La Proff e lo studente

La Proff e lo studente

La PROFF ed il suo studente …
In un pomeriggio di inizio ottobre al terzo squillo di telefono, mia moglie Francesca (nome di fantasia, come gli altri della storia) si portò presso la postazione del telefono di casa per rispondere “Pronto … si sono io, chi parla? … no, non mi ricordo … ma come no, certo ora mi rammento di te, Adele, come stai? Ma va … Oh, allora siamo colleghe, complimenti … Sei gentile, mi stai lusingando … Ma certo, quando vuoi, anche subito … Domani pomeriggio andrà bene, così avrò modo e tempo per prepararti del materiale … allora a domani”
Alla mia domanda per sapere chi fosse, Francesca rispose che si trattava di una sua ex alunna laureatasi in lingue, che aveva ricevuto una supplenza praticamente annuale in una scuola del Cent’Italia dove avrebbe sostituito una collega in maternità difficile. Dovendo partire di là a due giorni, “chiedeva il permesso di passare da me domani per consigli comportamentali avendomi dichiarato esplicitamente che mi ha sempre considerato il suo modello didattico, insomma l’insegnante cui ispirarsi professionalmente”. Mia moglie era riconosciuta unanimemente un’ottima insegnante, così le ricordai che aveva già ricevuto spesso in passato quel tipo di complimento. Lei ribatté che comunque, sentirselo ripetere e, per giunta da ex alunni, faceva sempre un certo effetto, perché era motivo di gratificazione e compiacimento. “ Con la miseria con la quale ci hanno sempre pagato, per fortuna che, di tanto in tanto, almeno ci sono queste soddisfazioni”.
L’indomani alle 17.00 in punto qualcuno suonava il campanello di casa. Andai ad aprire e mi trovai dinanzi una bella ragazza con capelli lunghi castano chiaro e bellissimi occhi verdi, alta 1 metro e 70 e forse qual cosina in più, vestita di un soprabito leggero color sabbia, legato in vita da una cintura annodata in maniera apparentemente casual. Portava a tracolla, una borsa Prima Classe delle giuste dimensioni: non grande da farla apparire sovrabbondante, ma nemmeno piccola da farla giudicare inutile. Con quell’abbigliamento ebbi la sensazione di trovarmi di colpo scaraventato in un film degli anni ’50, che so tipo Casablanca. “Devi essere Adele” ed alla sua risposta affermativa rafforzata da un cenno del capo, le feci strada per farla entrare, dicendole “Mia moglie sta tornando dal parrucchiere. Mi ha appena telefonato chiedendomi anche di mettere l’acqua sul fuoco per una buona tazza di the rigorosamente proveniente dalla sua amata Inghilterra”. Si liberò del soprabito che io le riposi nel guardaroba dell’ingresso, tenendo con se la borsa. Indossava una camicetta bianca di taglia 42 forzata, essendo già evidente che la neo professoressa si avviava ad una prossima 44, ed un elegante pantalone nero che, pur celandole, non impediva tuttavia di intuire che le sue gambe dovevano essere molto belle, lunghe, magre e diritte terminanti in due piedi che immaginavo graziosi ma che nella circostanza teneva infilati in scarpe nere con il mezzo tacco, simili a quelle indossate dalle studentesse dei college anglosassoni le quali nell’occasione, per quella mise, mi erano parse corrette nella loro semplicità e sobrietà.
L’accompagnai in salotto e, per mia fortuna, il rumore delle chiavi che trovavano il loro albergo nella toppa della serratura della porta d’ingresso, mi liberò dall’imbarazzo di cercare argomenti per la conversazione di intrattenimento. Mia moglie era tornata e faceva il suo ingresso in salotto, alla sua maniera solita: raggiante come sempre e sicura come fosse la Regina di quel piccolo stato indipendente costituito dalla nostra casa. Espletati i convenevoli, le lasciai sole rintanandomi nel mio studio dove ero impegnato alla conclusione di una relazione che, per esigenze professionali, avrei dovuto consegnare di li ad un paio di giorni e che, ad onor del vero, mi stava impegnando più di quanto non mi fossi aspettato.
