata dal fatto che la cercava a tutte quelle che entravano nel suo negozio, però in maniera scherzosa ed affabile, tant’ che, come si diceva in giro, molte di queste avevano finito con l’assaggiare la sua nerchia, a quanto pare, di notevole stazza. Non c’erano prove, anche perché la moglie lavorava con lui e lo teneva sott’occhio, anche se spesso si assentava.
“Ma che dice, Gino, ha sempre voglia di scherzare” risposi io, piuttosto sorpreso.
“Dai su, bellino, io me ne intendo di fighette, di tutti i tipi, anche quelle col pisello e sono convinto che tu sei una di queste! Hai ordinato il prosciutto ma mi sa che ti garba il salame!” continuò lui, strizzandomi l’occhio.
Mi resi conto che ero arrossito fino alla punta dei capelli, ero imbarazzato e non sapevo cosa rispondere perché, pensai, il furbo salumiere ci aveva visto giusto.
Infatti qualcosina c’era stata per quanto riguardava il sesso, avevo avuto qualche ragazzina ma in realtà non ci avevo combinato praticamente nulla, invece molto di più avevo combinato col mio vicino di casa, Marco, un coetaneo che frequentava la mia stessa classe al liceo.
Non proprio quello che avevo detto Gino, che, però, c’era andato molto vicino.
Andavo a studiare a casa sua, nella pause mi faceva guardare filmetti porno su internet e come succede in questi casi, fra amichetti arrapati, lo tirammo fuori per segarci, in breve ci fu il classico “io te la faccio a te e tu la fai a me”, iniziammo a toccarci a vicenda. Le cose si evolsero, ed arrivammo a succhiarcelo, lui era “più maschio”, furbo e deciso di me, ed oltre che a ritrovarmi ogni volta col suo cazzo in bocca, me lo appoggiava anche un po’ al buco del culo nel quale però, non era ancora entrato, anche perché, all’ultimo momento, mi ero opposto, ancora rifiutavo questa cosa, facendolo venire solamente strusciandolo fra le mie cosce. Vedevo il nostro rapporto come un gioco, un modo per godere assieme. In definitiva non lo avevo ancora preso nel culo ma c’ero andato molto vicino.
Il fatto era che, mio malgrado, stavo facendo queste cose molto volentieri e con una soddisfazione nettamente maggiore delle mie estemporanee uscite con le femmine, anche se non lo volevo ammettere.
Quando il mio compagno di classe mi venne in bocca la prima volta, senza avvertirmi, ingoiai senza battere ciglio, dopo lo feci praticamente sempre, mi era piaciuto. Lui se ne guardò bene.
Presi il prosciutto e me ne andai, salutando, Gino mi sorrise, strizzandomi ancora l’occhio: “Vedrai, prima o poi ti fanno la festa” disse, ridacchiando.
Mentre uscivo “sentivo” i suoi occhi puntati sulle chiappe.
Non lo trovai affatto spiacevole.
Mi masturbai nella penombra della mia cameretta pensando a lui e soprattutto alla frase che aveva pronunciato un attimo prima ci uscire dalla bottega, quel “ti fanno la festa” diventava “ti faccio la festa”.
Mi ritrovai a fantasticare sul suo rinomato cazzone e su come sarebbe stato ripetere con lui le cose che facevo con il mio amichetto. Sicuramente sarebbe stata una cosa più impegnativa. Gino non poteva sapere dei miei pomeriggi di studio ma il suo intuito aveva colpito nel segno.
Il giorno dopo uscimmo in barca e non vidi Gino.
Quello ancora, mentre tornavo dal mare, deviai dal percorso, la casa dei nonni distava un centinaio di metri dalla spiaggia, fuori dal paese, tirai un urlo a mia sorella: “Faccio un passo in piazza, dillo alla mamma, ceno lì, mangio qualcosa con i ragazzi del paese”.
Quasi come se le gambe andassero da sole pedalavo come un forsennato verso il centro, dove si trovava il negozio di Gino.
A pochi metri dalla meta vidi sua moglie che si allontanava, era solo!
Non avevo in mente nulla in particolare, volevo sentire la sua voce che mi prendeva in giro, che parlava del mio culo, mi sarebbe bastato.
