IL PROFESSORE E LA CASALINGA

IL PROFESSORE E LA CASALINGA

IL PROFESSORE E LA CASALINGA

Era un pomeriggio del mese di dicembre, illuminato da un pallido sole. Il professore Ezio guardava dal suo balcone il mare che si congiungeva, lontanissimo, al cielo in un abbraccio grigio, sfumato dal bianco spumeggiare delle onde, percosse da un vento penetrante e fastidioso. D’un tratto, mentre sorbiva il suo caffè, ricco di fragranze calde e molto gustose, guardò l’orologio, che portava al polso ed ebbe come un sussulto: era tardi! Doveva recarsi a scuola per il primo colloquio con i genitori dei suoi alunni, che non conosceva affatto.
Erano tutti ragazzi di prima liceo, provenienti dalle scuole medie, che si erano dimostrati diligenti e studiosi, tanto che lui era contento, perché gli era capitata una classe modello.
Scese giù, s’infilò in macchina ed in pochi minuti, raggiunse la scuola.
Entrò di filato nella sala dei professori, per prendere i registri di classe, salutò i suoi colleghi, con i quali aveva ottimi rapporti, e si diresse verso l’aula, destinata ai colloqui.
Si sistemò fra l’insegnante di lingue, giovane laureata fresca, bella e pimpante e l’insegnante di matematica, anziana, bigotta e permalosa, che vedeva di malocchio i complimenti che il collega Ezio faceva alla collega giovane e formosa.
Il professore, forte di una esperienza più che ventennale, prevedeva una giornata alquanto noiosa, con le solite raccomandazioni ai genitori preoccupati: il ragazzo va bene, ma potrebbe fare di più, se solo s’impegnasse un pochino; è intelligente, ma un po’ svogliato…..forse pensa alla ragazza…….. sa è l’età in cui ci si distrae. Cosa vuole 15 anni………Lo faccia studiare un tantino in più e vedrà che il professore gli darà dei voti un po’ più alti. Mi raccomando….!
La musica, per tutto il pomeriggio, sarebbe stata così, ripetitiva e affatto entusiasmante.
Già dopo i primi quattro o cinque genitori, Ezio avvertiva il bisogno di sgranchirsi nel corridoio e respirare a pieni polmoni un po’ d’aria fresca, dato che la collega di matematica appestava la stanza con le sue sigarette puzzolenti, in barba al divieto di fumo, che lui più volte le rammentava, inutilmente.
Usciva nel corridoio, seguito dalla collega di lingue, che aveva in odio il comportamento della signora di matematica, la quale, quasi con disprezzo, non mancava di rimarcare alla ragazza il suo stato di nubile, chiamandola: signorina, lei che è ancora signorina, mi ascolti…….quando avrà un marito, forse, capirà…se lo ricordi….!!
Con una collega simile, acida e presuntuosa, c’era da stare poco allegri.
Nella sala dei professori, ormai deserta, Ezio accennava ad un tentativo di agganciare la collega, tentativo che andava a vuoto, perché la signorina aveva già una segreta relazione col Preside, che se la sbatteva beatamente in un’aula semivuota, adibita a laboratorio di fisica, che si poteva chiudere con la chiave.
Tale relazione amorosa veniva puntualmente a galla, solo verso la fine dell’anno scolastico, quando l’insegnante nubile e vergine, si assentava da scuola, senza chiudere nemmeno l’anno scolastico, per una gravidanza indesiderata, così si diceva, lasciando il povero Preside nella disperazione più cupa.
Entrambi, quindi decidevano di rientrare, per seguire l’andamento dei colloqui e riprendevano i loro posti, sotto lo sguardo arcigno ed indagatore della collega di matematica.
Ezio liquidò, dopo breve preambolo, un paio di genitori, con la solita raccomandazione a spingere i ragazzi a studiare di più, perché erano in grado di fare chissà quali prodezze, nel ripetere quelle storielle trite e ritrite di programmi vecchi, intrisi di nozionismi, che non servivano a niente ed a nessuno. I ragazzi, infatti, continuavano ad uscire dalle scuole, con la testa piena di numeri, ma impreparati per la vita e soprattutto per il lavoro. Il Professore era cosciente di tutto questo, ma si comportava, seguendo un conformismo ormai diffuso e consolidato.
