Sulla linea del 36

Sulla linea del 36

Sulla linea del 36

Samantha era salita alla solita fermata del 36, dopo essere uscita dallo studio notarile, dove lavorava fino alle otto di sera. Era una calma serata del mese di settembre ed indossava un vestitino leggero a maniche giro, avvitato, corto, e molto scollato, che lasciava intravedere tutto il suo seno rigoglioso. L’autobus, come tutte le sere a quell’ora era affollatissimo: lei non riusciva mai a trovare un posto libero e si sistemava in piedi, vicino la porta, attaccata ad una delle aste verticali, che sostenevano il lungo passamani.
Quella sera, alla prima fermata, un giovane alto e bellissimo le si era accostato da dietro e, pian pianino, si era appoggiato sul suo fondoschiena morbido e prominente. Come prima reazione, avrebbe voluto scostarsi, per non cadere vittima dei sensi. Lei era giovane, calda di temperamento e single da diversi mesi: covava un fuoco dentro che, alla prima scintilla, sarebbe facilmente divampato e l’avrebbe travolta. Poi, riflettendo che il giovane era di suo pieno gradimento e che da quel contatto poteva nascere qualcosa di indimenticabile, fingeva di non avvertire quel coso duro che, incuneatosi nel profondo solco del suo deretano, le procurava tanto piacere da accoglierlo, in tutta la sua possanza, fra le natiche voluminose e calde. Ora era lei che spingeva il culo indietro, per tenerlo attaccato a lui il più possibile, mentre il corpo le bruciava dentro e i sensi languidi si inebriavano del profumo della libidine più accesa.
Altre due fermate e poi doveva scendere. Era arrivata a casa prima di lui. Peccato: la pomiciata era finita sul più bello: chissà quando mai avrebbe incontrato quel giovane alto e tanto virile. Lo desiderava tanto che gli avrebbe fatto un pompino, anche davanti ad una platea di mille persone.
La sera successiva, Samantha saliva sul 36 alla solita fermata. Indossava pantaloni attillati di una stoffa sottile come la seta, che avvolgeva tutto il suo corpo sinuoso dai fianchi in giù, mettendo in evidenza tutta la bontà delle sue cosce e del suo seducente posteriore a tutto tondo.
Alla fermata successiva si girava per vedere se la fortuna era dalla sua parte: attendeva che lui salisse e la cercasse fra la folla. Infatti Paolo, questo era il nome del ragazzo, saliva puntuale a quella fermata. Aveva l’auto dal meccanico, da diversi giorni, ed era costretto, per almeno una settimana, a prendere l’autobus, per tornare a casa.
Appena la scorgeva attaccata al solito sostegno verticale, le si avvicinava come un falco e le si incollava addosso, come un francobollo. Lei sorrideva felice e non perdeva occasione, ad ogni frenata, ad ogni spinta dalla folla di attaccarsi a lui, che glielo spingeva dentro, come se volesse prenderla in quel momento ed in quella posizione. Nel momento più caldo di questo contatto passionale, lui l’aveva abbracciata ai fianchi e se l’era appiccicata a lui, dandole dei colpi furiosi da dietro, fino a quando lei, vinta dai sensi, si era abbandonata totalmente alle sue voglie, tanto da lasciarsi baciare sul collo e a farsi leccare i lobi delle orecchie.
Giunti alla sua fermata, lei le prendeva le mani per slacciarsi da quel piacevole abbraccio, ma, nello stesso tempo se lo tirava dietro, invitandolo a scendere con lei. In sostanza non voleva perderlo.
A Paolo questa decisione non dispiaceva affatto: quella ragazza, che non doveva avere più di vent’anni, gli piaceva da morire e non vedeva l’ora di acchiapparla per sodomizzarla e sbattersela un paio di volte, anche sul selciato, pur di vederla godere e guaire di piacere come una cagna.
Scendevano insieme abbracciati e mentre lei gli sussurrava il suo nome, Samantha, lui rispondeva, Paolo e si baciavano sulla bocca, incuranti dei passanti. Era buio per le strade, scarsamente illuminate della borgata, e lui l’aveva spinta contro la parete di un palazzo, infilandole le mani nella cintura dei pantaloni fino a toccarle le natiche lisce e sensuali, mentre la baciava ripetutamente sul collo e sulla bocca, succhiandole i capezzoli duri, che era riuscito a tirar fuori dal reggiseno un minuto prima.
Lei, di rimando gli aveva abbassato la cerniera dei pantaloni, e, quando l’aveva afferrato con la mano destra e l’aveva sentito enorme e durissimo, non se l’era sentito di prenderglielo in bocca per la strada ed aveva desistito, mentre si sentiva la fica gonfia di libidine e non vedeva l’ora di finire a letto con lui, per godere e farlo godere, come solo lei sapeva fare.
Se lo prendeva per mano e lo trascinava per una ventina di passi, fino a giungere ad un portone più avanti: era lì che abitava con la mamma, che ora non c’era, perché era partita con un’amica in gita turistica.
Salivano frettolosamente di sopra, entravano in casa e correvano a spogliarsi in camera da letto. Lei non vedeva l’ora di sentirlo tutto in bocca ed infatti l’ingoiava tutto e si impegnava in un pompino da favola ed anche lui, dapprima le strizzava i seni gommosi e bianchi e poi le saliva sopra, tenendoglielo sempre in bocca, e le infilava la lingua nella fica salmastra e bollente; quindi, succhiandole il clitoride rosso come una grossa ciliegia, la faceva venire tanto che doveva smettere di leccarla per l’abbondante secrezione delle ghiandole vaginali.
Lei ormai stanca, voleva farlo venire a tutti i costi per sentire in bocca il sapore leggermente salso e pungente dello sperma, ma lui si tratteneva fino a girarla a pancia in giù; poi trovandoselo già viscido e pieno di saliva, le apriva le natiche e glielo infilava con forza e decisione nel buco stretto del culo, che se lo prendeva tutto dentro, come se l’aspettasse da tempo.
La monta assumeva un ritmo frenetico e durava parecchi minuti, mentre lui le strizzava energicamente le mammelle come se volesse farle scoppiare. Poi d’improvviso veniva all’orgasmo riempiendole di sperma l’ano sofferente e rimanendo dentro di lei ancora pochi minuti, per sentirla tutta sua, finalmente addomesticata.
Dopo essersi riposati qualche secondo, andavano nella toilette a lavarsi e a rinfrescarsi per tornare subito a letto. Lei lo riprendeva subito in bocca e se lo ficcava dentro fino in gola e, quando lo sentiva di nuovo turgido come un punteruolo, si metteva a cavalcioni sul ragazzo e se lo infilava tutto nella fessa, tornata gonfia e umida, un fica che bruciava d’amore come un forno acceso. Questa volta era lei a condurre la danza: gli offriva i capezzoli da succhiare forte, come a volerli svuotare del liquido vitale e ballando su quel cazzo, che sembrava un paletto, venivano insieme al godimento più intenso e più gratificante, tanto che restavano avvinghiati, come in un unico corpo, per molti minuti ancora, prima di staccarsi e salutarsi, nell’attesa delle sere successive, che sarebbero state sempre più appassionate ed infuocate della prima.
Giorgio De Fall

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