La schiava diciottenne (parte 1)

La schiava diciottenne (parte 1)

(questa storia diverrà sempre più estrema man mano che andrà avanti)

Sono esposta in vetrina ai grandi magazzini. Ho le caviglie incatenate a ceppi di ferro, cerco di muovermi il meno possibile perché altrimenti mi si scortica la pelle. Trattengo il pianto. Trattengo i gemiti. Tremo. Ho 18 anni compiuti da pochi giorni, ma non si direbbe: sono alta un metro e trena, ho lineamenti fanciulleschi e sono secca come un fuscello. Ho i capelli biondi e ricci. Non posso sopportare gli sguardi delle persone che passano: per fortuna almeno mi hanno lasciato con i vestiti che avevo quando i miei genitori mi hanno venduta: sono larghi e pesanti in modo che nessuno possa vedere le mie forme. Odio l’idea che qualcuno mi possa vedere, mi vesto così anche in piena estate nonostante il caldo. Non sono mai andata in spiaggia per vergogna. Certo qualche ragazzo che mi piaceva l’ho incontrato, ma non ho mai avuto il coraggio neanche a parlarci. La verità è che mi vergogno completamente del mio corpo e odio essere al centro dell’attenzione di qualcuna.
Tremo al pensiero del mio futuro. Cosa mi faranno? Spero solo che mi metteranno a pulire oppure in cucina dove non sarei al centro dell attenzione. Spero non mi facciano male … odio il dolore … forse … forse se faccio la brava e non li farò arrabbiare mi tratterranno bene!
Spero solo che si sbrighino a comprarmi: la vergogna di trovarmi in questa condizione, di essere in una vetrina, è troppa.
Una padrona si ferma a fissarmi. Distolgo lo sguardo divenendo rossa come un peperone. Lei entra nel negozio e si riferisce ad una commessa:
-siete sicuri che sia veramente vergine? –
perché chiede una cosa del genere?! No: ti supplico: cosa vorrai farmi?!

  • Ceto signora. –
    mi compra. Mi tolgono i ceppi e poi mi legano i polsi dietro la schiena. Mi appresto a dire ch non c’è bisogno: che farò la brava. La padrona mi colpisce con uno schiaffo in faccia. È umiliante e degradante.
    -Tu parli solo se io te lo ordino! –
    grandi lacrime mi solcano la faccia ma non oso aprire bocca. La padrona mi porta fino alla macchina e apre il portabagagli.
    -entra! –
    cosa? Perché? Ma non oso parlare. Entro e lei mi richiude dentro. La macchina parte e io sbatto la testa molte volte.
    Arriviamo a casa sua. Mi fa uscire tirandomi con i capelli. Mi mostra a suo marito e a sua figlia trionfante. Poi mi passa una minigonna e dei tacchi.
  • Ora vai in bagno, depilati ed esci!-
  • Ti prego … ti prego padronaaaa. – urlo, piango, non sono mai stata così disperata in vita mia. Lei mi risponde con un bel ceffone. Mi azzitto, ma continuo a tremare.
  • ora vai dentro e ubbidiscimi oppure …-
    Obbedisco, non posso fare altrimenti. Entro in bagno, mi depilo e infilo minigonna e scarpe con il tacco. Piango ancora, non voglio aprire la porta, non voglio che mi vedano tutti in quello stato pietoso. Eppure devo obbedire.
    Penso alle mie gambe così nude, penso che i tacchi sicuramente mi metteranno in risalto il sedere. Casco in ginocchio tremante. Impiego diversi minuti a piangere. Ormai non esce più neanche il rumore. La padrona mi bussa intimandomi di uscire. Smetto di piangere e attraverso la porta.
    Non posso sopportare che mi vedano in questo stato, nessuno lo ha mai fatto. Almeno mi hanno permesso di tenermi i mei vestiti larghi sulla parte superiore del corpo. Vorrei riscappare in bagno ma non posso. La figlia dei padroni mi prende in giro. Divento rossa come un peperone.
    Cosa gli ho fatto di male? Perché una tortura così tremenda? Forse se faccio la brava e domani gle lo chiedo con gentilezza smetteranno di costringermi a una cosa del genere…
  • Oggi ci servirai da mangiare vestita così. – mi dice il padrone.
    Ripenso a prima quando mi ha paccato il sedere: lo farà ancora adesso che sono vestita con la minigonna? Solo il pensiero mi fa accapponare la pelle.
    Inciampo: è la prima volta che metto i tacchi. La padroncina ride, la padrona mi insulta e il padrone scuote la testa.