D’un tratto, mentre si era quasi rassegnato a chiudere quel pomeriggio con qualche sbadiglio mal celato, sulla porta dell’aula appariva, come uscita da una rivista di moda, una signora giovanissima, avvolta in un cappotto avvitato, esile, ma con un fascino ed una classe, che si percepivano a distanza.
Ezio non potè fare a meno di puntarle gli occhi addosso, per spogliarla con l’immaginazione e fingendo però la massima indifferenza. La signora si avvicinò alla cattedra e si rivolse all’insegnante di matematica, la quale, invece di prestare attenzione alle parole della giovane mamma, guardava verso Ezio, per scrutare attentamente la sua espressione, onde cogliere il benché minimo sorriso di compiacimento, di fronte a tanta grazia di Dio.
Poi, quasi seccata, apriva il registro per dire alla signora che il ragazzo andava benissimo nella sua materia, quindi l’invitava a parlare con l’insegnate di lettere e si alzava dalla sedia, per andare a portare il suo disturbo da qualche altra parte. Ezio, molto contento, ma un tantino emozionato, si girava verso la collega di lingue, che, con grande intelligenza, porgeva subito la mano alla signora, presentandosi e concludendo, in breve, che il ragazzo era diligente e studioso e che lei al primo trimestre gli avrebbe confermato il sette, in inglese. Quindi si allontanava anche lei, lasciando Ezio, padrone del campo e della situazione inaspettata, quanto propizia, per conoscere una Dea, discesa dall’Olimpo. Anche il Professore di lettere, si alzava e porgeva la sua mano alla signora, avvertendo nel toccare quella pelle morbida e liscia una sensazione, che gli accendeva il fuoco nelle vene; l’invitava, quindi, a togliersi il cappotto, poiché l’ambiente era già molto riscaldato. La signora seguiva il consiglio e lui, gentilissimo, si faceva carico di appendere quel capo d’abbigliamento, fortunato e profumato, all’appendipanni, che stava in un angolo, dietro la cattedra. Poi invitava la bella ragazza a sedersi sulla sedia di rimpetto e fingendo di non aver capito bene, si rivolgeva alla donna, come se fosse la sorella del suo alunno, mentre osservava quella bocca, che lasciava intravedere una fila di denti perfetti e bianchissimi, con una nascosta avidità, che avrebbe voluto diluire in mille baci ardenti e appassionati.
Lei replicava di essere la madre del ragazzo e lui, sorpreso: Mi scusi, lei non avrà più di venticinque anni, come potrebbe avere un figlio di 15 anni? E lei: Professore, la ringrazio per il complimento, ma io ho 34 anni e sono sposata da sedici anni. E lui : chiedo umilmente scusa e mi perdoni ancora se le dico, sinceramente, che invidio suo marito, per avere avuto la fortuna di sposare una donna bellissima, simpatica e con un fascino tale da lasciare, chi le sta di fronte, veramente senza parole. Le chiedo perdono per il mio sincero e libero sfogo. Non sono stato capace di trattenermi!! Comunque suo figlio va bene, anche se non riesce a digerire ancora la storia: una materia, in cui fatica un po’, ma nulla di preoccupante, stia tranquilla. Si ricordi che per sapere come va il ragazzo, può venire, in qualsiasi giorno, a conferire con me, basti che lo dica al bidello e sarò sempre a sua completa disposizione.
Professore, La ringrazio, è molto gentile: terrò presente il suo consiglio.