Mentre pensavo ad una scusa per entrare, non dovevo acquistare nulla ne avevo i soldi per farlo, fu Gino ad uscire dal negozio, non mi ero reso conto che eravamo vicini all’orario di chiusura e lui doveva togliere i cartelli con l’elencazione delle specialità in vendita.
“Toh! Guarda chi c’è. Uhe bellino, ti è venuta voglia? Ah ah ah!”.
“Signor Gino, io…”.
“Ma che signore, chiamami Ginone, come fanno tutti! E dammi del tu, vuoi entrare, ti offro da bere”.
“Ma no signor, cioè, Ginone, non vorrei disturbare”.
“Nessun disturbo, adesso chiudo bottega, almeno si fa con calma” mi strizzò l’occhio per l’ennesima volta.
Cosa si fa con calma? Pensai subito io, ero in stato confusionale, sudavo.
Entrammo dentro e chiuse subito le imposte che proteggevano l’entrata.
“Andiamo dietro, dai, c’è fresco”.
Nel retrobottega c’era un’altra porta che dava su una stanzetta, effettivamente molto fresca, dove si trovavano dei mobili, un tavolo con quattro sedie e per finire una branda, anzi, un vero e proprio letto ad una piazza e mezzo.
“Sai, a volte dormo qua, quando c’è più casino in giro. Qua sopra ci faccio anche altre cose…” ridacchiò, indicando il letto.
Mentre parlava tirò fuori dal frigorifero nell’angolo una bottiglia di vino bianco e la stappò: “Adesso ce la beviamo, è buonissimo, poi così ghiacciato!”, mi disse.
“Ma Gino, io sono praticamente astemio…”.
“Su, un goccetto non ha mai ammazzato nessuno, ci mangiamo dietro qualcosa, così lo senti meno…”.
Riempi due bicchieri e tagliò alcuni pezzetti di formaggio, anche questo era nel frigo, che mise in un piattino: “E’ speciale, solo per gli amici”.
Effettivamente era molto buono, con questo riuscii a mandar giù quasi tutto il vino che mi aveva versato.
Si era seduto sul letto, mi fece segno, picchiettando sulla coperta, di sedermi accanto a lui. Ero confuso, mi stava andando il circolo l’alcool, al quale non ero abituato ed era bastato quell’unico bicchiere, se non proprio per ubriacarmi, almeno per mandarmi in gran confusione.
“Senti un, po’ a parte gli scherzi, ma con il sesso come sei messo? Sei un bel ragazzino, puoi piacere a maschi femmine”.
Mia aveva messo il braccio attorno alle spalle, nude, indossavo il solo costume da bagno.
“Beh, non è che ho fatto molto…” risposi io, con la voce un po’ impastata.
“Non mi dirai che sei vergine?” insistette.
“No, proprio vergine no, sono uscito con qualche ragazza e poi, con Marco il mio compagno di cla…” mi interruppi, avevo capito di aver fatto una cappellata, confermando i suoi sospetti sulla mia gayezza.
“Ah! Ma allora è così, vedi che non mi sbagliavo, dimmi cosa fai col tuo compagno di scuola, su, confidati”.
Non potevo più tirarmi indietro, il vino contribuiva a sciogliermi la lingua: “Ci tocchiamo a vicenda, fin da piccoli, ci tiriamo le seghe, poi anche in bocca…”.
“In bocca, glielo succhi?”
Si vedeva che gli piaceva ascoltarmi mentre dicevo queste cose, si stava eccitando, aveva gli occhi lucidi, forse anche per gli altri bicchieri di vino che aveva mandato giù.
“Oh si, glielo succhio e lui lo succhia a me, però più io, ma è solo un modo per divertirsi.”.
“E la sborra, non mi dite che la ingoiate la sborra?”.
Inizialmente non risposi e lui: “Su, dai, dimmelo, non ti devi vergognare di me, sono un amico”, mi strinse ancora a lui, poi mi diede due leggere pacche sulle cosce nude.
“Io la ingoio, Marco non l’ha ancora fatto”.
“Ma che brava troietta che sei Bellina, altro che divertirsi!”.
Ora mi respirava nell’orecchio, poi: “Ovvia… ascolta, perché non mi fai vedere cosa gli fai, a Marco, con la bocca”.
