Una sissy vogliosa

Una sissy vogliosa

Mi è tornato in mente quando un omone dal cazzo maestoso mi ha sfondato il culo, riempiendomi fino allo sfinimento. Gliel’ho anche succhiato, quasi fino a slogarmi la mascella.
Non era uno da a cui piacevano le smancerie, un vero Maschio.
Un Padrone.
Ricordo che mi trovavo all’interno di un negozio di alimentari quando arrivò questo tizio, era un corriere e scaricò della merce.
Avevo diciotto anni o giù di lì, era primavera inoltrata, quasi estate.
Lui avrà avuto circa trent’anni, un bestione, almeno un metro e novanta per un centinaio di chili di ossa e muscoli.
“Ciao Sissy, ti serve qualcosa?” mi domandò il mio amico negoziante.
Presi le cose che mi servivano, ero solo in casa e dovevo mangiare, io lo avevo notato ed ero rimasto colpito dal fisico, ma non immaginavo nulla più di questo.
Ci incrociammo e feci l’indifferente lui, invece, si mostrò interessato: “Sissy? Ma è il tuo nome?”.
“Beh, non proprio, però mi chiamano così”, non riuscii a dire altro, arrossendo come un scolaretta.
“Ah… probabilmente c’è un motivo…” terminò maliziosamente mentre continuava a scaricare.
Il giovane cassiere del minimarket, udì ed ammiccò, mentre pagavo fece una battuta: “Occhio Sissy, che se è tutto in proporzione ce l’ha grosso come un braccio”.
Profetico.
Gli strizzai l’occhio, del resto lui sapeva benissimo il perché del mio soprannome, conosceva il mio lato troia, infatti, dopo l’orario di chiusura, gli facevo i pompini e gli davo il culo, da molto tempo e con una certa regolarità, a volte partecipava il figlio del titolare.
Erano bravi ragazzi, con loro lo facevo volentieri.
Ovviamente ce n’erano molti altri, tutti molto soddisfatti della mie prestazioni.
Tornai a casa dove mi preparai qualcosa da mangiare.
Circa mezzora dopo stavo sistemando le poche stoviglie che avevo usato e squillò il campanello.
Andai al portone e quando mi affacciai, a pochi metri da me, fuori dal cancello che dava sul piccolo giardino c’era lui.
Mi venne un tuffo al cuore: “E adesso cosa vuole questo qua?”, pensai inizialmente che dovesse lasciare un pacco anche se non mi sembrava che qualcuno avesse ordinato qualcosa.
“Ciao Polly, mi chiamo Arnold, perché non mi fai entrare?” mi chiese.
“Perché, devi darmi qualcosa?” domandai dubbioso, però premetti il tasto dell’apertura del cancello.
“Si, io ce l’avrei qualcosa da darti”.
Lo feci entrare.
Appena in casa: “Sai, hai un nome da femminuccia, sono convinto che un motivo ci sarà…” continuò sorridendo.
“Mi sembra un nome normalissimo” dissi, anche se ormai avevo capito cosa voleva “darmi”.
Gli domandai se il cassiere gli avesse detto qualcosa su di me: “Non serviva, ti ho inquadrato subito, ho visto come mi osservavi, però gli ho chiesto dove abiti, lui mi ha guardato strano poi me l‘ha spiegato e mi ha detto anche che a quest’ora saresti stato solo in casa. Tu non mi hai visto ma ti ho seguito fino qui. Ho finito il giro e sono venuto perché, secondo me, ti chiamano Sissy, femminuccia, perché sei una fighetta e lui lo sa”.
Arrossii ancora, pudicamente, ovviamente si accorse dalla mia espressione di aver colto nel segno: “Secondo me tu lo prendi nel culo e te l’ha fatto anche lui, sei una puttanella facile facile”, allungò la mano e mi afferrò incastrandola fra le chiappe, aveva una presa ferrea, l’altra mano mi accarezzava i capezzoli nudi. Indossavo nient’altro un paio di shorts corti corti senza mutande e sentivo e le sue dita si intrufolarono come se non ci fosse nulla.
“Chi ti dice che sia facile?” lo provocai, già eccitato dalla manona che mi frugava, praticamente confermando che lo prendevo nel culo.