Ezio si alzò, prese quel cappotto profumato di Chanel e di donna, rara e conturbante, e, mentre lo porgeva alla signora, che si girava per infilarselo, notava che lei era una falsa magra: sotto quel vestito aderente si notavano due mammelle sode e rotonde e due natiche carnose e consistenti, che ad esplorarle, ci sarebbe stato da perdere la testa. Poi, prima che la signora si allontanasse, le porse la mano e le chiese di cosa si occupasse e lei, serena: Faccio la mamma, anche se ho un solo figlio e poi… la moglie,…. casalinga. Mio marito, che è un perito agrario e fa il rappresentante di fertilizzanti ed anticrittogamici è quasi sempre fuori città: per questo, non ha voluto che facessi l’insegnante delle scuole elementari, perché era ed è, ancora, estremamente geloso.
Ezio, quella sera, tornava a casa frastornato, ma felice. Pensava a come fare per agganciare quella visione divina, che avrebbe inevitabilmente turbato tutti i suoi sogni.
La necessità aguzzava l’ingegno e dopo aver pensato e ripensato a come fare per incontrare quella donna, ricoperta di carne pregiata, bianca, liscia e profumata, gli veniva in mente che forse la signora aveva il telefono in casa, come quasi tutte le famiglie.
Erano, da poco, finite le vacanze di Natale. La scuola aveva riaperto i suoi battenti e gennaio era arrivato con un freddo intenso, anche se il sole splendeva in un cielo, con poche nuvole, ma incapace di dare calore alla terra. Ezio, un bel giorno, approfittando del fatto che doveva far le veci del Preside, che si era dovuto assentare, per ragioni di famiglia, si ritirava nella stanza ampia e soleggiata, dove faceva bella mostra di sé un bel telefono rosso e trovò sull’elenco il numero che gli interessava, intestato al marito della signora dei suoi sogni.
Compose, trepidante, il numero che aveva scritto su un pezzo di carta, fino a sentire dall’altro capo del filo l’inconfondibile voce di quella meravigliosa creatura, carica di sex appeal, che non vedeva l’ora di spogliare e di esplorare in tutti gli anfratti più segreti.
Pronto, diceva il professore, c’è Sabrina? Sono il professore Ezio Scarà. – Qui non c’è nessuna Sabrina, replicava la voce dall’altro capo. Lei avrà certamente sbagliato numero. Qui è casa Manganelli !
Le chiedo venia signora, avrò sbagliato numero, sa la fretta……a volte, mi perdoni………..Scusi, continuava la donna dall’altra parte del filo, ma Lei è proprio il professore Ezio Scarà, il professore di mio figlio Leopoldo? Guardi, signora, che io ho un alunno, adesso che mi ci fa pensare, che si chiama Leopoldo Manganelli, un bravo ragazzo nel vero senso della parola. E lei: Professore io sono la mamma di Leopoldo, si ricorda, ci siamo conosciuti ai colloqui dei genitori, si ricorda di me?
A dire il vero, ricordo una ragazza meravigliosa coi capelli neri e lunghi e con tanti riccioli sulla fronte, dagli occhi azzurri più del mare e dalla voce soave. Grazie per tanti generosi complimenti, che forse non merito. Apprezzo la sua gentilezza …. Ne sono anzi lusingata!!!
Ma signora, si figuri, sbagliando numero, pensavo di essere iellato ed invece, sono fortunatissimo: sentire la sua voce, che è così calda e suadente, una voce sensuale che scende fino al cuore ed accarezza l’anima, è una cosa rara e meravigliosa. Professore, vedo che Lei è anche poeta. Non sono poeta, ma se mi permette ancora di parlare con lei, forse lo diventerò….Ma sicuramente, professore, può parlare con me quanto vuole. In casa sono sola: Leopoldo è a scuola e mio marito, come sempre, al lavoro e non rientra mai prima delle due.
Mi dica, allora, almeno il suo nome e mi dia il permesso di darle del tu, nella speranza di poterla sognare tutte le notti…….mi scuso per l’ardire. Mi chiamo Silvana, professore, e, se vuole, può darmi del tu.
