A 18 anni non si piange

A 18 anni non si piange

Un foglio di giornale soffiato dal vento di novembre si avvolse intorno alle sue gambe. Luca lo prese, lo appallottolò e lo gettò nella notte. Subito dopo si chiese se non sarebbe stato più assennato tenerlo come isolamento contro il freddo. Era la prima notte senza un tetto sopra la testa e la testa gli ronzava tanto era combattuto.
“Sei senza cervello, sei stupido, sei bugiardo. Tu non sei mio figlio.” Aveva gridato suo padre, ogni accusa era sottolineata da un colpo alla sua testa.
“Non sono stupido, non sono bugiardo!” aveva protestato, tentando inutilmente di proteggersi con le braccia e le lacrime gli erano spuntate senza che lo volesse, a diciotto anni non si piange.
L’oscurità era la sua coperta e col vento caddero le prime gocce di pioggia; avrebbe dovuto trovare un posto dove ricoverarsi, probabilmente un sottopassaggio.
“Per favore, Giorgio. . .” Aveva pregato esitante sua madre spostando nervosamente lo sguardo da uno all’altro.
“Ne ho avuto abbastanza, non passerà un’altra notte qui!”
“Ma dove andrà? “
“Non me ne importa! Farsi! Rubare! Cristo solo sa cos’altro. Fuori! Fuori dai piedi!”
“Ha solo diciotto anni. . . “
Nessun altro posto dove andare eccetto la Grande Città. Gli autobus andavano di notte, si recò al capolinea, un biglietto di sola andata, i suoi ultimi soldi. Ed ora era qui, solo pochi nottambuli vagavano per le strade; cosa fare? Dove andare? Un ristorante per tentare di scappare da quel vento? Luca rabbrividì, la sua maglietta, i jeans e la giacca di pelle sottile offrivano una protezione inadeguata.
Le accuse di suo padre erano continue, i ragazzo era aggressivo, rispondeva male, diceva parolacce a sua madre, non riusciva a mantenere un lavoro, stava fuori ogni notte, andando Dio sa dove. “Se questo posto non va bene per te , vattene!”
Era andato nella sua stanzetta, l’unica parte della casa che considerava veramente sua. Non c’era molto e si rese conto che le uniche cose che la rendevano personale erano alcuni manifesti che coprivano le pareti. Li strappò e lasciò i resti sul pavimento. Non voleva lasciare niente che ricordasse di lui. Gettò dei vestiti in un zaino.
Merda, se solo non avesse speso tre euro e ventinove centesimi, gli ultimi soldi, per un pacchetto di sigarette. Aveva già fame.
Sentiva lo stomaco vuoto ma la paura sembrò avere arginato tormenti peggiori. Domani avrebbe dovuto pensare a come trovare del cibo, ma prima doveva passare la notte. I colpi distanti di un orologio gli dissero che era mezzanotte. Entrò in un sottopasso ma c’era già una figura scura raggomitolata, mezzo isolato più in là ne trovò uno vuoto e si accosciò. Il pavimento era duro sotto le sue natiche, ed il muro ruvido contro la sua schiena. Sistemò lo zaino in modo da colmare il vuoto tra il suo corpo ed il marciapiede. Sapeva che lui non avrebbe dormito.
Ma aveva torto, anche col freddo, il disagio, i poco familiari dintorni paurosi, si addormento e si svegliò solo quando la luce del mattino lo colpì, rigido e dolorante con ogni parte del corpo che protestava per il trattamento ricevuto, con la testa pulsante e lo stomaco vuoto.
Un giorno nuovo. . . Luca lo avrebbe fatto per tutto il mese. La prima settimana era stata la peggiore. Affamato per la maggior parte del tempo, ridotto a cercare i resti dei pranzi nei bidoni e nei rifiuti dei ristorante. Ma aveva visto gli altri senzatetto, come stavano seduti di fronte ai propri rifugi davanti ad una lattina implorando la generosità dei passanti con una scritta scarabocchiata su di un pezzo di cartone, e lui aveva imparato da loro, scoprendo che si poteva vivere in modo precario, lavandosi ogni giorno ai bagni pubblici. Qualche volta aveva abbastanza soldi per un Big Mac, anche se c’era qualche cosa di più conveniente, saziandosi con diete non sicuramente valide per la salute.
