Lucy – Sliding doors (3)

Lucy – Sliding doors (3)

Lucy – Sliding doors (3)

Con Lele oramai eravamo diventati coppia fissa. Assolutamente insospettabili nel pubblico, diventavamo amanti appassionati e perversi nel segreto di camera mia o camera sua.
Era a tutti gli effetti il mio uomo, e io ero la sua donna, anche se data l’ambiguità mai risolta di Lele, forse era giusto mantenere un profilo indefinito.
Io, al contrario, con lui mi sentivo femmina al 100%. O forse non era così, volevo ammantare di un alone romantico quella che era solamente depravazione. Non era Lele a rendermi donna, ma la lussuria di quel demone nascosto in me che io chiamavo Lucy.
Avevo comprato alcuni capi di intimo che tenevo nascosti in camera, perché continuare ad utilizzare i capi usati di mia madre stava diventando troppo rischioso, e avevo anche acquistato una parrucca nero corvino per femminilizzarmi ancora di più.
Mi mancavano due gradini nella scala per la trasformazione perfetta: il trucco, su cui mi stavo allenando, e un paio di scarpe da donna.
Quel giorno stavo rientrando a casa, quando passai per caso davanti alla vetrina di un negozio di scarpe, dove mi fermai a guardare i vari modelli. Incuriosito dall’immagine di un ragazzo fermo ad ammirare una vetrina di scarpe e sandali col tacco, un uomo alle mie spalle si fermò e mi disse: “Sicuramente sono molto belle, ma sarebbero più adatte ad una bella ragazzina…”
Non potevo vedermi, ma sicuramente ero diventato rosso fuoco. “No, infatti… sono scarpe da donna… io…”
“Quali ti piacciono?” insistette. E mi voltai a guardarlo. Non bello ma sicuramente affascinante. Un uomo che sa cosa vuole e sa come ottenerlo.
Indicai un paio di scarpe col tacco altissimo, e senza rendermene conto eravamo entrati e usciti dal negozio. Mise il pacchetto con le scarpe, pagate una discreta somma senza batter ciglio, nel bagagliaio della sua automobile e mi diede un biglietto da visita.
“Chiamami, quando vuoi venire a prenderle”.
Salivo col cuore in gola le scale di quel palazzo del centro, chiedendomi ad ogni scalino se mi rendessi conto di ciò che stavo facendo.
Giunsi alla porta, suonai e, dopo un attimo, l’uomo dell’altro giorno mi venne ad aprire. La veste da camera lasciava pochi dubbi riguardo alle sue intenzioni, ma d’altra parte sapevo benissimo perché ero qui.
Mi chiese se volessi qualcosa da bere, ma rifiutai, al che mi disse che le scarpe mi aspettavano in camera. “C’è anche qualcos’altro, guarda se ti piace” aggiunse.
In camera, ai piedi del letto, le scarpe col tacco acquistate un paio di giorni prima. Sul copriletto, invece, un corpetto nero con delle calze da agganciare, e una parrucca rossa.
Indosso il tutto, e guardandomi nello specchio penso che, se avessi ancora un po’ di trucco, sarei proprio una gran figa, ma noto sul comodino un rossetto e mi concedo il vezzo di dare un velo di tinta alle labbra anche se non mi era stato ufficialmente detto.
Torno di là, cercando di non cadere dai tacchi, e lui mi aspetta sul divano. Non c’è bisogno di parole: lui scosta i lembi della vestaglia, sotto cui è completamente nudo, e mi mostra un pene che, anche se non eretto, promette di avere dimensioni notevoli.
Neanch’io dico nulla, ma mi limito ad inginocchiarmi tra le gambe dell’uomo e, come una concubina devota, afferro il membro e comincio a leccarlo e succhiarlo.
Lo sento ergersi imperioso nella mia bocca e ben presto mi è chiaro che è un arnese ben più grosso di quello di Lele, il che se da una parte stimola la mia lussuria più animalesca, dall’altra mi riempie di giustificato timore, pensando che, chiaramente, quest’uomo non si accontenterà dei miei pompini.