Allora, cara e adorabile Silvana, ti prego di chiamarmi Ezio ed invidio tuo marito che ha la possibilità di averti a letto tutte le notti e di gustare tutti i tuoi baci e tutte le tue carezze: deve essere un vero Rodolfo Valentino, un vero conquistatore; peccato che io sia una persona comune, anonima e modesta. Se fossi un Valentino, le farei una corte serrata, da non lasciarle scampo. Per me, lei è un fiore raro, una stella alpina, nata in cima ad un alto dirupo; se tentassi di coglierla, forse precipiterei in basso e mi farei molto male. Sono un pessimo scalatore!! Ma no, Ezio, per me, sei meglio di cento Valentino: sei un uomo dal fisico tonico e perfetto, al contrario di mio marito, che è alto, ossuto, magrissimo e fortemente miope, da fare paura. Poi, tieni presente che non sono una stella alpina e nemmeno una dea: sono una donna comune e non vivo in alto, ma al primo piano di un palazzo verde, sito in via Firenze,18.
Silvana, ti prego, stai accendendo non solo la mia fantasia, ma tutti i miei sensi. Mi toglierai il sonno e quel che più mi dispiacerebbe, sarebbe il fatto di dover morire con la voglia di te. Con la voglia dei tuoi baci, con la voglia delle tue languide carezze, con la voglia di possederti tutta, anche se per una sola volta. Pensare a te sarà la mia principale occupazione, d’ora in poi, perché sento di amarti, anzi, credo di non aver mai incontrato una donna più bella di te, più sensuale e più affascinante.
Ezio, ti vedo disperato e sento che sei sincero. Devo dirti però che, dato che il mio menage non è proprio il massimo che si possa avere dalla vita e tu mi piaci, perché sei il mio tipo, non voglio sentirti dire che mi vorresti solo per una volta soltanto. Quando m’innamoro anch’io, l’uomo lo voglio più volte. Se decideremo, di nascosto, di rubare al destino qualche ora di felicità, ti farò vedere di cosa sono capace. In amore sono romantica, ma anche fortemente passionale: scoprirai il vulcano che si nasconde in me!! E stai pur tranquillo che non ti farò morire con la voglia di Silvana.
Ezio era felice e si sentiva al settimo cielo: aveva, in breve, conquistato il cuore di una donna unica nella sua bellezza, un sogno che si sarebbe presto realizzato solo se avesse posseduto quel corpo, che sprigionava sensualità da ogni poro, che gli accendeva desideri innominati, fin sotto la pelle, ma soprattutto nei pantaloni, rigonfi di una mazza che voleva partire all’attacco del fortilizio.
Quindi, ormai sicuro di essere sul punto di vincere la partita, replicava: Sono l’uomo più fortunato della terra, mia cara Silvana, ma non avrò pace fino a quando non ti avrò spogliata e non mi sarò inebriato del tuo profumo così raro e non ti avrò coperta di baci in tutto il corpo. Perché, anima mia, non organizziamo un incontro segreto, magari al buio….anche in macchina, se ti và.
No, tesoro mio, non mi va affatto. La macchina è scomoda e rischiosa: potrebbe vederci qualcuno e sarebbe una tragedia. E, poi, non voglio perderti, prima di averti fatto mio: anch’io ho atteso questo momento troppo a lungo e credo, di aver diritto alla mia felicità, che in questo momento si chiama Ezio, un nome che mi è entrato nel cuore, nell’anima e nel sangue! Oggi è lunedì e noi possiamo vederci solo a casa mia di mattina, quando mio marito è al lavoro e Leopoldo a scuola, così mi sento più sicura. Qual è la giornata in cui hai qualche ora d’intervallo a scuola? Ezio rimaneva sorpreso, per la lucidità con la quale pianificava le cose e rispondeva: Mio Tesoro, proprio di martedì, cioè domani, è la giornata in cui ho due ore d’intervallo: dalle nove alle undici, se sei d’accordo, possiamo fare per domani. Certamente replicava Silvana, spingerò le ore, ma ti raccomando di lasciare la macchina, distante da casa mia e di salire per le scale e non con l’ascensore, dopo aver citofonato senza fare nomi; devi dire soltanto “sono io” ed attendere prima il mio “si” e poi l’apertura del portone. Quindi, senza indugiare all’ascensore, sali rapidamente per le scale e troverai la porta di casa mia, sul lato destro del pianerottolo, socchiusa. Puoi entrare senza suonare o chiedere permesso. D’accordo, amore mio, unico bene della mia vita, sarò puntuale da te, alle nove e un quarto: Ti amo da morire e, domani, te lo dimostrerò,… aspettami. Si amore infinito, ti aspetterò con ansia, per farti dono di tutto il mio calore, a domani.
