Il prete e Francesca – parte II

Il prete e Francesca – parte II

“Ecco, piccola, prendi la mia benedizione!”. Gliel’ho sussurrato con la voce impastata di lussuria mentre le schizzavo i miei getti osceni e vischiosi sul culo. Dopo il rumore dei miei grugniti da porco mentre la fottevo e i suoi ansimi soffocati era calato il gelo e il silenzio nella sala parrocchiale, Francesca aveva raccolto le sue carte e con le mani tremanti le aveva stipate nella cartelletta stropicciandole. Sempre tremando si era infilata il cappotto stringendoselo addosso e coprendo lo spacco della gonna che adesso arrivava fino alle mutande. Ha percorso tutta la sala a passo deciso e senza esitazioni, e il rumore dei suoi tacchi ha riecheggiato nell’ambiente spoglio e improvvisamente freddo trasmettendomi la stessa sensazione.

Tutto è trascorso normalmente in parrocchia nei giorni seguenti, tutto procedeva nella normalità. Avevo abusato sessualmente della bella parrocchiana mia collaboratrice ma di questo non ero affatto segnato né turbato, e soprattutto non provavo alcun rimorso. Francesca per tutta la settimana non è venuta in parrocchia, saltando le lezioni di catechismo e tutti gli incontri organizzativi. I primi giorni non ho chiesto niente e né avevo intenzione di farlo, poi ho pensato che non informarmi sulla sua assenza avrebbe potuto suonare strano a qualche parrocchiano e così qualche sera dopo, durante un incontro, ho chiesto ad una collaboratrice sua amica perché la cara Francesca mancava da un po’, e lei mi ha risposto che le aveva detto, per telefono, di avere preso l’influenza.

Quella risposta mi significava che non dovevo aspettarmi suoi colpi di testa, tipo una denuncia penale o il rivelarlo a qualcuno, aspettavo solo che si ripresentasse per mantenere fede ai suoi impegni in parrocchia.

La situazione ha preso una piega per me inaspettata quando Francesca si è presentata in chiesa, molti giorni dopo. Io ero nel confessionale, era il giorno della settimana in cui per un’ora officiavo il sacramento delle confessioni e anche quella volta avevo ascoltato, annoiato, quelle di tre anziane fedeli. Quelle tre erano le uniche che puntualmente si presentavano ogni settimana a sciorinarmi delle innocue mancanze che ai loro occhi parevano immondi peccati. Una volta che me ne sono liberato non mi aspettavo si presentasse nessun’altro, quando invece sento qualcuno sedersi dall’altra parte. Sedersi e restare in silenzio per un po’. Sentivo solo dei lunghi sospiri e immaginavo che, chiunque fosse, stava preparandosi ad una confessione molto sentita. Incominciavo a spazientirmi e così con un “avanti figliolo” un po’ seccato lo invitavo a darsi una mossa. Dopo un altro po’ di silenzio (senza neanche sospiri) ho sentito la voce bassa e intimidita di Francesca che mi ha detto: “Mi perdoni, padre, perché ho peccato…”

Allora sono rimasto io un po’ in silenzio, non mi aspettavo di trovarmela là nel confessionale.

“Dimmi, figliola. Che peccato hai fatto?”, le ho detto con tono pacato.

“Un peccato di lussuria, padre. di estrema lussuria. Il peccato è che mi è piaciuto quello che lei mi ha fatto… Ha abusato di me, padre; mi ha posseduta con forza, nella carne. E ne ho goduto come mai prima. E da quella sera sono prigioniera di queste voglie peccaminose…”

La confessione di Francesca mi stava sorprendendo e stravolgendo. Sentirla ammettere che le era piaciuta quella scopata mi stava eccitando come mai prima, ed ho sorriso compiaciuto.

“Figliola,” le ho detto con tono placido da padre amorevole, “non sei affatto prigioniera ma, al contrario, sei vicina alla libertà più completa, che è quella di riconoscerti debole e umana. E’ proprio nell’accettare le nostre debolezze che facciamo onore al padreterno, perché riconosciamo la sua forza salvatrice.”

Dopo una studiata pausa, per dare ancora più importanza a quel discorso, ho ripreso.