Uscii dallo studio dopo più di un’ora abbondante per bere un bicchier d’acqua e poiché la cucina non era distante dal salotto, ascoltai per qualche minuto quello che le due donne si stavano dicendo. A parlare era mia moglie “Tutto quanto ci siamo dette fin’ora oltre al materiale che ti consegno, valgono per la parte dell’insegnamento; per quanto invece riguarda le questioni comportamentali, dovrai essere tu a cercare la via più giusta nel rapporto con gli alunni, i colleghi, le famiglie …”. Dicendo queste cose però venne interrotta da Adele “ Professoressa, lei sarò una guida anche su tale versante, perché penso proprio di doverla imitare anche in questo, evitando tuttavia, me lo consentirà, qualcuno dei suoi atteggiamenti comportamentali …“ In che senso, scusa Adele?” “ Beh, eviterò di indossare le sue famose gonne corte o a pieghe che sostituirò con pantaloni e al più gonne della giusta lunghezza” “ E perché? Che vuoi dire?” “ Suvvia professoressa, non vorrà farmi credere che lei ignora che intere classi di maschi della nostra scuola si sono masturbati avendo in mente le sue cosce ed le sue micro mutande bianche che mostrava sempre con tanta generosità ogni volta che accavallava le sue belle gambe. Ricorda? La cattedra non era chiusa sul davanti! Che rabbia faceva a noi ragazze che ci sentivamo escluse dalle attenzioni dei maschi che lei calamitava tutte, senza eccezioni! E poi non avrà mica rimosso l’episodio di Bruno che la riprendeva con la Polaroid?” A quel punto, sentii mia moglie scoppiare in una fragorosa risata dicendo “Sì, è vero, ricordo quello stupido episodio. Comunque, vedo che hai le idee chiare. L’essenziale, indipendentemente da come ti vestirai, è che tu ti conduca, con fedeltà alle tue idee, alla tua sensibilità e alla tua personalità, ma sempre attenta ad evitare di arrecare offesa alla sensibilità e personalità dei tuoi interlocutori”. Dicendo queste cose le due donne si conducevano verso la porta d’ingresso. Prima di lasciarsi Adele chiese a mia moglie il permesso di corrispondere con lei per telefono, mail e di tornare a farle visita quando le fosse stato possibile rientrare a casa nelle occasioni delle vacanze scolastiche, ricevendone da Francesca ampie disponibilità e rassicurazioni. Un bacio scambiato sulle rispettive guance, segnò finalmente il momento del commiato.
Andata via Adele, incuriositomi, le chiesi della faccenda della Polaroid. E lei mi disse “ Niente, un mio studente avevo iniziato a fotografarmi mentre ero in cattedra, utilizzando una fotocamera istantanea. Sai, all’epoca, non c’erano ancora i cellulari”. Insistei per saperne di più e mia moglie rispose che se ero tanto curioso, allora che mi mettessi comodo ad ascoltarla.