“Puttanella sei di sicuro… Andiamo, non ti sei tirato indietro e si vede lontano un miglio che ti fai sbattere” strinse ancora di più la presa.
“Okay, va bene, ma non stringere così forte. Non possiamo stare qui, fra un po’ arriva mia madre” ovviamente lo stavo per dare anche a lui, il culetto facile.
Insisteva, curioso: “Ma allora, te lo mette nel culo quello del negozio?.
“Uffa! Si che me lo mette”. Per un secondo feci un broncetto alquanto femminile.
“Mhh…. Vieni via con me, sul furgone, ho finito di consegnare e facciamo un giro”.
“Aspetta”.
Andai un attimo in bagno, mi lavai le parti basse, mi profumai e indossai una canottierina azzurra.
Pronta.
Mai una volta che dicessi di no, inoltre in questo caso, anche se prendevo già tanti cazzi questo mi piaceva ed era un bestione perfetto per alimentare le mie fantasie di sottomissione.
Gironzolò un po’ per le strade attorno al quartiere, mi disse che quello per lui era un percorso nuovo, aveva sostituito un collega indisposto, mi domandò ancora del cassiere ed io gli rivelai che lo aveva guardato strano perché chi domandava di me, nella maggior parte dei casi non aveva altri motivi per farlo che quello di mettermelo nel culo, ovviamente i Maschi paesani non dovevano chiedere nulla e lui era uno di questi, loro sapevano benissimo cosa fare.
Discorremmo ancora un po’, lascivamente parlò di inculate e pompini, tanto per alzare ulteriormente la temperatura. Mi disse cha andava soprattutto con le femmine ma i froci (usava spesso questa parola, non si faceva problemi ad adoperare certi termini) gli piacevano parecchio perché quelli che aveva trovato lui facevano di tutto, erano molto più maiali e troie delle ragazze che si incontrano normalmente.
Gli avrei confermato che era vero.
Fui io a dirgli dove andare, una stradina di periferia in mezzo al nulla.
“Ti ci hanno già portato qui?”.
“Hai voglia!” risposi (se le sapessi tutte, carino).
Mi disse di scendere dal furgone, lo feci, lui mi seguì guardandosi attorno con circospezione, aprì il portellone laterale e mi fece cenno di entrare.
Ci rinchiudemmo dentro, c’era totale visibilità perché il portello posteriore aveva i vetri che, pur coperti da una pellicola bianca, facevano trapelare la luce.
Vuoto, non c’era più merce da scaricare, prese un telo che era piegato da una parte lo allargò in parte e lo distese a terra, una sorta di lettino.
Gli scarsi abiti volarono via, in un secondo ero nudo.
“Che rapidità! Si vede che sei abituato… girati, fammi vedere il culo…?” disse lui.
Veci una giravolta su me stesso.
“Bello… piegati, allarga le chiappe… brava puttanella… che bel buchino rosa che hai, si vede che viene usato… bagnati il dito poi infilalo dentro… aspetta, stai scomodo? Mettiti giù sulle ginocchia, alla pecorina… il dito, ancora, più dentro… metticene un altro… guarda come entrano, muovili, avanti e indietro… ti piace eh…”.
Stavo lì, nel retro di un furgone in aperta campagna, senza nulla addosso e con le mie dita nel culo mentre lui era ancora vestito di tutto punto, non se l’era ancora neppure tirato fuori. Sembrava addirittura che non ne avesse l’intenzione, si limitava a guardarmi ed a dare ordini.
Effettivamente mi stavo eccitando.
“Dai fammi vedere, infila il terzo… poi fai su e giù…” misi il terzo dito nello sfintere senza battere ciglio:
“Ah ah ah! Bravo ragazzino… sei proprio aperto come una troia… ora togli le dita che ti riempio io!”.
Era dietro di me, non lo vedevo, udii la lampo che scendeva ed i pantaloni che scivolavano a terra, si inginocchiò dietro di me, mi sputò sul buco, io trattenevo il respiro, non avevo visto il suo cazzo ma ero convinto che fosse una bestia.
Avevo ragione, lo appoggiò un attimo me lo buttò dentro, wrooom! Tutto assieme, in un istante, come un treno. Tutto a pelle, neppure per l’anticamera del cervello un preservativo.