“Ma Gino, io… tua moglie…”.
“Su dai, appena appena, mia moglie non torna”.
Non so come ma mi ritrovai mi ginocchio davanti a lui, che si era alzato un attimo, aveva fatto scivolare giù i pantaloni bianchi di tela, leggeri, da salumaio, calciandoli via, sotto non portava nulla.
La maglietta era già sparita da un po’, nudo, il corpo peloso.
Il cazzone scuro e venoso era balzotto, scappellato, una gocciolina di umore sulla punta.
Mi accostai un po’ timoroso, quel coso era grosso il doppio di quello che baciavo normalmente ed aveva un odore diverso da quello di Marco, un afrore più maschile, inebriante come il vino che avevo bevuto.
Assaggiai la gocciolina con la lingua, lui ebbe un sussulto e mi afferrò i capelli: “Su, Bellina, succhia!”.
Allargai le barra e lo feci entrare, facendolo scivolare sulla lingua.
“Ma che brava, ci sai fare!”.
Tutti i film porno che avevo visto con Marco a qualcosa erano serviti!
Mi scarmigliava i capelli mentre facevo su e giù con la testa, succhiando e leccando.
“Mhh, muovi la lingua, Bellina!”.
“Bellina” sarebbe diventato il mio nome, non si sarebbe fatto più scrupolo di chiamarmi così, nell’intimità ma anche quando c’erano altre persone di sua conoscenza, si fece solamente scrupolo di usare “Bellino”, al maschile, quando non sembrava opportuno trattarmi da femmina, come, ad esempio, in presenza dei miei familiari.
“Leccami le cosce, dai, tutto attorno… si, così, le palle… succhiale… leccalo bene… così, su e giù sul tronco… ah… ma che brava, Bellina, impari subito”.
Tuffare la faccia nella folta peluria mi ubriacava sempre di più.
“Vieni su, stenditi”.
Mi distesi sul letto, accanto a lui, fremevo ed ero un po’ preoccupato per quello che sarebbe successo.
Mi salì sopra, in ginocchio, a gambe large, il suo grosso cazzo strusciava sul mio pistolino, che era venuto duro, accostò le labbra alle mie, che io socchiusi e mi baciò profondamente, poi scese giù e mi leccò i capezzoli, gemetti di piacere.
Scese ancora più giù, fino all’ombelico.
Poi: “Girati”.
Lo sapevo! Sarebbe successo, di lì a poco.
Ero disteso carponi, lui mi leccò un natica, poi infilò la lingua fra le natiche, mentre le teneva larghe, iniziò a picchiettarmi con la punta il buco del culo, facendogli colare sopra la saliva, pensai “Meno male che è pulito, ho cagato stamattina e mi sono lavato… sono stato tutto il pomeriggio a bagno in mare…”.
Infilò una mano sotto al ventre e mi tirò su, mi ritrovai sulle ginocchia, la testa appoggiata al letto, il culo alto, in bella vista, a sua completa disposizione.
“Ahh… che bello… adesso ti apro il culo… Bellina… ahhh”. Era eccitato, ansimava come un mantice, deglutendo di continuo.
Respirava forte, io ero spaventato.
“Gino, fai piano però… non l’ho mai fatto… mettici prima un dito, allargamelo un po’”.
“Non ti preoccupare… rilassati, non stringere… ora te lo metto”.
Mi infilò un dito, già questo mi parve grossissimo.
“Ahi! Piano, Gino, piano”.
Ma lui era carico, tolse il dito.
Mi sbattè dentro il cazzone.
Un dolore atroce.
Prima lo aveva appoggiato un attimo sull’entrata, come se prendesse le misure, poi aveva spinto con forza, tenendomi per i fianchi, scivolando dentro.
“Argh… ahia! Gino, basta…”.
Lui continuò, entrando almeno fino a metà dei suoi ventidue centimetri.
“Ora passa, Bellina, vedrai che ti piace… sei stretta…”.
Si fermò un istante poi prese a fare avanti e indietro, sempre più profondamente.
Io gemevo, lacrimando copiosamente: “Oddio, Gino… è grosso… mi picchia dentro…”.
“Che culetto! Che culetto Bellina! Lo sapevo, si vedeva che era fatto per essere scopato… ah!”