“Spesso quando sono in cattedra ho il capo chino per le diverse annotazioni da fare sul registro. Sai che ho sempre avuto una attenzione maniacale a tenerlo aggiornato in tempi reali per evitarmi poi stancanti rincorse notturne come facevano molte colleghe che si limitavano a piccoli appunti rinviandone la messa a punto in prossimità degli scrutini. Una volta, sollevando la testa scorsi un alunno seduto in seconda fila che, sorpreso probabilmente dal mio gesto evidentemente inatteso o prematuro secondo i suoi calcoli, rimetteva frettolosamente nello zaino un oggetto scuro che non mi era riuscito di identificare. Feci un po’ mente locale, e mi venne in mente di aver sentito un rumore come di uno scatto e a seguire un altro come di una carta strascicata. Rumori che solamente in quell’istante, mi resi conto, di sentire già da qualche tempo di tanto in tanto. Al termine della lezione, profittando anche della circostanza che si trattava dell’ultima ora, chiesi a quell’alunno di fermarsi un attimo. Quando furono usciti tutti, gli domandai cosa avesse nello zaino ed alla sua risposta “Le solite cose: libri, quaderni, penne ecc.” volli guardarci personalmente. Fu così che estrassi una macchina fotografica istantanea ed una fotografia che mi ritraeva seduta in cattedra a cosce scoperte. La cosa mi infastidì, ed alquanto irritata anche nel timbro di voce gli dissi di vergognarsi e che comunque avrei sequestrato il tutto, compresa la Polaroid che avrei avuto cura di restituirgli al termine dell’anno scolastico e ringraziasse Iddio che non lo mandavo in Presidenza! “No professoressa non può, è un sequestro illegale” “ Allora dì ai tuoi genitori di venire a scuola domani, così la consegnerò a loro”. Lui si imbufalì, diventò rosso di rabbia ma senza reagire si allontanò sconfitto, sapendo entrambi che avevo individuato quello che per lui costituiva il lato debole della sua posizione. Passò del tempo senza che succedesse nulla, fino ad un paio di settimane dopo, quando un giorno durante una mia lezione, Bruno venne alla cattedra portando con se il libro di testo e con la scusa di chiedermi una delucidazione, fece scivolare un foglio di quaderno piegato con su scritto “ PER LEI PROFF”. Mi incuriosii e guardai l’involucro, ma, sorpresa da quello che avevo scorto, subito lo nascosi nelle pieghe del registro per farlo poi scivolare in borsa. Gli detti uno sguardo furtivo quando raggiunsi la sala professori. Conteneva un’altra foto del genere di quella precedente ed un messaggio: PROFF, le altre 7 preferisce averle lei pagando piccoli pegni, o che vadano in giro per la scuola, e non solo? La cosa mi irritò, avrei voluto reagire subito, ma capivo che mi veniva lanciata una sfida, ma anche una sorta di gioco nel quale non dovevo concedere a lui né di scrivere le regole, né di tenere l’iniziativa. Mi ripromisi di pensare immediatamente a come muovermi. Ma non ne ebbi la possibilità, perché quel pomeriggio stesso l’intero corpo docente era stato convocato a scuola dove si sarebbe svolta una assemblea che si preannunciava lunga ed infuocata. A causa dell’alto numero di partecipanti, il Preside aveva deciso di riunirci nella palestra. Erano appena iniziati i lavori, quando si affacciò una bidella per indicarmi di uscire un istante. Una volta fuori mi riferì che era arrivato lo studente che aspettavo per fornirgli quella spiegazione che avevo rinviato al mattino e che mi aveva preceduto in aula, dove era andato ad aspettarmi. Non mi ricordavo in verità di aver dato appuntamento a nessuno, ma non possedendo buona memoria ed essendo notoriamente alquanto disordinata, non potei escludere che l’avessi fatto nei giorni precedenti, cogliendo l’occasione di quella circostanza per la quale avrei dovuto essere presente all’interno della scuola. Così risposi alla bidella “Grazie, lo raggiungo subito, tanto qui ne avremo per molto”. Non avevo compreso che si trattasse di Bruno, solo dopo ne capii il gioco ed il perché aveva aspettato tanto per la sua prima, devo riconoscere abile, mossa. Infatti la scuola quel pomeriggio era gremita di professori, tutti però ammassati in palestra, mentre il resto dell’istituto era deserto, con la presenza di quell’unica bidella per risparmiare sullo straordinario. Le aule delle mie classi si trovavano tutte al piano superiore, quel pomeriggio completamente deserto ed al buio considerato che eravamo nei mesi invernali quando il sole si impigrisce oltre ogni misura. Commisi pertanto, involontariamente, l’errore di assecondarne il piano raggiungendolo invece di tornarmene in assemblea, ma in quell’istante, ero grata di trovare una motivazione per abbandonare almeno momentaneamente quella insopportabile riunione. Così salii al piano di sopra dove individuai l’aula sotto il cui uscio trapelava un filo di luce. L’aprii e vi rinvenni proprio Bruno seduto in cattedra con calzoni e slip abbassate a gambe aperte con in mano una delle fotografie che mi ritraeva seduta su quella stessa