Aveva notato dei brufoli sulla sua faccia ed aveva comprato delle arance per completare la dieta. I capelli diventarono lunghi e piuttosto appiccicosi, il sapone liquido dei bagni non era il massimo come balsamo. La sua faccia, aveva notato specchiandosi in uno specchio di metallo macchiato e distorcente, sembrava più sottile, gli occhi marroni più grandi e più ansioso sotto le ciglia bionde. Ma aveva ancora quell’aspetto che lo faceva apparire più giovane dei suoi diciotto anni. I vestiti, acquistò originalmente più per moda che perché durassero, stavano disgregandosi, la stoffa sulle ginocchio e sulle natiche si era assottigliata. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto quando si sarebbero bucati, non aveva soldi per comprarne altri.
Provò in un ufficio di assistenza dando un nome falso ed aggiungendo un anno alla sua vera età. Ma quando cominciarono a fargli domande sul suo indirizzo di casa e sui genitori, si alzò ed andò via. I pochi soldi che aveva venivano dal chiedere la carità.
Aveva sviluppato un certo look che pensava fosse adatto per implorare; aveva scoperto che andava bene particolarmente con le vecchie signore, ma loro lasciavano cadere al massimo 25 centesimi nella scatola, con cui non poteva farci molto. Aveva scarabocchiato un cartello con errori di ortografia “Ò famme datemi cualche cosa” e lo teneva davanti a se, ma la giornata era lunga e noiosa. La maggior parte del tempo la passava fissando davanti a se, torturandosi col pensiero di una bella cena, di una bistecca, di patate arrosto dorate, biscotti casalinghi imburrati e caldi. Ma soprattutto fantasticò di un letto comodo con lenzuola pulite ed un materasso molle, molle.
Una sera una banda di adolescenti gli gridò insulti e, quando lui ribattè, lo assaltarono, lo presero a pugni nello stomaco, lo calciarono e se ne andarono coi soldi della giornata. Quel giorno non mangiò, non ne sentiva lo stimolo, e si preoccupò quando si accorse di sanguinare. Si chiese se fosse il caso di andare al pronto soccorso dell’ospedale ma aveva paura che cominciassero a far domande. In alcuni giorni guarì e decise di non stare mai davanti ai sottopassi col buio anche se in quel periodo c’erano ancora molte persone in giro di sera.
Stava avvicinandosi Natale e le strade furono decorate di luci colorate e di immagini di Babbo Natale. Il giorno di Natale molte organizzazioni distribuivano un pasto speciale ai senzatetto. Un buon pasto dopo un anno, pensò Luca.
Il terzo giorno del secondo mese incontrò Nicola.
Era un dicembre particolarmente freddo, quel giorno c’erano folate di fiocchi di neve nell’aria tuttavia non riuscivano ancora a fermarsi per terra. Luca stava davanti al magazzino sfavillante di luci ed osservava. Il negozio cominciava ad animarsi di clienti. Lui indossava tutti i vestiti che possedeva ma sentiva ancora freddo. Una delle scarpe da tennis si era aperta proprio vicino alla suola e l’aveva legata con una stringa, ma non c’era molta differenza. Presto un paio nuovo sarebbe indispensabile e lui non aveva idea di come comprarle.
Si stava preoccupando di questo problema quando vide un giovane che stava chiaramente guardando nella sua direzione, dapprima si chiese se il tizio era la guardia del piano del vestiario, ma l’espressione sul viso dell’uomo sembrava più di interesse che di diffidenza.
L’uomo si avvicinò e Luca osservò le sopracciglia scure, i capelli neri scarmigliati sulla fronte, il sorriso, o era un ghigno,accattivante, il modo quasi arrogante e fiducioso con cui si avvicinava. L’abito che indossava sembrava costoso; la cravatta grigia sulla camicia bianca. Quando fu più vicino cercò il portafoglio nella giacca e ne estrasse un biglietto da venti Euro.
“Cosa compreresti” chiese tenendolo davanti a Luca “se lo mettessi nella tua scatola?”
Luca si sentì sciogliere, era notevolmente di più di quanto riuscisse a racimolare ogni giorno. “Un buon pasto, signore” disse con l’espressione più triste che conosceva.
“Non li spenderai in droga?”
“Niente droghe, signore” disse Luca automaticamente. “Sono un gioco troppo pericoloso.”
“Ed io scommetto che normalmente tu non parli così” disse l’uomo. “O hai quell’espressione stupida sul viso.”
Per un momento Luca fu adirato, ma poi venti Euro erano venti Euro; accennò col capo. “Mi spiace” disse con la sua voce naturale. “È quello che la gente si aspetta.”