Mentre diceva queste cose lo tirava fuori, ci sputava sopra e lo ributtava dentro.
Era uno stallone, un grande scopatore, sapeva come durare e se la prese comoda.
Lento, veloce, variazioni di ritmo e di profondità.
Adesso al dolore si aggiungeva il piacere. Era una cosa che non avevo mai provato, oltre che fisica cerebrale, mi piaceva essere dominato, posseduto dal quel maschio maturo e vigoroso.
Lui si accorse che qualcosa era mutato, i miei gemiti erano diversi.
Mi baciò sul collo, sotto la nuca.
“Ehhh… ora ti piace… toccati, dai, muovitelo piano piano… ma non venire, veniamo insieme… anzi… vediamo se ti faccio venire col culo… ahh… la prima volta è difficile… ma chissà… ahh…”.
Avevo cominciato a masturbarmi, portandomi avanti, però mi fermai perché mi accorsi di un sorta di prurito interno, uno sfrigolio, che mi veniva da dentro, dalla mia ghiandolina, arrivava fino alla punta del cazzo, un cosa strana, piacevole.
Questa sensazione aumentò gradatamente, mi ritrovai a urlare di piacere, venni, un orgasmo diverso, lungo, femminile, schizzetti lenti, un copioso gocciolare di sborra.
“Ahhh… Oddio, Gino, godo col culo… ah… Ginooooo…!”.
“Hai visto… Bellina… ci avevo visto giusto… sei una troietta… una femmina…”.
Lo strano orgasmo durò ancora, finche non venne anche lui. Aveva aumentato il ritmo, spaccandomi letteralmente il culo, ma non importava, era bellissimo.
Avvertii nitidamente, anche se dicono che è difficile, il suo liquido nel profondo dell’intestino, gli spasmi che precedevano gli schizzi potenti.
Ululava come un lupo.
Rimasi lì, sotto di lui, che si era accasciato, il suo cazzo ancora dentro, che non accennava a smosciarsi.
Il suo corpo emanava calore, la peluria mi accarezzava.
Finalmente si tirò via, stendendosi accanto a me.
“Cazzo, che scopata!” esclamò.
Si mise a parlare, mi raccontò che si scopava un po’ di signorotte ma anche due “come me” dicendomi che non ero il primo culo maschile che si faceva. Aveva un altro paio di “culi, due amichette”. Uno era un villeggiante che veniva l’estate, una checca decisamente più grande che aveva la bocca come un’idrovora, l’altro un mio coetaneo, uno del paese, mi disse che era uguale a me, facendomi il nome, lo conoscevo bene ed effettivamente mi assomigliava, un po’ effemminato anche lui.
“Ma il tuo culo è il migliore, sei uno schianto! Obbediente come una suorina”.
Nel dire queste cose mi accorsi che gli era tornato duro.
Mi leccò le orecchie ed accarezzò il petto: “Dai, tesoro, usa la bocca, fammi vedere come ingoi”.
Servizio completo.
Mi prostrai davanti a lui, chinandomi sul suo cazzo.
Lo succhiai per un po’, non accennava a venire, allora mi prese per i capelli, scopandomi la bocca e schiaffandomelo fino in gola. Tossivo e avevo dei conati.
Mi aiutavo smanettandolo e improvvisamente eruttò, dovetti ingoiare velocemente, per non soffocare. Malgrado questo un po’ di sborra mi uscì dal naso e gli colò sull’inguine impiastricciando il pelo, la leccai via.
“Ahhhh! Che brava che sei, Bellina. Ne farai di strada con quel culo e quella bocca…”.
Mi soffiai il naso con un tovagliolo di carta, che impiastrai di muco e sperma.
Mi fece cenno di baciarlo su una guancia, lo feci, poi uscimmo fuori dalla porta sul retro.
“Torna a trovarmi presto, Bellina, che ci divertiamo ancora”.
Mentre tornavo a casa facevo fatica stare seduto sul sellino perché il culo spalancato mi bruciava e pedalando scivolava fuori il mare di sborra che lui mi aveva riversato nell’intestino, affatto trattenuto dal costume colava giù per le cosce.
Avevo ancora n bocca il sapore del suo cazzo, nel naso l’odore della sua folta peluria.