Durante la notte, nessuno dei due fu in grado di chiudere occhio, aspettando che iniziasse il nuovo giorno: l’alba avrebbe regalato loro una felicità senza fine e sarebbe diventata più luminosa dell’aurora per l’inizio di un amore forte e passionale, che li avrebbe coinvolti, travolti e gratificati, nell’appagamento reciproco dei loro sensi, ormai profondamente esacerbati.
Alle nove in punto del mattino seguente, Ezio lasciava la scuola e si dirigeva in una traversa della via parallela a via Firenze, dove lasciava la sua auto. Poi, a testa bassa, come se non volesse incontrare nessuno e a passi svelti, guadagnava il portone, sito al numero civico 18; suonava al citofono e si sentiva rispondere “si, si” Il portone si apriva e lui, con passo felpato, ma rapido, s’arrampicava su per le scale, salendo i gradini col cuore che gli andava a cento all’ora e con un grosso peso fra le gambe, che gli dava un fastidio enorme, come se volesse rammentargli che lui era prontissimo ad abbandonare i pantaloni, per respirare un’aria più piacevole e più allettante.
Al primo piano, Ezio trovò un portone socchiuso, con una targhetta molto visibile, che recava la scritta “Manganelli”; spinse e s’infilò silenzioso in casa, chiudendo piano la porta dietro di sé.
Si trovò in un disimpegno quasi quadrato, quando dalla porta della camera da letto, apparve lei, avvolta in una vestaglia di lana rosa, coi capelli nerissimi e riccioluti, sciolti sulle spalle. Ezio le fu subito addosso, l’abbracciò e la baciò sulle labbra frementi di passione, esplorando, con la lingua, quella bocca, profumata di dentifricio, che ansimava di piacere incontrollato.
Le sfilava la vestaglia, che cadeva lentamente ai suoi piedi e si trovava davanti una Venere nuda, in tutta la conturbante bellezza dei suoi seni candidi e duri, con due capezzoli piccoli, come chicchi di grano; senza por tempo in mezzo iniziava, quindi, a succhiarli con tanta energia, da sentirli già gonfi e turgidi più che mai. mentre la voglia di possedere tutto quel corpo rigoglioso, ricche di curve perfette, profumato di bagnoschiuma, che possedeva due carnosi glutei, che erano da capogiro, gli conferiva una forza nuova ed un ardore, mai provato prima.
In breve vedeva che i due capezzoli dopo il trattamento, che lui aveva loro riservato, erano divenuti due belle palline rosse come due chicchi di melograno, che contrastavano piacevolmente col candore delle mammelle, perfettamente rotonde, come due coppe di spumante.
Lei rimaneva muta, ma sensibilmente attratta da lui, che la dominava e che l’avrebbe fatta sua da lì a poco. Ezio, dopo averle accarezzato la schiena e le natiche, che esprimevano un fascino segreto e misterioso, la prese in braccio e l’adagiò sul letto matrimoniale, come una sposa, che aspettava d’essere deflorata, sull’altare di Priapo.
Lei, con fare sensuale, aprì le cosce lisce e tornite, per mostrargli quel fiore di rara bellezza, che si apriva come un bocciolo in un boschetto di peli morbidi e neri, cresciuti tutt’attorno, come a volerlo proteggere da sguardi indesiderati.
Lui, si spogliò in un attimo e si adagiò fra quelle cosce bianchissime, infilando quella sua mazza scatenata in quella dolce ed indifesa fessura, perché trovasse finalmente pace. La danza sacrificale cominciava bene: con la mano destra, Ezio spingeva a sé la donna, prendendola dalle natiche, mentre con la sinistra continuava a strizzarle le poppe spugnose e con la lingua assaporava quei baci, resi caldi dall’amore appassionato e dalla irrefrenabile libidine.
