Halloween

Halloween

Visto che il precedente racconto (il bungalow) era piaciuto, d’accordo con i miei due trombamici provo a scrivere un nuovo racconto ambientato in una realtà di fantasia… sono graditi i Vostri commenti!

Come ogni anno l’avvicinarsi della festa di Ognissanti portava con sé le feste di Halloween, importate da oltre oceano con il loro corredo di mostri, zombi, teschi e creature demoniache.
Quest’anno la nostra destinazione era una festa in discoteca, ovviamente in costume, e tutta la compagnia stava iniziando ad immaginarsi nelle vesti del Mostro di Frankenstein, di una strega o di un vampiro.
Proprio quest’ultimo fu il tema prescelto: un allegro gruppo di succhiasangue nelle classiche vesti goth del “Dracula”, non nel casual dei vampiri teen oggi tanto di moda.
Proprio a metà dei preparativi, però, ecco la sgradita sorpresa: Olga e Gina, le due sorelle, se ne sarebbero andate in vacanza per una settimana, destinazione Canarie, lasciando noi alla nebbia di Torino.
Nessun problema, apparentemente. Il nostro gruppo sarebbe stato composto da tre vampiri maschi e una vampira femmina. Ma qui cascò l’asino.
Già, perché Marco aveva le idee ben chiare, e nel caso erano focalizzate su Tania, l’ultima femmina rimasta.
“Creiamo tre coppie di Vampiri. Ovviamente io con Tania, poi voi vi assortite come vi pare. Dai e dai, con la scusa della coppia, vuoi che non mi ci scappi qualcosa?” Aveva detto la sera prima davanti a una birra, nella sua tavernetta da noi utilizzata abitualmente come “man cave”.
Quindi il suo castello in aria, se non era crollato, a questo punto vacillava pericolosamente: sparite le sorelle, io e Lele non avremmo avuto una compagna e, almeno secondo i suoi piani, non avremmo potuto contribuire a creargli quell’atmosfera complice.
Davanti alla possibile disfatta, se ne uscì con una frase a metà tra l’idea strampalata e la battutaccia: “A meno che uno di voi due si vesta da donna e faccia coppia con l’altro”
“Ma sei scemo? Io dovrei uscire con Lele vestito da donna?” gli risposi. E Lele di rimando: “No no aspetta… non esiste proprio… e poi perché dovrei vestirmi IO da donna? Piuttosto ti vesti TU da donna… che poi farebbe schifo uguale”
“Ma no… ma nessuno dice che dovete pomiciare… è quasi per scherzo… anzi: la vostra coppia proprio perché scherzosa si può permettere atteggiamenti che non vi sareste magari permessi con le sorelle…”
“Guarda che stai peggiorando la situazione…” dissi io, ma poi si sa come vanno queste cose. Un pericoloso mix tra i doveri dell’amicizia e l’innata voglia di fare cazzate, e mi ritrovai davanti all’armadio della mamma di Tania.
Già, perché ovviamente non avevo nulla con cui travestirmi, ma a questo punto corse in soccorso la nostra amica, entusiasta dell’idea: “Mia mamma ha una corporatura più robusta della mia, le sue cose potrebbero andarti bene”
Mi diede un po’ di cose da provare, ovviamente tutte sul genere dark-goth. Hai capito la mamma? Poi pensai che aveva vissuto gli anni dei primi Cure e di Siouxie and the Banshees e quindi all’epoca doveva essere stata una dark poi convertita ma non del tutto al tailleur da ufficio.
Ovviamente rimanevano due problemi: i capelli, che avrei dovuto coprire con una parrucca, e le calzature, perché logicamente sia Tania che la madre calzavano misure considerevolmente più piccole della mia.
Ci venne in aiuto un negozio di “Di tutto un po’”, dove riuscimmo a ricuperare una parrucca nera con ciocche bianche, e un paio di scarpe col tacco nere da signora.
Salutai Tania e mi avviai con le mie borse verso casa. Giunto lì, mi spogliai e iniziai a provare i capi del mio travestimento: il corpetto era strettissimo, ma armeggiando con i suoi nastri riuscii ad allargarlo un po’ per entrarci, seppure un po’ a fatica.
Indossai un collant nero, rabbrividendo al contatto del nylon sulla mia pelle, e poi un gonnellone ugualmente nero. Sopra a tutto, un coprispalle ricamato con degli inserti bianchi, dopodiché mi infilai la parrucca e mi arrampicai su quel paio di scarpe col tacco.
Mi voltai.
E mi vidi.
Nello specchio, pur senza il trucco, mi appariva l’immagine di una signora magari un po’ robusta, dal viso un po’ mascolino, ma comunque una DONNA.
Sollevai la gonna, e vidi riflesso nello specchio un paio di gambe inguainate di nero, e sopra un sesso maschile rigido che traspariva dal collant.
Già, rigido. Quella situazione mi aveva inaspettatamente eccitato.
Mi sedetti sul letto, accarezzandomi le gambe, per poi iniziare a masturbarmi attraverso il velo sottile del nylon. Ero Luca che accarezzava quella donna dello specchio, ma allo stesso tempo ero lei. Lei, con le sue sensazioni. Lei, con i suoi desideri.
Come in trance, portai alla bocca un dito, lo bagnai di saliva, infilai la mano sotto il collant, tra le natiche cercando il forellino. Lo accarezzai, e poi lo forzai con la punta del dito.
Il davanti del collant si macchiò di liquido preseminale, mentre una scossa elettrica mi attraversava il cervello.
Gli occhi mi caddero su un grosso pennarello, di quelli per pacchi. Come in un’esperienza extracorporea vidi la mia mano prenderlo, appuntarmelo all’ano attraverso il velo del collant, che si squarciò alla prima spinta, e affondarlo tutto sforzando i muscoli dello sfintere, mentre, davanti, schizzavo il mio orgasmo insudiciando di bianco quel nylon nero ormai malandato.

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