“Figliola, stai percorrendo il mio stesso cammino. Quello che mi ha liberato da anni di inutili lotte. Lotte contro il maligno che mi illudevo di combattere, ma lotte che invece hanno solo accresciuto la mia superbia. Per tutti questi anni mi insuperbivo nel reprimere le mie pulsioni sessuali, adesso che non le combatto e le assecondo mi sento davvero la grazia di dio, perché lui è il dio e noi i peccatori.”

Altra studiata pausa, poi il grandioso affondo finale (mentre, infervorato ed eccitato dalle mie stesse parole, sentivo il cazzo indurirsi e montare un’erezione tremenda sotto la tunica).

“Figliola, ti condurrò io in questo cammino. Ti umilierai. Perché nella tua umiliazione si esalti la gloria di dio. Ed io sarò suo strumento.”

Le ho ordinato di restare lì, in silenzio, a pregare. Sono uscito dal confessionale e mi sono sincerato che non ci fosse nessuno in chiesa, nessuna vecchietta tra i banchi, curvata e raccolta a biascicare preghiere sgranando rosari, ho chiuso i portoni ed ho riattraversato la navata, in prossimità dell’altare ho fatto una rapida flessione delle ginocchia e agitato velocemente la mano a segnare, anzi ad accennare, una croce mentre tornavo a passo veloce verso il confessionale. Mi sono rimesso al mio posto ed ho concluso il sacramento della confessione impartendo a Francesca una benedizione. Quando si è alzata e stava per andarsene ho allungato la mano fuori dalla tenda rossa, oltre la quale stavo sempre in ascolto dei penitenti, e l’ho afferrata per un braccio.

“Aspetta, figliola. Ti devo dare la penitenza,” le ho detto mentre spostavo la tenda e attiravo la ragazza a me. L’ho fatta inginocchiare e io intanto mi sono alzato la tunica fino ai fianchi e l’ho tirato fuori, duro, osceno e pulsante. Un biscione demoniaco e voglioso di fica nella casa di dio.

Il mio cazzo era grosso e duro e svettava pulsando mentre avvicinavo la testa di Francesca alla cappella bruna ed enorme. Lei poi si è lasciata spingere senza opporre resistenza. Avevo una mano sulla sua nuca e mentre le piegavo la testa verso il mio cazzo lei, docile, ha aperto la bocca, vogliosa di farselo ficcare dentro. Il mio palo di carne infilato fin nella sua gola. Quando Francesca si è messa a succhiarmelo ho tirato la tendina rossa, affinché quella penitenza si consumasse nel segreto del confessionale.

Francesca me lo ha leccato con fare diligente e quando l’ha succhiato l’ha fatto con golosità. Mentre ne godevo fissavo le sue guance incavarsi, le labbra sporgersi di più e la sua espressione farsi compiaciuta. Ho sentito la sua lingua passare e ripassare lungo la mia asta che cresceva, si ingrossava nel suo palato fino a farla quasi soffocare e ritrarre la testa. Dopo essersela sfilata di bocca ha tenuto l’asta verso l’alto. La teneva dritta, maestosa come un palo osceno e poi si è messa a leccarmi i coglioni, se li è messa in bocca, uno alla volta, e li ha succhiati con una tale foga da sembrare volesse ingoiarli. Mi sono goduto quel pompino favoloso mentre, con la mano sulla sua testa, ho farfugliato le parole di rito per la riconciliazione. Per tutto quel tempo lei è stata inginocchiata tra le mie gambe e mi ha succhiato il cazzo, con la testa fra le mie cosce e il busto e le ginocchia fuori dal confessionale. Mi ha fatto una pompa favolosa ingoiando tutta la mia sborra densa e vischiosa senza il minimo disgusto. Hai capito la Francesca… che brava donna, pia e onesta, moglie e madre, ammirata da tutti per l’impegno in parrocchia e col catechismo, messa a quattro zampe a succhiare la grossa mazza del suo sacerdote nel confessionale!

Mentre lei era ancora accucciata tra le mie gambe spalancate, e con il cazzo che le svettava davanti alla faccia, io con le dita le ho tracciato una croce sulla fronte e le ho sussurrato che poteva andare, in pace.

Fine
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