Appena arrivato a casa mi lanciai sotto la doccia che avevamo in giardino, per lavare via tutto.
“Ah, sei arrivato, ma hai cenato?”.
Risposi con una parte di verità: “Sono stato dal salumaio, da Gino, mi ha offerto qualcosa lui”.
Si, qualcosa di veramente consistente.
Ripensai a quello che era successo, il bruciore al culo me lo ricordava di continuo. Inizialmente mi dissi che non sarei più tornato lì.
Un paio di giorni dopo mi venne voglia, irrefrenabile.
Il mattino, appena alzati, mia sorella disse che servivano delle cibarie, mi offrii immediatamente per andare a comprarle.
Quando entrai nella bottega c’era pieno di gente, Ginone mi salutò con un cenno della testa, poi: “Buongiorno bellino”.
“Buongiorno signor Gino, o meglio, Ginone”. Lo salutai ammiccando, adesso sapevo benissimo perché alcuni/ne lo chiamavano “Ginone”.
Quando fu il mio turno gli ordinai le cose che mi servivano, lui si avvicinò con la scusa di prendere della pasta dallo scaffale: “Bellina, oggi nella pausa pranzo, dopo l’una e mezza” sussurrò.
In effetti appariva solo, la moglie non c’era.
Annuii, presi la mia spesa e tornai a casa.
Mentre ero in spiaggia avevo la smania addosso, agitato, riuscii a stento a nascondere la costante erezione. Nonostante questo c’erano dei sentimenti contrastanti, da una parte non vedevo l’ora dall’altra mi dicevo che questo non era giusto, che dovevo essere un maschio.
Vinse decisamente la prima opzione.
Poco dopo l’una dissi che ero stufo, avevo caldo e che sarei andato in centro.
Prima di andare in paese passai da casa, andai a cacare poi feci la solita doccia in giardino, soffermandomi in particolare sul culo. Ero completamente solo, quindi mi pulii anche dentro, infilandomi nel culo il tubo di gomma attaccato al rubinetto, mentre lo spingevo dentro e poi feci scorrere l’acqua ebbi un moto di piacere, preludio di quello che sarebbe successo di lì a poco. Era la prima volta che mi lavavo in quel modo, l’avevo visto tempo prima in un filmino porno, assieme al mio amico Marco ma non avevo mai pensato che lo avrei fatto.
Gino aveva già chiuso e mi fece passare dalla porticina sul retro, così eravamo già nella stanzetta.
“Hai sete?” mi domandò.
“Si, ma non voglio vino, questa volta mi voglio ricordare bene quello che ho fatto”, mi passò una bottiglietta d’acqua.
Appena ebbi bevuto mi abbracciò, ficcandomi la lingua in bocca e infilandomi la mano dentro ai bermudoni da mare.
Mi infilò immediatamente un dito nel culo, facendomi sussultare: “Calma Gino! Non sono mica di legno”.
“Su, Bellina, levati tutto, fammelo vedere!” insistette.
La canottiera ed il costume volarono via, mi ritrovai ancora nudo.
Mi fece girare per guardarmi il culo, poi mi prese la mano destra e se l’appoggiò sul cazzo che nel frattempo aveva tirato fuori.
“Dai… ah… toccami…”.
Lo masturbai per alcuni istanti, mi appoggiò le mani sulle spalle e mi spinse in ginocchio, avevo il suo cazzo davanti alla faccia, allargai le labbra e lo feci entrare in bocca.
Lo stavo succhiano da qualche minuto, la sua mano dominatrice sulla testa, che mi faceva fare su e giù, quando udii la porta che si apriva.
Provai a voltarmi ma lui mi tenne fermo: “Su, Bellina, continua”.
Mentre Gino mi teneva lì, col suo cazzo in bocca, notai, con la coda dell’occhio, di chi si trattava.
Era Giuseppe, il pensionato sulla settantina che, per arrotondare, faceva le consegne a domicilio per Gino.
“Giusè, siediti qui vicino a me, tiratelo fuori che ci divertiamo tutti assieme! Lei si chiama Bellina, che culetto che ha, te l’avevo detto!”.
Giuseppe si mise ridere, “Te l’avevo detto” faceva capire che tutto era stato organizzato, infatti Gino non aveva chiuso la porta a chiave, ci pensò l’altro.