Anche Silvana si dava da fare, spingendo da sotto con colpi cadenzati, ma decisi, aggrovigliando le sue gambe attorno alla vita di lui, come a tenerlo prigioniero in quella piacevole morsa ed infilandogli le unghia nelle spalle, come una famelica pantera che volesse strappare lembi di pelle, da divorare dopo l’amplesso. Così lui, per sfuggire a quel supplizio, che rischiava di rivelare a sua moglie, l’arcano di quei graffi profondi lungo la schiena, si rivoltò di scatto e riportò Silvana sopra di lui, in modo da poterle succhiare ancor meglio i capezzoli, accarezzandole la schiena, fino al solco profondo delle chiappe morbide, che gli piacevano da morire, Lei, infatti, dopo aver ballonzolato sulla pertica per un po’, si scioglieva in languidi lamenti di godimento e veniva all’orgasmo con un piacere così intenso, da restare quasi stordita.
Quando Ezio la vide letteralmente incapace di reagire, tutta sdraiata sul suo corpo, la fece scendere e l’adagiò supina accanto a lui. Poi le aprì le natiche e constatò l’integrità del foro posteriore, roseo ed ancora inviolato, e vi poggiò l’ogiva d’acciaio, annegata nella saliva. Il cazzo durissimo, simile ad un ariete entrò lentamente, sfondando quel fortilizio delizioso e dando il via ad una galoppata forsennata su quella groppa, omai quasi domata: Silvana era ormai tutta sua e non faceva altro che dire: si…si…mi stai facendo morire…. sei tutto mio…. Ti voglio ancora!! Mentre inarcava la schiena e sollevava le natiche, per essere trafitta più a fondo, per sentire dentro di sé tutta la possanza del suo maschio.
Terminata la monta selvaggia, con un’abbondante colata di sperma nello stretto cunicolo del retto, Ezio si alzava ed andava in bagno seguito da lei. Silvana si sedeva sul water dove scaricava tutto quel liquido caldo e biancastro, che aveva dentro, mentre Ezio sul lavava sul bidet, con abbondante sapone profumato. Poi la donna si adagiava anche lei, per lavarsi le due gallerie interne; a questo punto lui le faceva danzare davanti al viso il membro, ancora arrapato, e glielo infilava delicatamente in bocca. Silvana dava fondo a tutta la sua passione e a tutta la sua esperienza, per farlo venire ancora, forse per rimarcare così il diritto alla comproprietà di quel cazzo poderoso, che aveva saputo aprire tutti i suoi buchi, più nascosti. Così, in breve, assaporava tutta la sborra che lui le stillava, fino a riempirle la cavità, dal palato alla lingua, fino all’ugola.
Anche Ezio si sentiva felice e quasi domo e continuava a tenerla stretta, mentre la ricopriva di baci ancora ardenti.
Silvana prima di farlo rivestire lo pregava di non dimenticare l’indirizzo della sua casa, perché lei l’avrebbe atteso con trepidazione, sempre pronta a saziare le sue voglie con la sua carne, col suo amore e con la sua passione: Ezio prometteva solennemente che non l’avrebbe mai potuto dimenticare, perché lei era il suo vero amore, che gli metteva addosso tanta libidine, da poterla saziare anche per un’intera notte.
Si rivestirono in fretta: Ezio osservò che erano passati appena 45 minuti, da quando era entrato in quella stanza. Quindi, prima di lasciare quella creatura divina, la baciò ripetutamente sulla bocca e su quel collo d’alabastro, per serbarne il ricordo fino al prossimo martedì.
Riprese quindi la via del ritorno per essere puntuale a scuola, portando negli occhi e nel cuore l’immagine di una Dea dell’Olimpo, che si era mostrata a lui sotto le mentite spoglie di una modesta…… casalinga!

Giorgio De Fall

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