“Cavolo come è entrato!” disse, quasi sorpreso. Istintivamente cercai di spostarmi in avanti come per sfuggire a quel pilone, ma mi teneva saldamente e non mi spostai di un millimetro, andò avanti nel suo movimento, slabbrandomi e stirandomi le crespe, aprendosi la strada implacabilmente.
“Ahh… fai piano… è grosso…!” gemetti io, dolore e piacere.
“Grosso? te lo sei preso tutto in un attimo … sono ventitré centimetri di lunghezza e diciannove di circonferenza, misurato preciso da una checchina come te, che ho inculato a sangue…” rispose lui mentre lo teneva fermo dentro di me, prima di iniziare a muoversi voleva che lo sentissi bene in tutta la sua maestosità.
Mi afferrò i fianchi, respirò forte poi inizio a pompare, pum, pum, pum, ancate potenti, avanti e indietro per tutta la lunghezza del membro, lasciava dentro solo la cappella e poi giù di nuovo fino in fondo, il massimo.
Gemevo di continuo, con un forte miagolio alquanto femminile, mentre mi soffiava nelle orecchie mi disse che piagnucolavo come una ragazza.
Ma in quel momento “ero” una ragazza. Il mio insignificante pisellino, che aveva già perduto l’erezione, gocciolava, il culo era bagnato come la figa di una scrofa.
Inizialmente mi reggevo sui gomiti, adesso avevo ceduto appoggiando la testa al telo, solo il culo era più in alto mentre veniva arato senza tregua.
Ora ansimavo e gemevo con la bocca aperta, ci infilò le dita delle mani, da una parte ed dall’altra, stringendomi le guance come il morso per un cavallo e pum, pum, pum, sussultavo ad ogni spinta, a ritmo con lo schioccare delle natiche sbattute dal suo ventre, lo tirava fuori un momento, ci sputava sopra e lo rimetteva dentro immediatamente, pum, pum, pum. Ogni volta con rinnovato vigore, come se ricominciasse da capo.
“Mi è sempre piaciuto sfondare i frocetti come te… spaccarli in due… fin da ragazzo. Ne ho fatti urlare!” si vantò mentre cambiava il ritmo dei colpi.
Prima lentamente poi più velocemente, poi ancora lentamente, di nuovo velocemente e via così, potentissimo.
Pum, pum, pum.
Sentivo gli organi interni vibrare ad ogni spinta.
Un deliquio.
“Cazzo… così mi squarti… basta, dai… ti faccio venire con la bocca…” lo implorai e si che ne avevo presi di cazzi implacabili, fin da quando avevo memoria, ma quello li superava tutti.
Ero già pentito di quello che avevo detto, mi ero permesso di chiedergli di tirarlo fuori, impensabile per uno come me, schiava nata.
Ma lui non se ne era neppure accorto e non aveva alcuna intenzione di smettere, non finiva mai, sbuffava come un mantice.
Non contento iniziò a sculacciarmi, pacche rumorosissime.
“Ahi… fai piano… sculacciami pure ma non così forte…”.
Si vedeva che provava un grande piacere a prendermi in quel modo, a dominarmi e schiacciarmi, godeva come un porco.
Andò avanti, ancora e ancora, persi la nozione del tempo e dello spazio, avvinghiato a quel telo, del mio corpo avvertivo solamente l’antro dove si muoveva instancabile lo scettro di quel Maschio prepotente e la natiche infiammate dai colpi.
Mi bruciava tutto.
I cazzi così grossi sono impegnativi, non è la solita scopatina, ogni volta lasciano il segno, questi Maschi padroni che pretendono così tanto dalle loro schiavette sono difficili da servire ma soddisfacenti, mi lamentavo automaticamente ma in realtà quello è il non plus ultra del godimento, l’essenza stessa dell’inculata, del buco di culo asservito ed utilizzato a piacimento dal Lupo Maschio che copre la sua cagnetta senza alcun riguardo, sei una sua consenziente e felice proprietà.
Dopo un tempo infinito venne, con una serie di scrosci, riempiendomi l’intestino, un clistere di sborra.
Avvertivo gli spasmi ad ognuno dei quali corrispondeva uno schizzo profondo.
Si fermò, lasciò scolare le ultime gocce di sborra, poi: “Adesso si che lo tiro fuori”.