cattedra. Chiusi la porta sorpresa, avanzai a passo sostenuto e raggiuntolo, molto arrabbiata dissi ”Ma come ti permetti, per chi mi hai preso?” Contemporaneamente feci partire il braccio per un ceffone. Lui che tuttavia era più alto di quelli della sua età, già ben sviluppato anche muscolarmente fu più lesto perché fermò a volo la mia mano agguantandola e, forzandola verso il basso la pose sul suo affare già fuori dalle mutande che in pratica, con la sua mano che governava la mia, cominciai a masturbare andando su e giù. Percepivo tattilmente questo cazzo giovane che man mano cresceva indurendosi tra le mie dita e, complice forse anche la particolare situazione logistica, cominciai a sentire un’eccitazione che montava bagnandomi sotto. Quando lui capì che le mie resistenze stavano cedendo, tolse la sua mano dalla mia che, da sola, compì l’opera venendo inondata da un flusso di liquido caldo ed abbondante. In silenzio, ci pulimmo entrambi, utilizzando fazzoletti di carta che avevo nella mia borsa, poi lui dopo essersi rivestito, si allontanò dalla cattedra ove aveva lasciato la foto e uscendo dall’aula, a metà tra il malizioso ed il tenero, mi disse “PROFF, stia tranquilla, per la restituzione delle altre riceverà mie notizie”. Vivevo una sensazione strana, un misto di rabbia composta perché capivo di essere ostaggio di quel mascalzone ma anche, non potevo negarlo, di eccitazione montante per le situazioni a rischio che aveva saputo creare e che di per sé erano arrapanti.
A questo punto del racconto chiesi ad Anna come fosse finita. “ Come doveva. Ho recuperato entro la fine dell’anno scolastico tutte le foto, restituendogli la Polaroid” Come? Assecondando il suo gioco purtroppo. Una volta pioveva ed all’uscita della scuola lo sfrontato mi chiese un passaggio. Intuii , ma per non alimentare sospetti, lo feci salire. Infatti appena in auto mi mostrò un’altra foto, così feci una piccola deviazione verso la campagna dove lo masturbai. Un’altra volta di sera al termine di consigli per gli scrutini, me lo trovai che mi aspettava vicino l’auto, lo feci salire anche in quella circostanza, solita deviazione, ma in quel caso pretese un pompino. Un altro pompino a scuola nel gabinetto dei professori dove mi aveva seguita, rinchiudendomi, terrorizzata per il timore che ci scoprissero, ma anche eccitatissima proprio per l’alto rischio di quella situazione. Un’ altro pompino lo volle nei gabinetti del teatro dove li avevamo accompagnati per assistere ad uno spettacolo, al quale lui evidentemente aveva preferito il mio. Un’altra ancora in una specie di casetta di campagna di proprietà dei suoi dove mi aveva condotta, con la mia auto, profittando dell’assenza dei suoi che erano partiti; quella volta, in più mi fece denudare nella parte superiore del corpo perché gli mostrassi il seno”.
A questo punto Francesca tacque ritenendo forse di aver ultimato il racconto. Ma io intuì che c’era dell’altro e rilanciai. “ E poi?” “ Cos’altro vuoi sapere, se gli ho dato la fica? Quella no … almeno non allora. E successo però tre anni fa.” Che significa tre anni fa?”. Una mattina eri uscito per recarti al lavoro da pochi minuti ed io stavo finendo di prepararmi con calma perché sarei entrata a scuola alla terza ora. Senti suonare alla porta e pensando che tu avessi dimenticato qualcosa e fossi tornato indietro, andai ad aprire ancora in vestaglia. Mi ritrovai di fronte un bel giovane che non riconobbi subito, ma era lui. “Professoressa non mi riconosce, sono Bruno. Sono passato per consegnarle una cosa che è tempo lei recuperi” Ebbi un presentimento e a toni bassi per timore di essere ascoltata dai vicini, gli risposi di andar via perché “mio marito può tornare da un momento all’altro”, ma lui che nel frattempo aveva completato quella naturale trasformazione da ragazzino a giovane uomo, si era fatto bello alto e robusto e con un piccolo movimento era già oltre l’uscio, all’interno. “PROFF è appena andato via in auto e sappiamo entrambi che non tornerà prima delle 14.30”. Dicendo così mi mostrò una foto che mi ritraeva mentre in un’aula vuota, ove credevo di essere sola, mi sistemavo le calze autoreggenti, mostrando le gambe completamente scoperte con il tanga che essendosi spostato rendeva visibile la fica. Ricorderai certamente che ho usate le autoreggenti per pochissimo tempo perché non mi ci sentivo a mio agio avendo sempre la sensazione che cadessero, così che appena potevo me le risistemavo, anche se non ce ne fosse bisogno. Non immagino come abbia fatto a fotografarmi in quella circostanza, ma a quel punto lui era già entrato in casa. Mi confidò che quella foto aveva ispirato ed accompagnato tutte le sue masturbazioni in quegli anni e che adesso che stava per andarsene in Inghilterra era giusto mi venisse restituita. Mi disse infatti che due anni prima aveva incontrato una ragazza inglese che ora gli aveva procurato un buon lavoro oltre Manica. Così si trasferiva da lei dove si sarebbero sposati di lì a poco.