Lascio che mi detti il ritmo con la mano che appoggia sul mio capo; non mi impone dei movimenti, d’altronde non ne avrebbe bisogno. Ma in un certo qual senso mi ricorda che è lui a guidare il gioco.
Infatti, quando inizio a pensare che di lì a poco mi riverserà in bocca i suoi fiotti cremosi, mi fa fermare, mi porge la mano per alzarmi in piedi, e mi conduce in camera.
Lì, con mia sorpresa, mi fa sdraiare di schiena su quel lettone dove poco prima aveva preparato il mio outfit da indossare. Poi si avvicina, mi prende le caviglie e mi solleva le gambe verso il soffitto, per poi appoggiarle sulle sue spalle. Capisco che, in quella posizione, sono ancora più indifesa rispetto alla postura “doggy” che ritenevo quella più indicata per il sesso sodomita.
Il mio culo infatti è proprio all’altezza di quel minaccioso membro, e non potrei in alcun modo allontanarmi da lui, se lo volessi.
Sento che appoggia la sua cappella al mio buco e inizia, delicatamente e lentissimamente, a spingere. Sento i miei muscoli che all’inizio si allentano per permettere l’accesso del suo uccello, ma le sue dimensioni sono decisamente superiori a quelle dei miei falli vegetali o del cazzo di Lele, per cui ad un certo punto iniziano a fare resistenza a quella penetrazione.
Per fortuna anche la carne del suo membro è morbida, perciò si lascia strizzare dai muscoli del mio sfintere e, stringendo i denti per il dolore, lo sento che scivola inesorabilmente in me.
La sensazione di essere riempita, sfondata da quel cazzo è impagabile. Il mio amante si china verso di me e mi bacia appassionatamente mentre il suo membro sprofonda nel mio intestino per i suoi ultimi centimetri. Ce l’ho tutto dentro!
Mentre la sua lingua gioca con la mia, prendo a muovere piano il mio basso ventre quasi a mungere quel cazzo fantastico che subito riceve il messaggio, iniziando il suo va e vieni da quel buco ormai sfondato.
Mi sento svuotata quando si ritira da me, per poi venire di nuovo riempita; l’impressione è che mi arrivi fino allo stomaco, come se non avessi più un intestino ma un unico ricettacolo per quello scettro di carne che ora mi martella con un ritmo cadenzato.
Sto godendo, e urlo il mio piacere nella sua bocca che nel frattempo non ha lasciato la mia. Vorrei urlargli che sono sua, che voglio essere riempita dal suo cazzo, sfondata, inondata di sperma.
Lui, interrompendo il bacio, si sfila da me con un “plop”, lasciandomi l’ano spalancato.
Mi fa voltare a pancia sotto, e prima ancora che io glielo chieda affonda il suo membro in me, senza più trovare alcuna resistenza. Anzi, data la posizione mi sembra quasi che riesca ad arrivare più a fondo, aiutato anche da me che, ormai persa nella mia lussuria, mi divarico le natiche con le mani offrendogli pieno accesso al mio culo ormai sfondato.
“Sì… sfondami… così… il culo… tutto nel culo… sono una rottainculo…” deliravo, sbavando sulle lenzuola sotto di me, mentre lui mi scopava con violenza affondando ogni volta il suo arnese nel mio ventre, intercalando il tutto con i prevedibili insulti.
Insulti che stranamente mi avrebbero dovuto offendere, ma che in realtà mi eccitavano. Che cos’ero infatti se non una troia? Una troia che si fa scopare per un paio di scarpe, che si fa sfondare il culo da un uomo incontrato per caso.
E godevo di quella situazione, come non mai, fino a che sentii il suo cazzo gonfiarsi nel mio retto e riempirlo di sperma, mentre anche io me ne venivo di un orgasmo devastante…

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