L’uomo lasciò cadere la banconota nella scatola e poi aprì di nuovo il portafoglio. Contò tre banconote da cinquanta Euro. “E cosa ci faresti con questi?” disse.
Cento e cinquanta! Avrebbe potuto comprare delle scarpe, un altro paio di jeans forse anche un caldo parka. Ma Luca non era un sciocco “Cosa intende?” chiese “Cosa dovrei fare?”
L’uomo ripiegò i soldi nel portafoglio. “Vieni e ti prenderò qualche cosa da mangiare” disse. “Non essere allarmato, ne parleremo davanti ad un hamburger o qualche cosa del genere.”
Si sedettero uno di fronte all’altro in un Burger King e divorò due grossi hamburger con patate fritte ed un milk shake. L’uomo centellinò un caffè guardando Luca. Era mezza mattina ed il locale era mezzo vuoto; il loro tavolo era in un separè.
“Mi chiamo Nicola” disse l’uomo.
“Luca.”
“OK” fece Nicola con un sorriso che rese la sua faccia ancora più attraente. Strinse gli occhi diventando serio. “Allora, Luca, da quanto tempo sei sulle strade?”
“Solo da un mese.”
“E come sta andando?”
Luca morsicò il panino e masticò. “Così così” disse accortamente. “Alcuni giorni riesco a raccogliere abbastanza.”
“Abbastanza per delle scarpe nuove?” chiese l’uomo. Evidentemente aveva osservato le scarpe anche se in quel momento erano fuori di vista sotto la tavola. “Abbastanza per una stanza per la notte? Abbastanza per pasti regolari?” guardò Luca che masticava con grande appetito il secondo panino ed attaccava le patate.
Luca scosse la testa.
“Sei un ragazzo non male” disse Nicola. “Occhi seri, bella bocca, bei denti. Hai bisogno di un bagno, un taglio di capelli, vestiti nuovi.” Fece una pausa. “Potresti guadagnarne mille a settimana, con facilità. Forse di più. Sì, mille euro. . . “
Lasciò le parole appese in aria. La bocca di Luca si aprì.
“Cosa dovrei fare?” chiese. “Io non ho diplomi o esperienze.”
“Hai un cazzo, non è vero?” chiese Nicola sorridendo. “Se hai un cazzo, una bocca ed un buco di culo, hai tutto quello che serve.”
Luca arrossì. Improvvisamente comprese dove lo stava conducendo, non in dettaglio, ma capiva grossomodo la direzione. Spaventato, quasi in panico, cominciò ad alzarsi.
“Pensaci” disse Nicola rapidamente. “Mille a settimana garantiti. Ti troverò una casa dove stare, vestiti da indossare, bei vestiti.” Fece una pausa e vide che Luca stava pensando. “Mi prenderei cura di te, mi assicurerei che nessuno ti facesse del male.”
Luca esitò, e questo lo perse. Tornò a sedersi. Nicola sorrise.
“Non ho mai fatto niente del genere” disse Luca. “Niente con. . .” Fece una pausa, non era ancora sicuro di quello che gli stava chiedendo. Sarebbe stato con uomini? Perché parlava della sua bocca e del suo culo? “Non saprei cosa fare.”
Nicola si alzò. “Vieni” disse. “Andiamo a casa mia, farai una doccia, prenderai in prestito alcuni dei miei vestiti. Io ti mostrerò cosa fare.” Il suo sorriso era caldo, convincente, quasi seducente. “Forse ti piacerà anche” promise.
Luca seguì Nicola nel labirinto di sottopassaggi e poi in metropolitana all’appartamento di Nicola. Era un appartamento tipico della zona, troppo piccolo ed un poco deludente, consisteva solo di un soggiorno, una piccola cucina e, attraverso una porta aperta, si vedeva una camera da letto. I mobili non erano molto diversi da quelli dei genitori di Luca, si era aspettato qualche cosa di più lussuoso, una casa da architetto. Un vecchio sofà stava contro un muro ed un’alta libreria con libri economici inclinati gli uni sugli altri. Una finestra guardava in strada ed alcuni manifesti di toreri suggerivano che probabilmente Nicola era stato in vacanza in Spagna. C’era un computer su un tavola addossato alla parete più lontana. Il tappeto sembrava vecchio ed usato.