Il vecchio si spogliò e poi sedette accanto a Gino.
Nonostante l’età era un tipo aitante, muscoloso, anche lui pelosissimo. Il folto pelo bianco lo copriva quasi completamente.
“Su, Bellina, prendiglielo un po’ in bocca anche a lui, è un amico”.
Provai a protestare: “Ma Gino, io…” però quando vidi il bel cazzone venoso di Giuseppe cambiai idea.
Ma si, vediamo com’è con due alla volta, pensai. Ormai sono in ballo, mi ha visto e sa tutto, inutile resistere.
Iniziai a succhiare anche lui, un sapore aspro ma non sgradevole.
Un po’ l’uno e un po’ l’altro, ce la feci anche a farli entrare in bocca tutti e due assieme. La prima volta che succhiavo due cazzi.
Eravamo saliti sul letto, ora ero sulle ginocchia a pecorina e proseguivo col doppio pompino.
“Slurp… slurp…”
“Brava, così, in gola!” Mi incitava così Gino, che poi si spostò e si mise dietro di me. Sapevo cosa stava per accadere, mi avrebbe inculato.
Infatti sputò nel solco, ci fece scorrere il cazzo e quando incappò nel buco spinse.
Sbrang! Tutto nel culo, un male cane, urlai, di gola, stringendo un po’ i denti.
“Ahi, vacci piano, che me lo stacchi!” si lamentò Giuseppe.
Lo tirai fuori dalla bocca, per lamentarmi: “Cavolo, Gino, mi hai fatto male!”
“Ma va, che ti piace, lo so” ribattè lui, mentre mi pompava di brutto.
“Fallo mettere anche a me, spostati!” gli disse Giuseppe.
Uscì e Giuseppe, prima di prendere il suo posto, non potè fare a meno di passarmi la lingua sulle natiche e sul buco bagnato: “Cavolo, che culetto liscio” esclamò.
Ora si alternavano, senza mai venire, in questo modo potevano andare avanti all’infinito.
Erano sincronizzati, si vedeva che non era la prima volta che lo facevano.
“Hai visto che culetto stretto che ha, una favola!” gli disse Gino.
“Hai ragione” rispose Giuseppe “Una favola, meglio di una femmina”.
Mi stavano sfondando come un secchio.
Gemevo, però adesso mi stavo masturbando, fui il primo a venire, un orgasmo violentissimo, doloroso.
Quasi piangevo, mi cedettero le ginocchia, ero giù sdraiato, tutto impiastricciato della mia sborra, ma loro non avevano smesso, mi salivano sopra, a turno, un po’ di colpi e via. Sembravano invasati.
Il primo a sborrarmi dentro fu il vecchio, digrignava la dentiera come un cane.
“Gnnn… grrrr… cazzo che goduta!”.
Si rialzò a stento e si accasciò sulla sedia lì vicina.
Toccava a Gino, mi montò sopra, a cavalcioni e me lo spinse ancora tutto dentro: “Bellina sei bagnata come una scrofa!”.
Mi lamentai, avevo il culo in fiamme: “Ahia ! O Gino, dai, tiralo fuori, ti faccio venire con la bocca… mi sfondi!”.
Ma lui non ne volle sapere, mi voleva sborrare dentro come l’altro, ci riuscì dopo qualche minuto.
Mi schiacciò sotto di lui, entrando il più profondamente possibile, poi si scaricò, rilasciando tutto il suo seme dentro di me, si mosse ancora, un paio do pompate potenti, per far uscire anche l’ultima goccia.
“Mamma mia, Bellina, certo che reggi bene la botta, ti ho proprio fatto diventare una troia, una cavalla da monta!”. Sembrava quasi orgoglioso.
Ovviamente dovetti succhiarli di nuovo tutti e due, ripulire i loro cazzi impastati di sborra (mi congratulai con me steso per aver fatto il clisterino con il tubo, altrimenti ci sarebbe stato ben altro sopra), mi ritrovai a leccarli dappertutto, il pelo impiastricciato mi rimaneva in bocca. Il più vecchio volle leccarmi sua volta, ero tutto sporco di sborra ma sembrava trovare grande soddisfazione nel farlo.