Non gli era neppure venuto moscio, era ancora balzotto, si riposò alcuni minuti, poi: “Bello… frocetto hai un culo che è una favola. Ma mi sa che fai anche le pompe, anzi, secondo me le fai benissimo, vero?”.
“beh… si… se vuoi te lo prendo anche in bocca” risposi io, oramai totalmente succube.
“Se proprio una brava fighetta, Sissy, dai, vieni…” si distese sul telo, con una borsa sotto la testa, le gambe leggermente divaricate, io mi inginocchiai ancora, davanti a lui e mi dedicai a quel totem del piacere.
Era una posizione da vera troia, perché avevo il culo di fuori, chiaramente non si era richiuso completamente, i muscoli del mio ano da tempo tenevano poco ed era rimasto largo, stava per colare fuori la sborra che l’aveva riempito.
Questo decise diversamente, vedendomi in quel modo gli venne un’idea: “Non devi rimanere vuota… non ti muovere, resta così”.
Si sfilò da sotto. Agganciata da una parte c’era una piccola valigetta degli attrezzi, prese un cacciavite, dal manico bello grosso, me lo infilò nel culo, scivolò dentro in un attimo nello sfintere aperto e slabbrato, tutto, rimase fuori solo la parte in metallo dell’attrezzo, come una piccola, rigida, coda. La sborra doveva rimanere lì.
Si distese di nuovo davanti a me dicendomi di darmi da fare che gli era tornata voglia.
Ovvio che non si era minimamente ripulito, mi inchinai devoto pronto a nettarglielo.
“Su, lecca via tutto, non vedi come è sporco!”
Ed lo spompinai con il manico di un cacciavite ficcato nel culo. Cazzo, quanto lo spompinai!.
Gli mangiai il cazzo come fosse di cioccolato, lo leccai, succhiai via tutto quello che c’era sopra, lo mandai giù fino in gola, decine di volte, in quei momenti lui mi bloccava la testa fino quasi a farmi soffocare.
“Grande! Sei un bidone aspiratutto… culo rotto e gola profonda… non ti manca nulla… ”.
Estasiato.
Beh, si, strano a dirsi ma ero orgoglioso di me stesso, di essere una puttana sfondata a disposizione di quell’uomo, di fare tutto quello che voleva.
Ma adesso non finiva più e gli era venuta voglia di giocare.
“Aspetta… ecco ora te lo rimetto un po’ nel culo, poi tu me lo succhi poi ce lo rimetto”.
Cazzo, ancora nel culo! Me lo voleva veramente aprire.
Sfilai il cacciavite con precauzione, mi stavo mettendo a pecorina ma lui: “Vedo che non molli eh! No, no, ti ci devi sedere sopra… devi fare tutto tu, io sono stanco!” si mise a ridere.
Allora mi misi a cavalcioni, mi accovacciai e mi impalai su quel coso, che non ne aveva mai abbastanza.
Dopo qualche su e giù facevo fatica allora mi ci inginocchiai sopra, una gamba di qua ed una di là ed il cazzone nel mezzo, tutto dentro.
Mi dimenai un po’ poi lo sfilai e lo succhiai di nuovo, lo feci alcune volte di seguito, sempre su sua indicazione.
Non ne potevo più, ero veramente scoppiato, era una fatica fare tutto quel movimento.
Mentre lo stavo succhiando per l’ennesima volta mi accorsi che stava venendo, allora andai avanti, aiutandomi anche con le mani.
Afferrò i capelli e mi sborrò in bocca, grugnendo come un porco, la ingoiai quasi tutta, solo una piccola parte colò fuori, scorrendomi sul mento.
“Merda che sborrata!” esclamò soddisfatto.
Nel frattempo volevo sborrare anch’io e mi menai il pistolino, grazie alla grande stimolazione arrivai in un attimo all’orgasmo. Fortissimo.
Gli nettai ancora il cazzo con la bocca e poi mi ripulii alla meglio con dei fazzolettini di carta, sopra e sotto.
“Merda, femminuccia, sembri un angioletto invece che grande vacca che sei!”.
Gli sorrisi senza dire nulla.
Adesso lui era uno dei miei padroni, un altro Maschio che mi possedeva, e che Maschio!

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