“Fai come se fossi a casa tua” disse Nicola ed agitò la mano indicando il sofà e poi tutta la stanza. “Affitto bloccato. Vuoi un drink?” Aprì un armadio a muro e mostrò un numero impressionante di bottiglie e lattine.
“Prenderei una birra” disse Luca a cui non piacevano i liquori. Nicola gli gettò una lattina e lui l’aprì per poi ingoiarne il contenuto senza aspettare un bicchiere. Si sentiva nervoso, insicuro su quello che stava per accadere, ma Nicola non sembrava mirare a lui; lo vide sedersi all’altra estremità del sofà con un bicchiere di whisky, guardandolo da sotto quelle sopracciglia scure, squadrandolo, con un sorrisino sulle labbra.
Alla fine Luca prese l’iniziativa. “Va bene” disse, “cosa dovrei fare?”
Nicola sorrise e si avvicinò; Luca poteva sentire la sua vicinanza;il calore del suo corpo. Quando Nicola mise una mano sulla sua coscia, Luca si tese, ma si sentì anche confortato in qualche modo. Era praticamente l’unico contatto umano che aveva avuto da un mese. La mano era calda e quando salì verso l’alto, Luca si accorse che le sue gambe si aprivano quasi automaticamente, così la mano trovò il suo inguine, sentendo il morbido che rapidamente divenne duro. Ansò quando la mano afferrò la sua verga attraverso la sottile stoffa dei jeans.
“Questo è l’inizio” disse Nicola. “Questo è quello che devi fare, pensi di esserne capace?”
Luca guardò l’inguine di Nicola; c’era là una protuberanza sotto la stoffa costosa. Comprese che voleva che lo toccasse, scoprire cosa c’era lì sotto, che impressione desse. Lo afferrò.
“Aspetta!” disse Nicola. “Fallo dolcemente. Fai in modo che l’altra persona si senta importante, ricercata. Non precipitarti su di lui come se volessi strappargli le palle.”
Luca spostò la mano e poi la portò nell’interno della coscia di Nicola, muovendo le dita per grattarla delicatamente. Salirono di nuovo verso l’inguine ma questa volta trovando prima le sue palle, raccogliendole delicatamente e afferrando poi l’asta forte e dura.
Nicola sospirò. “Ora tira giù la chiusura lampo” disse. “Lentamente, entra, prendimelo attraverso i boxer.” Mentre parlava faceva la stessa cosa a Luca, ed il tocco di quelle dita sulla pelle era una cosa che non aveva mai sentito prima. Tremori di delizia crebbero e si agitarono nel suo inguine, nelle sue palle, nel suo cazzo.
“Baci?” chiese Nicola. “Alcuni lo fanno, altri non lo fanno.”
Luca ci pensò; con quella mano intorno alla sua verga, che si muoveva su e giù, avrebbe fatto qualsiasi cosa. “Mi piacerebbe baciarti” disse e le loro labbra si incontrarono, una lingua sondò la sua bocca chiusa e poi, entrò e lottò con la sua, eccitantemente. Non poteva resistere, improvvisamente venne, lo sperma uscì dalle sue mutande e bagnò la mano di Nicola.
“Wow” disse Nicola. “Avresti dovuto risparmiarlo. Ma ora devi prenderti cura del cliente.”
Luca menò più velocemente. “Probabilmente vorrà più di questo” disse Nicola. “Almeno un pompino.”
Luca non era sicuro di quello che voleva dire, ma tirò giù la cintura dei boxer di Nicola e liberò il cazzo che restò eretto e sporgente dal suo nido di peli scuri e ricci. Esitò e Nicola gli mise una mano dietro la testa e lo tirò in giù delicatamente. Luca capì, prese la cappella nella sua bocca leccandola con la lingua. Non era molto sicuro di quello che lui si aspettava ma non era sgradevole. Infatti il pensiero di avere il cazzo di un altro uomo, il cazzo di Nicola nella sua bocca lo stava eccitando. Anche se era appena venuto sentì il suo uccello contorcersi.
“Non i denti” disse Nicola. “Prova a prendere quanto puoi, usa la lingua. Accarezzalo con una mano ed usa l’altra mano per tenermi le palle, vai sotto di me. Così. . . Usai un dito per toccarmi. . . là. . Oh sì. . . “
Più tardi Luca era nella doccia a godersi il lusso dell’acqua calda sul suo corpo. Non sentì la porta aprirsi e Nicola entrare fino a che un paio di braccia non gli avvolsero la vita e non sentì un corpo nudo pigiato contro la sua parte posteriore, un cazzo nella fessura tra le sue natiche.