Raccolsi la foto e gli dissi che questa volta non c’era pegno da pagare. “No PROFF nessun pegno, le ho già consegnato il corpo del reato, ma se vorrà potrà esaudire il mio desiderio di sempre” “Quale?” “ Non sono più un ragazzetto, vorrei scoparla” “Bruno, come ti permetti? Vergognati! Non se ne parla, tra le altre cose tu sei diventato un bel ragazzo, ma io sono invecchiata, non è più tempo”. “Scherza PROFF? Ma se è più bella di prima, senza aver perso nulla di quella carica di sensualità tutta sua che fa arrapare appena la si guarda. Ancora oggi in quell’istituto ci si masturba sulle sue cosce. Mi faccia consumare ora con lei l’addio al celibato più desiderato e per questo più gradito “ Ma smettila, devo andare a scuola” “ Alla terza ora e poi chi lo ha detto che un mal di denti improvviso non possa fermare anche i professori?”
Ancora una volta dimostrava di essere ben informato e di saper pianificare le scorribande per soddisfare le sue imboscate trasgressive. Dicendo queste cose aveva già raggiunto con una mano i miei capezzoli, mentre l’altra armeggiava all’interno del mio perizoma. Mi sentii subito bagnata e così lo presi per mano e lo diressi verso la camera da letto. Abbiamo scopato instancabilmente come immagino facciano gli Dei sull’Olimpo, per oltre due ore. Mi è venuto dentro e poi mi ha anche rivoltato come non mi accadeva da non ricordo più nemmeno io, e soprattutto lo ha fatto con una attenzione non comune. Mi ha dapprima lubrificata con qualcosa di untuoso non ho capito se olio o una pomata, poi con le sue dita fino a quando non ho sentito il suo cazzo che mi apriva tutta. Al momento del congedo, sulla porta di casa, volle baciarmi perché non lo avevamo mai fatto, nemmeno poco prima quando a letto ci eravamo solo scopati come due animali o, mi è venuto di pensare, che forse mi aveva chiavata come fanno durante le guerre due amanti la notte prima della partenza dell’uomo per il fronte. Dopo che se ne fu andato, ero esausta e senza forze per cui telefonai a scuola dicendo che avevo … mal di denti e che pertanto non potevo fare lezione. “Francesca sei proprio una grandissima troia”. “ Taci tu perché quando sei tornato, ero ancora così eccitata che ti ho costretto a scoparmi in cucina”.
” Ma quelle foto poi le hai distrutte?” “ No, volevo ma non l’ho mai fatto, così le ho conservate tutte, certamente non come se si trattasse di un trofeo, ma per un ricordo che da quell’ultima volta, ha smesso di essere per me un incubo tenebroso e si è trasformato in un ricordo tenero e, perché negarlo, piacevolissimo”. “ E quelle foto si possono guardare?” “ Se vuoi guardarle per eccitarti e dopo scoparmi, vieni, te le mostro. Parlarne e ricordare ha fatto venire voglia anche a me e non posso andare fino a Londra … “

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