Una scopata con il ladro

Una scopata con il ladro

Il piano era ultimato. Quella notte Johnny, un malvivente di trentotto anni, sarebbe andato a svaligiare la casa di Giovanna, una sua coetanea. L’aveva seguita per giorni, studiata in ogni mossa. Giovanna si era ritrovata di punto in bianco un conto in banca da capogiro, passando da nullatenente – o quasi – a ricca ereditiera.

Giovanna non sapeva cosa farsene di tutti quei soldi, dei gioielli, dei numerosissimi immobili. Aveva sempre pensato esclusivamente a sopravvivere, facendo ciò che più le piaceva, abbandonata da tutti come una cagna. Quindi aveva girato per l’Italia andando laddove le offrivano un lavoro interessante, per poi ripartire quando se n’era stancata.

Giovanna, cresciuta in una famiglia pessima, assente per quasi tutta la sua giovinezza, non aveva imparato che a badare a se stessa senza riflettere sul domani. Le sue relazioni erano spesso sbagliate, fatte solo di sesso. Una valvola di sfogo, più che altro, perché non riusciva ad aprirsi, a darsi, sfiduciata com’era.

Diventare un’ereditiera non aveva portato via le sue frustrazioni, anzi: la bloccava nella responsabilità di badare al patrimonio. Terminava lì, quindi, il suo vagabondare dietro ai desideri, la sua libertà.

All’una di notte Johnny era appostato come un gufo su un albero alto, dal quale poteva vedere all’interno della camera da letto della donna. “Accidenti, si sta mettendo di nuovo il perizoma di pizzo.” Quando indossava quella lingerie sexy per andare a dormire, al ladro veniva sempre il dubbio che ci fosse qualcuno nella vita di Giovanna, pronto a rientrare da un momento all’altro.

Le paure dell’uomo si spegnevano insieme allo spettacolo, che lo lasciava senza fiato, perché Giovanna era un sogno: il seno era semplicemente perfetto, una terza rotonda, di quelle che non cadranno mai; la vita sottile e le anche da donna, larghe, che scivolavano su un sedere piccolo e impertinente, e sulle gambe lunghissime e ben fatte.

Johnny si perdeva tanto da temere di essersi infatuato dell’ereditiera. A volte pensava che sarebbe stato meglio sposarla, darle il calore che non aveva mai avuto, piuttosto che svaligiarle la casa. Ma se una donna come quella era sola, un motivo ci doveva essere: era colpa della sua chiusura nei confronti del mondo, della sua impassibilità, della sua incapacità di provare affetto.

Le luci si spensero. Johnny, appollaiato sull’albero, tirò una polpetta farcita al cane. Il menu giusto per farlo dormire per una ventina di ore. La belva, cattiva come la sua padrona, si arrotolò a terra per riposare.

“A domani” bisbigliò Johnny all’animale.

Alle due e mezza si calò all’interno del giardino. La villa era sperduta, immersa nel silenzio. L’inquilina era disadattata abbastanza da non temere alcunché e non metteva mai l’antifurto. E il ladro, chiaramente, lo sapeva. Lui sapeva tutto. Quello poteva essere il colpo più importante della sua vita.

Entrò scassinando una finestra. Aveva già studiato come aprirla e non ruppe niente, a parte un gancio sulla persiana. Controllò a fondo il pianterreno senza far rumore e raccolse i primi oggetti preziosi.

Fatto questo, l’uomo vestito in nero come una caricatura di Diabolik percorse le scale di legno con calma, per non farle scricchiolare. Era il momento di visitare l’inquilina e somministrarle un sonnifero.

Facendosi luce con una torcia, arrivò nella camera da letto. Giovanna era immersa in un sonno profondo. La sagoma sotto alla coperta era sinuosa e Johnny rimase impalato a immaginare quel corpo meraviglioso. L’unica cosa che poteva scorgere erano i piedi sottili e curati, le caviglie finissime. Aveva una rosa tatuata in prossimità un malleolo.

A un certo punto Giovanna cominciò ad agitarsi. La tensione salì alle stelle, Johnny spense la torcia. Non poteva scappare o avrebbe combinato un disastro: lei si sarebbe accorta della sua presenza.

Ma l’ereditiera non si stava svegliando. Sognava.

“Sì, prendimi” diceva, allargando le gambe, scoprendosi.

Johnny si era abituato al buio e grazie alla luna che filtrava furtivamente vide le cosce spalancate della donna che ansimava e si metteva una mano nel perizoma. Con il clitoride tra le dita, Giovanna soffiava ed emetteva dei suoni squillanti.

“Dev’essere un pezzo che non fa sesso” pensò avidamente Johnny, con la testa tra le nuvole, perdendo totalmente l’obiettivo della sua missione in quella ricca dimora. Il pene del ladro si ingrossò nella tuta attillata, gli arrivava quasi all’ombelico. La donna stava bagnando il letto e lui non resisteva più: calò i pantaloni e tirò fuori il cazzo in erezione che ballonzolò come una molla.

Si poggiò sul letto e spostò il sottile strato di pizzo trasparente che lo divideva dalla vagina fradicia.

Lei continuava a masturbarsi. Percepì l’uccello gonfio dello sconosciuto che si faceva strada spalancandole le porte del paradiso dei sensi.

Johnny restava fermo, pensando che non si sarebbe destata e, nel dormiveglia, era Giovanna stessa a scoparlo, muovendosi per godere più che poteva, andando su per sentirlo tutto dentro. Johnny, preso dall’ardore, l’afferrò per i glutei e iniziò a penetrarla energicamente; il materasso si bagnava sempre di più.

Giovanna aprì finalmente gli occhi e si accorse dell’uomo aitante e muscoloso nascosto dalla tuta leggerissima. Non si preoccupò di chi fosse, gli disse solamente:

“Fammi urlare”.

Allora Johnny, arrapato più che mai, le tirò su le gambe chilometriche e se le poggiò sulle spalle. I suoi colpi affondavano nella passera e le mordicchiava i piedi che gli piacevano da impazzire. La donna si sfregava il clitoride mentre Johnny la sbatteva con passione, realizzando un sogno che valeva più di mille furti. Giovanna prese a gridare, strozzata, a dimenare la testa come una posseduta, e si liberò in un orgasmo sconfinato. L’uomo venne a sua volta, impazzendo per lei.

Al termine dell’amplesso, Giovanna gli chiese:

“Tornerai?”

E lui rispose:

“Tornerò.”

Autore: Biagio B.

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