“Lezione due” disse Nicola piano. Rise e fece girare Luca. L’acqua scendeva a cascata e loro si strinsero, Luca sentiva il corpo di Nicola contro il suo ed un’erezione crescente come la sua.
Luca quasi non sentiva gli spruzzi d’acqua calda ed il vapore che stava riempiendo il bagno. Mani morbide e sdrucciolevoli per il sapone, vagavano sul suo corpo, sotto le ascelle, tra le sue gambe per pulire il sudore e lo sporco della giornata. Mentre l’acqua scrosciava Nicola cadde sulle ginocchia. Luca tentò di scendere con lui ma sentì un bisbiglio che gli diceva di rimanere ritto. Nicola si portò dietro di lui, una lingua leccò tra le sue natiche, stuzzicò il suo buco ed andò tra le sue gambe a leccargli le palle da sotto.
Due mani si aggrapparono alle anche di Luca facendolo curvare e facendogli aprire le natiche, poi si mossero sul suo stomaco e scesero a prendergli il cazzo… mentre la lingua si spingeva profondamente nel buco del ragazzo.
Qualcuno stava gemendo forte e Luca comprese che era lui.
Le braccia di Nicola lo tennero sostenendolo, le sue ginocchia tremarono solo un po’, i suoi lombi infuocati erano dolenti di libidine. Dopo un momento le sensazioni aumentarono nel suo corpo. Quelle entità che lo sondavano, la lingua, le dita, anche il suo cazzo adeguatamente rivestito del preservativo, fecero la loro magia. Eruttarono ambedue in una maniera fantastica; Nicola nel preservativo, Luca, con le sue mani appoggiate contro il muro della doccia per non cadere mentre sentiva l’eccitazione salire. “Whoa” disse, ma era tardi e venne contro la parete della doccia.
“Wow”, disse Luca dopo, sazio di sesso. “Che cosa eccezionale.”
Nicola fece le fusa, una cosa che Luca interpretò come essere d’accordo.
Il lavoro non era sempre, o spesso, piacevole ma presto Luca arrivò a pensarci come fosse ‘solo’ un lavoro, solo un’occupazione per raggiungere il più rapidamente possibile quello che voleva. Durante il giorno il lavoro era scarso e spesso visitava il Museo che con la sua miriade di gabinetti offriva un rifugio sicuro per lavori occasionali. Anche le esposizioni lo interessavano e la sua sezione preferita era l’egizia con le ricostruzioni delle antiche tombe.
Col buio, cominciava il lavoro vero, quando, specialmente dopo le undici, i teatri rilasciavano le loro orde di spettatori.
Luca mostrava il suo ‘il menù’ coi prezzi per evitare discussioni: “Dieci per una sega, venticinque per un pompino e una chiavata ottanta cinque.” La masturbazione era la cosa più facile, fattibile anche nella macchina del cliente. Prima i soldi ‘grazie, signore’ poi velocemente girare l’angolo in un punto più scuro dove non arrivavano le luci stradali, il cliente che si appoggia al muro, chiusura lampo giù, mani nel calore per trovarlo. Strofinarlo dolcemente come aveva insegnato Nicola, l’altra mano che accarezza lo scroto e qualche volta più sotto se il cliente si alzava o indicava che la cosa gli piaceva. Di solito si finiva in un paio di minuti.
Di quando in quando il cliente cambiava idea e gli chiedeva di succhiarlo. Ma dopo un incidente quando, dopo essere stato soddisfatto, il cliente l’aveva spinto fuori della macchina ed era fuggito senza pagare l’extra, Luca reclamava il resto dei soldi prima di operare. Non ingoiò mai.
La chiavata da ottanta cinque richiedeva una stanza, Nicola gli aveva trovato un’efficiente cantina in un palazzo. Piccolina, conteneva un letto ad una piazza, un lavandino ed una piccola cassettiera nella quale Luca teneva i suoi vestiti, i preservativi e delle riviste gay di cui qualche volta avevano bisogno i clienti nervosi, però Luca si sentiva sempre un po’ insultato se qualcuno falliva con lui. Difficilmente Luca veniva, di quando in quando, se il cliente era ragionevolmente giovane, non soprappeso, non ansante e troppo anelante, immaginava che fosse Nicola ad essere dentro di lui, a sondare i suoi intestini dal didietro con quel pezzo eretto di carne coperto di plastica, menandosi l’uccello fino a rovesciare un torrente di sperma, ma questo non avveniva spesso.
