Halloween – 2

Halloween – 2

Rimasi lì, sul letto, in quelle vesti insolite e col pennarello conficcato tra le natiche. Il primo problema da affrontare era il fatto di aver distrutto i collant della madre di Tania, tra il foro sul didietro e la chiazza di sperma sul davanti.
Ma quello era il meno.
Il secondo, e ben più grave problema, al momento, era il fatto che mi fossi eccitato a vestirmi da donna, che mi fossi sodomizzato con un oggetto e ne avessi inaspettatamente goduto; strinsi i muscoli dell’ano, ancora occupato da quel pennarello, e sentii uno strano dolore… un dolore che allo stesso tempo mi causava anche… piacere?
Sfilai il pennarello piano piano, e mi spostai nel bagno. Mi abbassai il collant, che avrei successivamente tolto e gettato nell’immondizia, e mi chinai per osservarmi il culetto nello specchio.
Fortunatamente, oltre a un lieve arrossamento dell’ano, la penetrazione non sembrava aver provocato danni. Perlomeno a livello strettamente fisico.
L’immagine riflessa nello specchio, però, mi catturò magneticamente. Se non fosse stato per quel paio di testicoli che si intravedevano tra le gambe, avrebbe potuto essere l’immagine di una donna, una signora – bene che si offriva sconcia ad una sveltina con il suo amante occasionale. Su la gonna, giù il collant, e hop! Dentro alla sua fica offerta e sempre pronta, perché priva di mutande.
Cercai di scacciare via quell’immagine, e presi il barattolo della Nivea dalla mensola. Ne presi un po’ sul dito, e me la spalmai sul buchino arrossato, per lenire l’irritazione. Ne presi un altro po’, e la spinsi col dito all’interno del buco; la crema, oltre che calmare il bruciore, agevolava la penetrazione del dito, che mi provocava strane sensazioni. Presi una spazzola per capelli, e ne leccai il manico stondato come fosse un cazzo umano, e poi… dentro in un sol colpo.
Dentro di me, dentro a quel culo che lo specchio mi mostrava liscio e rotondo come quello di una donna.
Il cazzo mi pulsava, nuovamente duro ed eretto come un legno, mentre il manico della spazzola scorreva libero dentro e fuori dal mio buco. Appoggiato al lavandino, in quelle vesti femminili, mi stavo inculando con un oggetto ricavandone un piacere sconosciuto ma travolgente.
Stavo raggiungendo nuovamente l’orgasmo quando un residuo di lucidità mi fermò. Strappai la spazzola dal mio retto gettandola a terra, mi inginocchiai a terra e piansi, sconcertato da quanto mi stava succedendo.
“Ok, adesso chiami Marco e gli dici che non se ne fa più nulla” Già… e come glielo spiego?
Mi spogliai e misi tutto via, per riprendere quell’armamentario il giorno della festa. E uscii.
L’aria fresca era un toccasana per la mia testa dove i pensieri mulinavano come la pallina di un flipper… camminai fino ad arrivare davanti alla vetrina di un negozio di mercerie, e qui, vedendo la merce esposta, realizzai che dovevo risolvere un altro problema.
Andai fino al supermercato due isolati più avanti, dove le casse “fai da te” mi potevano evitare il problema di mostrare i miei acquisti alla commessa, entrai ed acquistai senza farmi notare un paio di collant neri simili a quelli irrimediabilmente danneggiati; stavo andando a pagarli, quando lo sguardo mi cadde sull’assortimento delle autoreggenti.
Nella mia mente tornò l’immagine oscena vista nello specchio, solo che stavolta quel culone sodo e rotondo era ora ornato dalle balze in pizzo di due autoreggenti nere. Le mani tenevano ben aperte le natiche così da mostrare e offrire alla vista il buchino che nascondevano in mezzo a loro…
E così mi ritrovai alla cassa, a passare il codice a barre sia dei collant che delle autoreggenti e via verso casa.
Dopo una prova degli acquisti, che mi procurò una nuova erezione, riposi tutto il materiale e non lo toccai più per due giorni, fino al momento in cui Tania suonò alla mia porta per aiutarmi nella preparazione.
Rimase stupita a vedere le autoreggenti, e le spiegai, mentendo, che avevo smagliato i collant di sua mamma provandoli; indubbiamente, però, dovevo spiegare a me stesso quale impulso mi avesse fatto tirare fuori le calze invece dei nuovi collant, che forse inconsciamente avevo nascosto sotto l’altra roba.
Indossai le calze, il corpetto e il gonnellone, poi come d’accordo Tania mi aiutò nel trucco. Una piccolissima ricrescita della barba mi obbligò a radermi nuovamente, così da avere le guance liscissime al tatto; il fondotinta avrebbe poi nascosto ancora di più ogni ombra di mascolinità.
Tania si mise al lavoro, operando contemporaneamente sul mio viso più mascolino e sul suo, bellissimo e dolce, e dopo un’oretta eravamo davanti a quello specchio a contemplare il risultato: due ragazze, una dai tratti più duri, una più femminile, entrambi avvolte da un’aura di mistero per quel pallore mortale che contraddistingue tradizionalmente i volti dei vampiri.
Ebbi per un attimo la tentazione di baciarla, in un bacio perverso che sarebbe stato etero e saffico al tempo stesso, ma fui interrotto dal trillo del campanello.
Era Lele, che era arrivato in anticipo, e fu piacevolmente sorpreso dal vederci già in tenuta vampiresca. Anche lui era impeccabile nel suo costume, e prima di andare propose di fotografarci con il suo telefono.
Scattammo prima delle foto individuali, poi in coppia io e Tania, e lì Lele iniziò a tessere la sua tela come d’accordo con l’amico: prima una foto una nelle braccia dell’altra, come in attesa di un bacio, poi, a sorpresa, una dove Tania mi sollevava la gonna per aggiustarmi i gancetti ad una delle calze. A sorpresa perché fu proprio Tania a suggerire la posa, e io colsi un lampo malizioso negli occhi del nostro amico; era perché il piano sembrava procedere bene? O non era piuttosto per quell’immagine della mia gamba avvolta nel nylon nero, e più su lasciata scoperta dalla balza in pizzo?

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