Mentre Giuseppe mi leccava avevo il culo in direzione di Gino, che era veramente un mandrillo, ancora in tiro non poté fare a meno di schiaffarmelo ancora dentro.
“Ah… Gino, ancora!” esclamai.
MI piegai sul bordo del letto, lui mi sbattè per un tempo che mi parve infinito, un deliquio di piacere e dolore. Mi teneva la testa schiacciata sulla coperta e dava dei colpi col ventre micidiali, sembrava mi volesse trapassare col suo cazzone.
Giuseppe si limitò ad osservare, compiaciuto.
Si mise quasi ad urlare un attimo prima di venire, mi schizzò sul culo e sulla schiena.
“Hai visto Bellina, sono una bestia! Però ti è piaciuto, vero?”.
“Si Gino, anche se mi hai fracassato il buco del culo, spappolato l’ano!” risposi io.
Il fatto era che mi era piaciuto per davvero, avevo goduto come una maiala in calore.
Mi gettai sotto la doccia che era in fondo al cortile, poi chiesi a Gino di farmi un panino, che avevo una fame da lupo. Mangiammo qualcosa tutti e tre assieme, da buoni amici, parlando del mare, della gente del paese e di calcio, come se fra noi non fosse successo nulla.
Tornai al mare all’ora della riapertura del negozio, le sedici e trenta.
“sei stato ancora da Gino? Siete proprio diventati amici voi due”.
“Si mamma, anche e lui piace la pallavolo come a me” Risposi.
Lui e Giuseppe mi incularono per tutto il restante periodo di vacanza. Da soli o tutti e due assieme, divenni cosa loro. Delle scopate bestiali, il culo sfondato, un mare di sborra.
Andai anche a casa di Giuseppe. Che era vedovo e viveva da solo, era veramente un porco, quando veniva faceva colare la sborra sul corpo peloso ed io la leccavo via tutta. Se non ce la faceva più si faceva succhiare lo stesso, dopo che mi aveva infilato dentro qualcosa, una carota, una candela, cose così.
Un’estate pazzesca.
Quando tornai in città mi dissi che, okay, ormai l’avevo fatto ed avevo goduto un casino ma dovevo rimettermi nei ranghi. Carino come ero non mi ci volle molto a farmi la ragazza, tra l’altro una maialina che amava succhiare il cazzo e farsi sbattere.
Basta uomini.
Più facile a dirsi che a farsi.
Mi ritrovavo a segarmi con due dita nel culo, che tra l’altro era ormai definitivamente spanato, pensando ai miei maturi amanti estivi.
Non appena ripresi a studiare con Marco le cose tornarono al loro posto, mi abbracciò e bastarono pochi minuti che ci ritrovammo avvinghiati con i nostri reciproci cazzi in mano.
Quando gli misi la lingua in bocca rimase sorpreso, non era mai capitato, ancora di più quando, dopo averglielo succhiato per benino ed era durissimo gli porsi il culo, pregandolo di sbattermelo dentro mentre mi chiamava “Bellina”. Entrò con una facilità che lo sconcertò.
Quando notò quanto questo mi eccitava e poi venni senza neppure sfiorarmelo ma solamente grazie al suo stantuffare dentro di me non aveva più parole.
Scopammo per tutto l’anno scolastico, nonostante anche lui avesse la ragazza come me.
Divenne normale per me lavargli il cazzo con la bocca dopo che mi aveva sborrato nel culo, spesso facendolo venire di nuovo, come mi succedeva con Gino, magari mentre mi infilava dentro degli oggetti come amava fare Giuseppe.
Eravamo magri e sciupati per il gran sesso che facevamo, fra noi e con le fidanzatine.
Per vari motivi non sono più andato al mare in quel posto, però è arrivato anche il momento in cui il cazzo di Marco non mi è più bastato.
Mi scopa ancora però adesso mi travesto e vado in giro a farmi possedere dagli sconosciuti, nei parchi, negli autogrill, dove capita, con chi capita. Meglio se sono tipi maturi, rudi, pelosi e ben dotati.
Una zoccoletta, carina e vogliosa.
Ma queste sono storie che vi ho già raccontato e che, magari, vi racconterò ancora.
A proposito, la prossima estate torno il vacanza là.

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