Qualche volta il cliente era pateticamente grato, e per quelli Luca non sentiva altro che disprezzo. Loro avevano pagato i loro soldi, lui aveva fatto del suo meglio, non voleva i loro ringraziamenti. Non sembrava comprendere che, nelle poche occasioni che Nicola l’invitava nel suo appartamento, sul suo letto, Luca sentiva lo stesso sentimento opprimente di gratitudine.
I migliori lavori erano quelli sporadici che Nicola gli trovava nei grandi alberghi, il Grande Albergo con i suoi ascensori di vetro, era suo favorito. Luca non aveva idea di quanto il cliente pagasse, ma Nicola gli dava sempre tutti gli ottanta cinque euro. Per i lavori in strada, lui e Nicola dividevano con il tradizionale del sessanta quaranta.
Comunque per avvicinarsi ai mille a settimana che Nicola aveva promesso, Luca doveva lavorare molto duro, tre fottute, quattordici pompini e ventotto seghe per sette giorni la settimana (non chiudeva mai!). Il polso spesso gli faceva male e si chiedeva se non fosse affetto dalla sindrome del tunnel carpale, da come aveva sentito descrivere i sintomi. Frequentemente gli faceva male il culo.
Come la notte che fu arrestato, era già stato con alcuni clienti quella sera, tre seghe, un pompino ed una chiavata, fino a quel momento settantadue Euro. Era stanco e pensava di chiudere lì, ma a Nicola piaceva raggiungere la sua quota. Poteva diventare spiacevole se Luca non si presentava almeno con un centone ogni notte.
Uno spruzzo di pioggia di gennaio lo investì mentre raggiungeva il suo angolo. Accennò col capo a Giorgio sull’angolo opposto. Alto, biondo e ben piantato, Giorgio e Luca andavano d’accordo e discutevano dei trucchi e delle loro particolarità. Era la cosa Luca più simile ad un amico che avesse mai avuto, a parte Nicola. Ma Nicola era una cosa speciale nella mente di Luca, e se gliel’avessero chiesto, avrebbe avuto difficoltà a classificarlo. Amante, protettore ed aiuto, non aveva il coraggio di dire la parola ‘mezzano’.
Una BMW arrivò e si fermò tra i due ragazzi con i lampeggianti accesi. Non capendo a chi di loro il cliente fosse interessato, ambedue i ragazzi rimasero fermi finché la macchina si mosse lentamente e si fermò vicino a Luca. Il finestrino si aprì con un fruscio elettronico ed una faccia di mezza età, baffi grigi, guardò fuori. “Libero?” chiese.
Luca stava per sciorinare i suoi prezzi quando ci fu un gran chiasso dietro di lui. Dall’ombra del muro, dove evidentemente erano rimasti celati, due figure emersero ed una afferrò per il braccio Luca, l’altro aprì la porta della macchina facendo praticamente precipitare fuori il conducente. Lo dichiararono in arresto insieme al potenziale cliente e lo portarono in un posto di polizia, caldo ed affollato, soprattutto di prostitute e dei loro mezzani, oltre ad alcuni ubriachi. Fortunatamente per Luca, Nicola l’aveva preparato ad una tale eventualità. Disse di essere in procinto di tornare a casa e pensava che il tizio della macchina potesse dargli un passaggio.
Non sentì la scusa del cliente, presumibilmente disse che si era fermato solo per chiedere informazioni perché si era perso. Stava chiedendo al ragazzo come arrivare al teatro quando i poliziotti l’avevano fermato.
Poi Nicola si presentò, Luca aveva dato il suo nome. La polizia sembrava conoscerlo e dissero che probabilmente era responsabile del fatto che Luca fosse fuori quella notte, ma lui e Nicola negarono fermamente.
Tornarono alla casa di Nicola e passarono la notte insieme, con Luca aggrappato al corpo di Nicola anche dopo che avevano finito di fare sesso ed era ovvio che Nicola voleva solo girarsi e dormire. Luca rimase sdraiato e sveglio quella notte, pensando ai volti sconosciuti che avrebbe dovuto soddisfare notte dopo notte, finché non sarebbe stato troppo vecchio per essere attraente. Le lacrime scendevano lungo il suo viso ed era contento che Nicola dormisse.
A diciotto anni non si piange.

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