Ho dormito sul pavimento. La mattina il padrone mi sveglia con un calcetto. Sussulto. Mi butta addosso dei pantaloni. Non sono mai stata così felice. Li indosso di corsa: mi tolgo le scarpe, me li infilo. Mentre sto per rimettere le scarpe il padrone mi dice di fermarmi. Spero con tutto il cuore che ora mi darà delle scarpe meno sexy e imbarazzanti.

  • resta scalza. –
  • Ma … fa freddo. – lui ride, io rimango turbata da ciò. Poi mi ordina di seguirlo in camera. Mi fa sdraiare sul letto. Io esito perché ho paura che voglia fare sesso con me, ma lui mi rassicura che non mi stuprerà. Io mi sdraio con la pancia rivolta verso l’alto. Il padrone si slaccia la cintura.
  • Ma … ma aveva … d …detto –
  • Non ti stuprerò tranquilla. –
    ora è seduto accanto a me senza pantaloni. Mi guarda i piedi e inizia a masturbarsi. Io lo guardo sconvolta.
  • quanto sono sexy i tuoi piedini. –
    io non avrei mai pensato che i piedi potessero essere ritenuti sexy … mi sembra una cosa malata. Ecco succede una cosa strana: se prima non mi aveva mai dato fastidio l’idea che qualcuno potesse guardarmi i piedi, ora che so che il padrone ci sta provando eccitazione, mi sento profanata. Mi imbarazzo e li voglio nascondere. Il padrone si masturba guardandoli. Io divento rossa come un peperone. Non posso sopportarlo e li ripiego. Mi contorco per nasconderli sotto il corpo. Il padrone mi colpisce con un pugno in pancia e li rimette nella posizione di prima. Il dolore è insopportabile, ma anche l’umiliazione. Li ritiro di nuovo. Piango e urlo. Lo supplico. Lui mi risponde con un violento schiaffone. Mi sgrida e mi afferra le gambe. Io combatto. Allora lui apre un armadietto li vicino e mi lega come un salame. Nonostante io combatta non riesco ad impedirlo. Mi lega in modo che non possa muovermi. In modo che debba tenere i piedi in bella vista. Si masturba, io mi dimeno ma non riesco a muovermi. Urlo e piango: mi sento stuprata. Poi il padrone mi tocca un piede. Urlo. È come se avesse toccato un punto intimo. Lui continua. Poi li lecca. Voglio sparire. Urlo come se mi stesse segando una gamba. Rimaniamo li ore, poi mi avvicina il pene ai piedi e mi viene su di questi. È la prima volta che tocco lo sperma. I miei piedi ora ne sono pieni. È la cosa più schifosa che mi sia mai capitata. Il padrone mi osserva piangere per un po’. Poi mi afferra violentemente i capelli.
  • Primo: per avermi fatto resistenza oggi rimarrai senza cibo. Secondo: oggi farai le pulizie di casa con i piedi scalzi. Io piango e lo supplico, ma ciò che ricevo è un altro sonoro schiaffone.

Non solo quel giorno, ma neanche il giorno dopo ho potuto mangiare niente. Oggi, il terzo, mi trovo immobilizzata in ginocchio in una stanza. Non vedo più il cibo, ho fame, non credevo si potesse avere tanta fame. Entra la padroncina. Ha una busta del KFC con lei. Oh si: finalmente mangerò! Ma lei misteriosamente inizia a spogliarsi finché non è completamente nuda salvo gl stivali e le calze a rete.

  • hai fame schifezzina? –
  • Si: si ti prego! Ti supplico! –
    Lei ridacchia con cattiveria. Poi con mio orrore si infila una coscia nella figa. Fa avanti e indietro tre volte e poi me la avvicina alla bocca. Serro le labbra e sposto la testa disgustata. Non può chiedermi una cosa del genere?! E perché mai dovrebbe?
  • senti o mangi questa oppure resti a stecchetto altri due giorni.
    Obbedisco. Il sapore è schifoso, mi si accappona la pelle. Eppure è così bello mangiare! Lei prende una nuova coscia e se la infila su poi me la fa mangiare, e ancora e ancora. Più andiamo avanti più è eccitata e più squirta. Avverto il sapore sulle cosce eppure non riesco a smettere i mangiare. Continuiamo finché lei non viene. Poi mi ordina con voce intransigente di attaccare la bocca alla sua figa. Scuoto la testa. Lei mi da un calcio 8ed indossa gli stivali quindi fa ancora più male, in pancia. Obbedisco, ormai non mi riconosco più.
    -Ora bevi. –
    mi piscia in bocca. Io non ci riesco, storco la testa e risputo. Lei mi schiaffeggia violentemente.
  • Questa ti costerà cara. – m dice mentre se ne và. Spenge la luce lasciandomi li legata. Ho tanta paura …

Vorrei sprofondare nel pavimento. Ma non posso.

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